Eurovision 2025, la rivoluzione gentile di Lucio Corsi: “Porto me stesso”

Lucio Corsi incanta l’Eurovision 2025 con armonica, sincerità e poesia: “La musica non è una gara, porto qualcosa che mi rappresenti davvero” L'articolo Eurovision 2025, la rivoluzione gentile di Lucio Corsi: “Porto me stesso” proviene da imusicfun.

May 16, 2025 - 10:30
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Eurovision 2025, la rivoluzione gentile di Lucio Corsi: “Porto me stesso”

Con la sua estetica rétro, il fascino bohémien e una scrittura che attinge tanto al cantautorato italiano quanto all’immaginario cinematografico, Lucio Corsi ha portato sul palco dell’Eurovision Song Contest 2025 qualcosa di inaspettato: un universo personale e poetico, profondamente radicato nella tradizione, ma in dialogo con il contemporaneo.

In un incontro stampa a Basilea, ha parlato con la sincerità disarmante di chi non si prende troppo sul serio, ma prende sul serio la musica. E ha fatto emergere una visione lucida, umana e fuori dagli schemi su cosa significhi esibirsi in uno dei palchi più discussi (e sovraesposti) d’Europa.

Per Lucio, l’Eurovision non è solo una vetrina internazionale, ma un’esperienza formativa. «La semifinale è stata emozionante, davvero bella», ha raccontato. «Soprattutto per il fatto che ci fosse così tanta gente in arena. Guardare tutte quelle persone sugli spalti, così in alto, ti fa dimenticare di essere in televisione». Un dettaglio non da poco per un artista abituato al contatto reale, visivo e umano con il pubblico. «Questo per me è un bene, perché mi riporta a un tipo di concerto più vicino a quello che faccio nei club e nei teatri».

Ma partecipare all’Eurovision significa anche confrontarsi con una macchina organizzativa enorme e con una grammatica scenica molto specifica. «È una scuola. Un allenamento importante», ha affermato Corsi. Un percorso che lo mette alla prova ma lo stimola, anche quando si tratta di trovare il proprio spazio all’interno di regole molto precise.

Uno degli elementi che ha fatto discutere maggiormente è stata la presenza sul palco dell’armonica a bocca, suonata dal vivo da Lucio: un fatto raro, quasi rivoluzionario per gli standard dell’Eurovision, dove l’uso di strumenti dal vivo è fortemente limitato. «Non volevo fare polemica», ha precisato. «Sapevo che all’Eurovision gli strumenti non si possono suonare dal vivo, ma la voce sì. Quindi mi sono chiesto: posso suonare l’armonica se la metto nel microfono della voce? L’ho provata a casa così, ho visto che funzionava e ho deciso di portarla anche qui. È una piccola aggiunta, ma fa la differenza». Una scelta che non ha solo un valore musicale, ma anche simbolico: «È un modo per rendere questa performance diversa da quella di Sanremo. E poi è un elemento che mi rappresenta».

Dietro ogni elemento della performance c’è un lavoro meticoloso, un’estetica precisa. La scenografia, ha spiegato Corsi, è stata pensata in continuità con i tour precedenti ed è costruita attorno a grandi amplificatori vintage e a un pianoforte lungo e scenografico. «Sono strumenti che per me hanno un valore quasi rituale, ci ruota tutto intorno», ha detto.

Ma il vero protagonista è uno: la chitarra Vandré, di cui Lucio ha raccontato la storia con una passione da collezionista. «È una chitarra magica, come diceva Guccini. Se la prendi in mano rischi di perderti. Ha una forma che ricorda un disco volante, ed è costruita in modo bizzarro: con una placca di metallo che attraversa tutto il manico, e una cassa armonica al contrario, bombata verso l’interno. Sono strumenti degli anni ’50 e ’60, dipinti con il fumo di una candela… ogni pezzo è unico». È chiaro: per Corsi, gli strumenti non sono oggetti, ma creature vive, compagne di viaggio.

Tra i temi più ricorrenti nelle parole di Lucio c’è la coerenza artistica. Lontano dalla logica del “costruire qualcosa per piacere”, il cantautore toscano rivendica l’importanza di restare se stessi: «Non voglio fingere di essere qualcosa che non sono. Non voglio portare un’esibizione costruita solo per funzionare in questo contenitore. Se lo fai, la canzone si ribella, non ci entra. E poi rischi di rimanere intrappolato in un’immagine che non ti rappresenta. Io voglio poter continuare a cantare Volevo essere un duro anche nei miei concerti, e sentirmi me stesso».

Sul significato della competizione, Lucio è netto: «Amo lo sport e la competizione, ma la musica non è una gara. Come fai a mettere in competizione due canzoni così diverse, che suscitano emozioni completamente differenti?». Una riflessione che sposta il focus dal podio all’arte, dalla vittoria al senso profondo della partecipazione. «Quello che cerco è portare una cosa sincera, onesta. Il risultato non mi interessa».

Durante l’incontro è stato letto un commento di un ragazzo messicano di 17 anni, anche lui di nome Lucio, che ha raccontato quanto la canzone lo abbia colpito e aiutato. «Queste cose mi riempiono di gioia», ha risposto Corsi visibilmente emozionato. «Quando mi chiedono che consigli darei ai giovani, rispondo sempre che dovrebbero darli loro a noi. Ho molta fiducia in loro, perché sono davvero nel presente».

Grande attenzione è stata data anche alla scelta — stranamente rara per l’Eurovision — di inserire sottotitoli in inglese durante l’esibizione. «Per me le parole sono importanti tanto quanto la musica. L’italiano è una lingua meravigliosa, un rebus pieno di possibilità, ma era importante far arrivare il significato a tutti». Il testo è stato tradotto in un inglese semplice, accessibile, pensato non solo per chi parla inglese ma per un pubblico globale. «È giusto mantenere la diversità linguistica, ma anche trovare il modo per far capire i messaggi. Ogni lingua ha una musicalità unica, e capirla arricchisce l’esperienza».

Tra le ispirazioni artistiche, Lucio Corsi ha citato Tim Burton, i Blues Brothers, e Randy Newman, autore di celebri colonne sonore: «Mi piacerebbe moltissimo scrivere per il cinema. È un modo diverso di fare musica, costruendola su immagini, lasciando magari anche da parte le parole. Sarebbe bellissimo, chissà».

Alla fine della conferenza, alla domanda su come definirebbe l’Eurovision, Lucio Corsi ha sorriso: «È un affaccio sul futuro. Un po’ come quando sbirci da dietro un angolo. È una finestra aperta sul mondo». Per lui, questa partecipazione è un modo per portare la propria musica fuori dall’Italia: «Se riuscissimo a suonare anche in Europa, sarebbe bellissimo. Ma intanto siamo qui, portando la nostra idea di canzone con serenità».

Con la semplicità di un artista che non teme l’imperfezione, Lucio Corsi ha mostrato che si può partecipare all’evento musicale più pop e mediatico d’Europa restando radicalmente sé stessi. In un’epoca di spettacolo eccessivo e sovraprodotto, la sua armonica dal vivo, una chitarra degli anni ’60 e un testo poetico con i sottotitoli possono diventare, nel loro piccolo, una rivoluzione gentile.

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