Shane MacGowan, la California, la fragilità dei rapporti umani: intervista ai Murder Capital

Per le strade di una grigia e fredda Dublino risuona Fairytale of New York, cantata dalla folla raccolta attorno alla carrozza nera, trainata da cavalli dello stesso colore. Dai vetri s’intravede un feretro avvolto nella bandiera tricolore della Repubblica d’Irlanda, più avanti la Artane Band marcia lentamente, “mentre lo Shannon inizia a piangere”. C’è gente che alza pinte di Guinness con gli occhi lucidi, chi indossa magliette a strisce verdi e bianche in onore dei Pogues. Il corteo, partito da South Lotts Road, nella zona sud della città, attraversa Pearse Street e arriva a Westland Row. Sono scene emozionanti di una giornata di inizio dicembre 2024, quelle del funerale di Shane MacGowan, che saranno accompagnate dalle immagini di una St. Mary of the Rosary Church, a Nenagh, nella Contea di Tipperary gremita di gente. Tra i banchi, ci sono Nick Cave, Bono, Johnny Depp, persino il presidente Michael D. Higgins. Il cantante dei Pogues è stato celebrato anche da Fontaines D.C. e Murder Capital, che hanno intonato a cappella I’m A Man You Don’t Meet Everyday. I due gruppi si conoscono dai tempi del Dublin Music College, hanno cominciato entrambi scrivendo poesie ed è con un profondo lirismo che James McGovern ha impresso in versi il giorno delle esequie per “la morte di un gigante”, quella di MacGowan. Murder Capital, foto di Hugo Comte (2024) Il brano che ne parla è stato registrato a più di ottomila chilometri da Dublino, in tre settimane a Los Angeles, dove i Murder Capital hanno ritrovato il vincitore di un Grammy John Congleton, con cui avevano già collaborato nel precedente album. Il produttore ha chiesto esplicitamente di non lavorare su demo strutturati, portando semplicemente memo vocali del telefono. Questo ha permesso al gruppo di avere un approccio più libero, indefinito e malleabile. McGovern ne parla in uno strano freddo pomeriggio di gennaio, mentre gli occhi del mondo sono puntati sul Campidoglio, dove Donald Trump sta giurando come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Mentre infuriava la campagna elettorale, a ottobre i Murder Capital hanno aperto una decina di date europee del lungo tour di Nick Cave and the Bad Seeds, un’opportunità “inaspettata” che McGovern può descrivere soltanto con “le parole più positive al mondo”. Il quintetto irlandese ha esordito nel 2019 con When I Have Fears, un album che prende il titolo da un poema di John Keats ed è un’esplorazione del dolore, fonte d’ispirazione scaturita dal suicidio del poeta irlandese Paul Curran, amico del gruppo. Il seguito, Gigi’s Recovery del 2023, mette in musica un processo di catarsi che culmina in un’oscura auto-accettazione, un percorso introspettivo in cui nel post-punk tendente al noise degli inizi riverberano squarci di sperimentazione e lampi di elettronica. Blindness racconta il tentativo di andare oltre, cercare la luce, con la consapevolezza che attorno a noi c’è anche quello che non possiamo toccare, le nostre “convinzioni distorte”. La cecità, appunto. Il terzo album dei Murder Capital si apre con l’uragano di chitarre di Moonshot, che si stende lungo un brano fatto disperazione e voglia di rivalsa. McGovern racconta che la canzone ha qualche anno ed era inizialmente un tentativo di fare qualcosa “à la Elliott Smith, qualcosa che fosse rock, ma anche delicato”. Le sue chitarre tumultuose sono state anche l’ultima impressa in studio a Los Angeles, nell’ultimo quarto d’ora di registrazione. La parte iniziale del disco è potente, drammatica, ma allo stesso tempo malinconica, straziante. Sensazioni che emergono in Words Lost Meaning, con uno dei migliori ritornelli del gruppo. Cosa succede quando a perdere il significato sono le due parole più intense e profonde, “ti amo”? Il brano parla della difficoltà di essere presenti nelle relazioni, di rapporti disfunzionali. Di fronte a tutto questo, nel momento in cui andiamo avanti con il pilota automatico, accontentandoci dell’eco delle emozioni, McGovern si è chiesto “cosa c’è di sbagliato in me?”, riflettendo sul valore stesso dell’idea di possesso emotivo. “Quante persone, quando ti parlano, ti guardano davvero negli occhi?”, mi chiede McGovern. Perché i rapporti stessi rischiano costantemente di essere svuotati di senso. E continua spiegando che, per esempio, in una città frenetica come Londra è molto più probabile incrociare sguardi affamati e superficiali di chi è in cerca di soddisfare i propri istinti egoisti o modi per colmare le proprie solitudini. Quando le parole perdono di significato, volteggiando nell’aria come cenere, siamo di fronte a due possibilità: cercare la verità oppure fingere di non vederla. Su quale sia la strada che i Murder Capital scelgono di percorrere, non c’è dubbio. Ci si accorge incespicando in Can’t Pretend to Know, una Yet Again dei Grizzly Bear sbrandellata da una pioggia acida, dove si cita Platone, il filosofo per cui il sistema educativo dovrebbe essere basato proprio sulla ricerca della verità. “I took Plato and a knife”, canta

Apr 26, 2025 - 15:46
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Shane MacGowan, la California, la fragilità dei rapporti umani: intervista ai Murder Capital

Per le strade di una grigia e fredda Dublino risuona Fairytale of New York, cantata dalla folla raccolta attorno alla carrozza nera, trainata da cavalli dello stesso colore. Dai vetri s’intravede un feretro avvolto nella bandiera tricolore della Repubblica d’Irlanda, più avanti la Artane Band marcia lentamente, “mentre lo Shannon inizia a piangere”. C’è gente che alza pinte di Guinness con gli occhi lucidi, chi indossa magliette a strisce verdi e bianche in onore dei Pogues. Il corteo, partito da South Lotts Road, nella zona sud della città, attraversa Pearse Street e arriva a Westland Row.

Sono scene emozionanti di una giornata di inizio dicembre 2024, quelle del funerale di Shane MacGowan, che saranno accompagnate dalle immagini di una St. Mary of the Rosary Church, a Nenagh, nella Contea di Tipperary gremita di gente. Tra i banchi, ci sono Nick Cave, Bono, Johnny Depp, persino il presidente Michael D. Higgins. Il cantante dei Pogues è stato celebrato anche da Fontaines D.C. e Murder Capital, che hanno intonato a cappella I’m A Man You Don’t Meet Everyday. I due gruppi si conoscono dai tempi del Dublin Music College, hanno cominciato entrambi scrivendo poesie ed è con un profondo lirismo che James McGovern ha impresso in versi il giorno delle esequie per “la morte di un gigante”, quella di MacGowan.

Murder Capital
Murder Capital, foto di Hugo Comte (2024)

Il brano che ne parla è stato registrato a più di ottomila chilometri da Dublino, in tre settimane a Los Angeles, dove i Murder Capital hanno ritrovato il vincitore di un Grammy John Congleton, con cui avevano già collaborato nel precedente album. Il produttore ha chiesto esplicitamente di non lavorare su demo strutturati, portando semplicemente memo vocali del telefono. Questo ha permesso al gruppo di avere un approccio più libero, indefinito e malleabile. McGovern ne parla in uno strano freddo pomeriggio di gennaio, mentre gli occhi del mondo sono puntati sul Campidoglio, dove Donald Trump sta giurando come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. Mentre infuriava la campagna elettorale, a ottobre i Murder Capital hanno aperto una decina di date europee del lungo tour di Nick Cave and the Bad Seeds, un’opportunità “inaspettata” che McGovern può descrivere soltanto con “le parole più positive al mondo”.

Il quintetto irlandese ha esordito nel 2019 con When I Have Fears, un album che prende il titolo da un poema di John Keats ed è un’esplorazione del dolore, fonte d’ispirazione scaturita dal suicidio del poeta irlandese Paul Curran, amico del gruppo. Il seguito, Gigi’s Recovery del 2023, mette in musica un processo di catarsi che culmina in un’oscura auto-accettazione, un percorso introspettivo in cui nel post-punk tendente al noise degli inizi riverberano squarci di sperimentazione e lampi di elettronica. Blindness racconta il tentativo di andare oltre, cercare la luce, con la consapevolezza che attorno a noi c’è anche quello che non possiamo toccare, le nostre “convinzioni distorte”. La cecità, appunto.

Il terzo album dei Murder Capital si apre con l’uragano di chitarre di Moonshot, che si stende lungo un brano fatto disperazione e voglia di rivalsa. McGovern racconta che la canzone ha qualche anno ed era inizialmente un tentativo di fare qualcosa “à la Elliott Smith, qualcosa che fosse rock, ma anche delicato”. Le sue chitarre tumultuose sono state anche l’ultima impressa in studio a Los Angeles, nell’ultimo quarto d’ora di registrazione.

La parte iniziale del disco è potente, drammatica, ma allo stesso tempo malinconica, straziante. Sensazioni che emergono in Words Lost Meaning, con uno dei migliori ritornelli del gruppo. Cosa succede quando a perdere il significato sono le due parole più intense e profonde, “ti amo”? Il brano parla della difficoltà di essere presenti nelle relazioni, di rapporti disfunzionali. Di fronte a tutto questo, nel momento in cui andiamo avanti con il pilota automatico, accontentandoci dell’eco delle emozioni, McGovern si è chiesto “cosa c’è di sbagliato in me?”, riflettendo sul valore stesso dell’idea di possesso emotivo.

“Quante persone, quando ti parlano, ti guardano davvero negli occhi?”, mi chiede McGovern. Perché i rapporti stessi rischiano costantemente di essere svuotati di senso. E continua spiegando che, per esempio, in una città frenetica come Londra è molto più probabile incrociare sguardi affamati e superficiali di chi è in cerca di soddisfare i propri istinti egoisti o modi per colmare le proprie solitudini.

Quando le parole perdono di significato, volteggiando nell’aria come cenere, siamo di fronte a due possibilità: cercare la verità oppure fingere di non vederla. Su quale sia la strada che i Murder Capital scelgono di percorrere, non c’è dubbio. Ci si accorge incespicando in Can’t Pretend to Know, una Yet Again dei Grizzly Bear sbrandellata da una pioggia acida, dove si cita Platone, il filosofo per cui il sistema educativo dovrebbe essere basato proprio sulla ricerca della verità. “I took Plato and a knife”, canta McGovern, a cui piaceva l’idea di mettere nello stesso verso l’innocenza dell’infanzia e la pericolosità della lama.

Il vaudeville A Distant Life balla su una superficie scintillante, a tratti spensierata e ancora incentrata su una relazione, ma quando finisce rimane in bocca un sapore amaro. “Ho guardato due volte nel mio specchio, al secondo sguardo sono me stesso”, scrive McGovern, interessato qui ancora una volta alle zone d’ombra, a quella sensazione di vivere una “vita distante” perché il lavoro ci aliena dai rapporti, le ambizioni schiacciano il respiro del quotidiano. Un quotidiano su cui si allungano pur sempre le tue radici, soprattutto quando queste si diramano in un terreno macchiato dal conflitto, dal sangue di innocenti, dall’educazione con cui devi fare i conti.

Murder Capital, foto di Hugo Comte (2024)

McGovern è convinto che, come canta in Born Into The Fight, “la fede è solo una prova”. Quando parliamo di questo brano ombroso, comincia a chiedermi dove sono cresciuto, che tipo di istruzione ho avuto. Cerca di trovare un terreno comune per farmi capire cosa ha significato per lui e i suoi compagni di band l’imposizione cattolica, il senso di colpa da elaborare, quella condizione da timorati di Dio che si contrappone all’idea della vastità dell’universo. Perché la fede, McGovern, la ripone nella scienza, in ultimo, nella vita in sé. Nonostante ciò, adora andare nelle chiese, è affascinato dalla loro architettura. Sedersi, quindi, nel buio di quei luoghi, che sono stimolanti. Dopotutto, “è bene mettersi un po’ a disagio”.

Seppure registrato in California, la geografia emotiva di Blindness è legata indissolubilmente all’Irlanda. Death of a Giant è l’elogio funebre in chiave math rock di Shane MacGowan, la straziante Love of Country denuncia la xenofobia e quel patriottismo distorto che sembra ormai diffondersi in tutto il mondo. Nel dettaglio, “l’idea di possesso del proprio paese che la gente sembra avere”, come dice McGovern, mentre un nuovo presidente sta giurando al Campidoglio. Lì quattro anni prima qualche migliaio di persone aveva fatto irruzione per rovesciare il risultato delle elezioni, causando morti, contusi e una ferita profonda all’idea di democrazia.

Come per gli altri temi dell’album, anche “il genocidio in corso in Palestina, la rielezione di Trump” sono oggetto di confronto tra i cinque. Sì, sono “probabilmente un gruppo di ragazzi che si prendono troppo sul serio”, nelle parole del cantante, immaginandosi un osservatore esterno dei Murder Capital. Hanno registrato per certi versi un album “hippie”, perché nato in maniera più estemporanea rispetto al passato, a quando scrivevano canzoni vivendo in una casa in campagna, mentre là fuori c’era la pandemia. Ora che vivono “un po’ sparsi per il mondo”, il processo è completamente diverso.

Quando il disco si avvia verso la sua conclusione, si materializzano la scorticante The Fall e la commovente Swallow – su cui in alcuni punti rimbomba l’eco di High and Dry dei Radiohead – che ha per ritornello una straziante verità: “Ho bisogno che tu te ne vada, così non mi inghiottirai completamente”. In That Feeling, uno dei testi più intensi del cantante, è ancora più evidente come la scrittura di McGovern sia come la pittura impressionista, en plein air. Lo trovi lì, in mezzo alle strade, alle emozioni, in posti lambiti dal sole e negli anfratti più oscuri, mentre attorno i suoi compagni scatenano l’inferno con chitarre corrosive, bagnate da riverberi e delay, un basso strappato dalle viscere della Terra, una batteria impossibile da contenere.

Ma come insegna Morrissey, c’è una luce che non si spegne mai. Quella di Blindness arriva proprio mentre l’album si sta spegnendo con Trailing A Wing, una carezza che si conclude nel verso “you are my freedom”, un riscatto, un tentativo di ripristinare un contatto umano. “Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono” scriveva Saramago in quel libro che non può non venire in mente ascoltando Blindness, i Murder Capital fanno di quell’avverbio di possibilità il fondamento su cui basano un disco che conferma il loro talento, la loro capacità di non lasciare per strada la poesia e tutto quel fragore al buio che continua ad attrarci. “Volevamo solo fare un disco che fosse iniettato di quanta più energia possibile”, dice il cantante, in cerca di una conferma. Tocca smentirlo, perché il loro terzo album è molto di più.

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