Sventurata l’Italia che ha bisogno di Neffa

“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, diceva Brecht; e Brecht, ecco, era uno che ci prendeva molto, molto spesso. Certo: apparentemente il salto da lui a Neffa è ampio assai – e non c’è nessun Kurt Weill a fare da tramite, tanto più che magari molti di voi manco sapranno chi Weill sia,… The post Sventurata l’Italia che ha bisogno di Neffa appeared first on Soundwall.

Apr 22, 2025 - 12:38
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Sventurata l’Italia che ha bisogno di Neffa

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, diceva Brecht; e Brecht, ecco, era uno che ci prendeva molto, molto spesso. Certo: apparentemente il salto da lui a Neffa è ampio assai – e non c’è nessun Kurt Weill a fare da tramite, tanto più che magari molti di voi manco sapranno chi Weill sia, male – però davvero, ascoltare “Canerandagio – Parte 1” e ancora di più leggere tutte le parole che lo hanno circondato prima e dopo l’uscita hanno fatto venire in mente in modo chiaro e nitido uno: sventurata l’Italia che, nel 2025, ha così tanto visceralmente bisogno di un Neffa.

Ora: chi scrive, è uno di quelli che sostiene che “SxM” è di gran lunga il miglior disco di rap italiano mai uscito (…un disco che tra l’altro credo tenga ancora molto bene il test del tempo, suona attuale ancora oggi), e comunque pure le sortite soliste di Neffa stanno comodamente nella top 20, se non addirittura top 10. Insomma, che Giovanni Pellino sia uno dei personaggi cruciali del rap italiano per me è un fatto assodato. Sono uno che ci è rimasto male quando ha deciso di abbandonare la via rap per darsi alla canzone(tta), e tra l’altro puro caso vuole che questa decisione sia avvenuta durante una vacanza in cui il sottoscritto con Neffa ha diviso pure una casa, per qualche giorno, quindi ecco, in mimima parte – se non altro per osmosi – ero informato dei fatti, o comunque potevo capire il Neffa-pensiero. Capirlo non significa condividerlo: ma comprendo che in epoca di polarizzazioni social questo approccio possa sembrare inverosimile. Eh.

Tutto questo per dire: di un ritorno di Neffa al rap, ero e sono il primo dei tifosi. “Canerandagio – Parte 1” mi ha deluso? Inizialmente, quando l’unica sua manifestazione erano due pezzi circolati in primis via YouTube, un po’ sì. Ma i dischi vanno sempre ascoltati per intero, per un giudizio ponderato. Tutto il resto è pregiudizio.

(Eccolo, “Canerandagio – Parte 1” finalmente nella sua interezza; continua sotto)

…è però pregiudizio, badate bene, anche attendere il ritorno-del-guaglione-sulla-traccia (il sottile confine tra citazionismo e fanboyismo, nell’usare questa espressione…) come fosse il ritorno del Messia, del Salvatore, di quello che rimette a posto tutt’e cose e manda a casa tutti gli altri.

Ammazza se è pregiudizio.

Beh: lo hanno fatto in tanti, questo. Tantissimi. E molti di questi manco sapevano che il disco fosse infarcito di featuring, ossignore!, featuring tra l’altro molto strategici dal punto di vista del mercato odierno degli stream: Guè, Fibra, Franco126, Izi, Frah Quintale, Gemitaiz, Joan Thiele, perfino Myss Keta, signora mia dove andremo a finire. Quando l’hanno saputo, parte della loro impalcatura del Neffa vs. La Fuffa Contemporanea è caduta sollevando, sbuffi di polvere e fastidio (cit. Kaos).

Personalmente, a me sembra che Neffa abbia fatto una cosa molto semplice e lineare, e forse a molti farebbe bene leggere ad esempio la gran bella intervista che gli ha dedicato Rolling Stone, dove il Pellino si rivela per quello che è: una persona intelligente ed acuta.

E come ogni persona intelligente ed acuta, ha un po’ di allergia per i feticismi, i fanatismi, le divinizzazioni. Soprattutto, non si sente rivestito di nessun Sacro Ruolo e nessuna Sacra Missione, checché ne dicano e vogliano gli altri. Infine, e qui sta il punto, Neffa ha fatto solo e semplicemente il disco che aveva voglia di fare. Chiaro: ad un certo punto è stato circondato da persone (anche) dell’ambiente discografico che hanno incoraggiato un suo ritorno alla curiosità verso l’ecosistema-rap e lo hanno fatto nel modo giusto: questo ha fatto la differenza, questo ha dato vita esecutiva a questo progetto, invece di renderlo merce inerte che sta lì ad ammuffire negli archivi personali.

Ma appunto: è stata una questione solo personale. “Canerandagio – Parte 1”, ripetiamolo tutti assieme, non è il disco del campione Neffa che torna nel suo regno per cacciare i barbari e gli impostori per ristabilire l’egemonia del Vero Hip Hop e del Vero Rap, sulla spinta di uno schifo per la deriva trapparola e superficiale che ha preso la “sua” cultura.

Non è questo. Non. Lo. È.

(La faccia che farebbe probabilmente il Pellino se gli chiedereste di, ehm, vendicare il rap italiano; continua sotto)

Innanzitutto, per Neffa l’hip hop non è mai stato al 101% la sua cultura (…questo non gli ha impedito di fare la storia, in Italia, di questa cultura: meditate, gente); e poi, anche lo fosse stata o lo fosse tutt’ora in parte, lui agisce prima di tutto per scelte ed impulsi personali, non per giocare a Risiko con le emozioni e con i sensi di possesso adolescenziali di chi pretende che la propria musica preferita a vent’anni resti tale e quale anche trent’anni dopo, e tutto il resto schifo&merda. Ma questo è un problema che sta non solo nella musica: abbiamo una società che ci obbliga a fare i ventenni e trentenni anche a cinquant’anni, sarà che così il mercato gira meglio, e sarà che comunque è anche divertente farlo.

Ad ogni modo: “Canerandagio – Parte 1” va interpretato come una monade, non come un disco che vuole ristabilire equilibri nella più o meno grande storia del rap e dell’hip hop in Italia, lavorando per riportare alla luce stili e visioni di un certo tipo e soprattutto di un certo periodo storico. Chi vuole attribuirgli questo secondo ruolo è, secondo lo statement brechtiano messo ad apertura articolo “sventurato”, ed ecco, siamo sinceramente dispiaciuti per lui.

Per Neffa l’hip hop non è mai stato al 101% la sua cultura (…questo non gli ha impedito di fare la storia, in Italia, di questa cultura: meditate, gente); e poi, anche lo fosse stata o lo fosse tutt’ora in parte, lui agisce prima di tutto per scelte ed impulsi personali, non per giocare a Risiko con le emozioni e con i sensi di possesso adolescenziali di chi pretende che la propria musica preferita a vent’anni resti tale e quale anche trent’anni dopo, e tutto il resto schifo&merda

Vale però questo “sventurato” e questo dispiacere anche per chi aspettava Neffa col fucile puntato, pronto ad impallinarlo per aver “osato” tornare al rap: non è il caso di prendersi così a cuore le cose, e nemmeno il rap, che fin dai suoi albori è anche (e soprattutto?) una pratica musicale per fare festa e per guadagnare pure: vedi un po’. In questo, è diverso dal punk. Anche se i due hanno avuto a lungo in comune – e in parte ce l’hanno tuttora – una etica DIY che il pop, il jazz e la classica non hanno né avranno mai. Il rap e l’hip hop hanno semmai il pregio di essere dei codici forti, particolari, diversi da tutto il resto.

Forse per questo il rap e l’hip hop quando entrano in collisione col mainstream e col pop generano fenomeni interessanti. Non per forza belli, eh, parecchio rap che è entrato in classifica e negli immaginari popolari è profondamente merda ruffiana (è un lungo elenco, da Puff Daddy che rappa male sopra i Police in “I’ll Be Missing You” ai trapper di casa nostra, che ormai in troppi sanno solo esercitarsi nella paraculata latin-urban coi testi zarro-paninari, adolescenzialmente spaventati dall’idea di avercelo corto, il numero dello stream); ma anche nelle cose squallide, il rap e l’hip hop hanno portato nel mainstream qualcosa di diverso. E questo è un merito, al di là di tutto.

“Canerandagio – Parte 1” fa un’operazione ancora più interessante: prende il rap, che è appunto il genere di successo del momento, ne prende alcuni degli esponenti principali come featuring, e catapulta tuttavia tutto quanto in una visione molto madlibiana delle cose. Già: il modo in cui questo album è arrangiato in modo sconclusionato, è rappato con scazzo, è infarcito di suonini e non si nega scelte di mixaggio strane e per nulla mainstreammose, è assolutamente à la Madlib. Ed è abbastanza clamoroso che un disco che esce per una major ed ha una circuitazione promozionale major (e avrà anche un tentativo di majorizzazione nella sua traduzione live, con la data unica al Forum) sia così riconducibile alla Weltanschauung di Otis Lee Jackson Jr.

Prima che qualcuno alzi la manina o la voce per dire “Ma sei rincoglionito, ma ti pare che Neffa sia Madlib, come osi?”, ecco, prima di fare così sarebbe meglio tornasse alla casella di partenza: cioè che “Canerandagio” rappresenta in tutto e per tutto quello che Neffa vuole e sa fare oggi, negli anni ’20 del nuovo millennio, (ri)scoprendo il piacere di affrontare il microfono con le rime e non con le melodie canterine.

Agli integralisti del rap / hip hop puro vorremmo far notare una cosa: i difetti di questo album – perché ce ne sono – dovrebbero far loro molto piacere. Perché contrariamente di quanto sostiene lo stesso Neffa nell’intervista a Rolling, il disco che ha fatto uscire è la prova provata che il rap, per farlo bene, lo devi allenare, allenare duro, non è per nulla una cosa così facile, se lo vuoi fare a modo e fare la differenza. Se non lo pratichi per vent’anni e passa e poi ci torni così su dal nulla, quello che succede è che suoni arrugginito, per quanta classe tu abbia. È come un Messi o un CR7 senza preparazione fisica: sì la tecnica, ma in campo quei due annasperebbero.

Evidentemente nella sua rivendicata autarchia, Neffa non ha voluto accanto a sé durante la lavorazione del disco qualcuno che gli dicesse, anche in modo rude, “Bella l’idea, bello lo stile, ora però ‘sta strofa la rifai anche duecento volte finché non ti viene bene”.

Evidentemente nella sua rivendicata autarchia, Neffa non ha voluto accanto a sé durante la lavorazione del disco qualcuno che gli dicesse, anche in modo rude, “Bella l’idea, bello lo stile, ora però ‘sta strofa la rifai anche duecento volte finché non ti viene bene”. Perché ok il feeling slacker alla Madlib, che quando applicato alle basi ed al mixaggio ascoltato finalmente nel suo insieme pare una coraggiosa scelta di campo stilistica, ma “Canerandagio” è un lavoro in cui il titolare dell’operazione rappa onestamente malino, senza forza, senza convinzione, rappa molto peggio di quanto potrebbe e dovrebbe fare. I lampi testuali ci sono, i concetti forti pure, c’è anche molta autoironia – cosa che non tutti hanno capito – e molti lucidi riferimenti alla consapevolezza del tempo che passa ed è quindi infantile pensare di riaverlo indietro come per magia; lo spirito d’osservazione è decisamente alto, e quest’ultima cosa è una boccata d’aria fresca in un panorama rap che da troppi anni pensa quasi solo a monetizzare e a paraculeggiare nel modo più basic e facile possibile (lo capiamo, sia chiaro: voi rinuncereste a guadagnare di più e guadagnare bene per fare una cosa che già vi piace fare? Io, non lo so: fatemi trovare in mezzo a una situazione così, e poi vi dico). Però ecco, si poteva fare meglio.

Ok, siete arrivati fino in fondo, siete arrivati fino a questa riga?

Bravi.

Altri avrebbero già commentato: “tl;dr”.

Per questi ciccini che non riescono a reggere dei testi e ragionamenti lunghi, andiamo all’essenza della recensione di “Canerandagio”, a mo’ di recap finale. Ovvero: è un disco interessante, atipico sia per il rap che per il mainstream attuale. Rispecchia profondamente il suo autore, un personaggio atipico che per il rap ha sempre avuto mixed feelings ma che sempre per il rap ha avuto un talento raro, innato. Ma lo stesso è autore è anche un personaggio che di musica ne sa e di musica ne ascolta da sempre parecchia (al contrario del 90% dei rapper e trapper odierni), quindi può permettersi vari ricami e richiami strani, appunto madlibiani. Fin qui, tutto bene. Lì dove c’è il male, è il fatto che il rap poteva essere eseguito molto meglio (e lo si capisce quando è messo al confronto con qualche ospite, vedi Noyz, che come flow surclassa il padrone di casa). Considerazione a margine: Neffa, con la sua sola presenza e col suo solo carisma, ha fatto fare a Guè una delle sue strofe più sincere, disarmate ed introspettive, e il risultato convince. Altra considerazione a margine: se come dice nell’intervista al Corriere è stata Ele A a spingerlo al ritorno al rap, il brano in cui c’è lei come ospite (“Tuttelestelle”) è quello con la base più brutta e zuccherosa, peccato, perché la strofa di Ele è notevole.

Voto al disco? Sette meno. Attesa per una “Parte 2”, dopo aver sentito questa prima sortita? C’è. Ma non nel volere un altro colpo inferto dal veterano Neffa alla merda rappusa nuovista, per rimettere le cose a posto nel Sacro Libro dell’Hip Hop (ammesso e non concesso possa esistere), quanto per avere altro materiale non convenzionale ed interessante da ascoltare.

Per quanto mi riguarda, da persona che ha amato e rispettato da morire il Neffa degli anni ’90, va benissimo così. E per quanto riguarda voi, voi lettori?

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