Piccole, belle resurrezioni: i Galliano sono tornati in Italia
Sono giorni pasquali e, insomma, il tema della resurrezione è ovviamente centrale: una “piccola” resurrezione che ha scaldato i nostri cuori di piccola nicchia di appassionati e connoisseur musicali è stata quella dei Galliano, che dopo una lunga pausa – e vari avventure di Rob Gallagher in molteplici e talora bislacche forme – sono tornati… The post Piccole, belle resurrezioni: i Galliano sono tornati in Italia appeared first on Soundwall.

Sono giorni pasquali e, insomma, il tema della resurrezione è ovviamente centrale: una “piccola” resurrezione che ha scaldato i nostri cuori di piccola nicchia di appassionati e connoisseur musicali è stata quella dei Galliano, che dopo una lunga pausa – e vari avventure di Rob Gallagher in molteplici e talora bislacche forme – sono tornati a dispensare funk e buone vibrazioni su disco e pure dal vivo. La verità? Il gruppo-chiave almeno come live, per tutto il movimento acid jazz, sono stati loro: per mille motivi. Chi c’era, sa. Ecco: per le recenti date italiane, proprio uno di quelli che c’era e che sa ci ha fatto un bellissimo regalo – una cronaca delle date di Bologna e Milano. La firma è sotto pseudonimo (obblighi professionali!); il report è sì appassionato, ma non per questo meno incisivo ed acuto.
“I see you all, very young”. Con il sorriso spalancato sul pubblico italiano, Rob Gallagher entrando sul palco si è concesso un pizzico di sarcasmo sia a Bologna (Locomotiv) il 5 aprile, sia a Milano (Santeria Toscana) il giorno seguente, rispettivamente terza e ultima tappa del mini-tour giù e su per la penisola dei Galliano, che prima erano stati a Roma (Monk) e a Bari (Teatro Forma).
Già, i Galliano, un qualcosa che oggi è effettivamente difficile da spiegare a chi quegli anni non li ha musicalmente vissuti. Siamo a cavallo tra gli 80 e i 90, e il già citato Rob Gallagher, giovane dj londinese e amico del collega anglo-francese Gilles Peterson, fonda un collettivo che diventa perno di una scena temporalmente abbastanza circoscritta, quella del cosiddetto Acid Jazz che ribalta i club di tutta Europa. Ma se i Galliano stanno al genere come Marc Bolan sta al glam rock, scordatevi un qualcosa che sia affine all’acid jazz classico. Quello di Brand New Heavies, James Taylor Quartet, Incognito, Young Disciples, tanto per intendeci. I Galliano invece mischiano tutto: Roy Ayers, le spoken words di Gil Scott-Heron, il dub, il reggae, il funk, il folk, la disco, l’hip-hop. I vocalist Constantine Weir e mister Gallegher rappano, pure. Non c’era nulla di simile all’epoca (nell’ambiente, si avvicinarono gli Urban Species. I Jamiroquai agli inizi erano discepoli) e non c’è nulla di simile oggi, anche perché la musica ha preso altre strade. Per cui il loro bel ritorno sulle scene nel 2024 con l’album ‘Halway Somewhere’, il quinto in studio, pianta proprio quella domanda lì: se la musica ha preso commercialmente altre strade, che tipo di ritorno di audience possono avere oggi i quasi sessantenni Galliano? A guardare le presenze ai live – primo tour in Italia da 30 anni a questa parte, anche se la riapparizione ufficiale da noi c’era stata l’agosto scorso al ‘Locus’ in Puglia – si possono fare un paio di considerazioni. Una sicuramente positiva. Un’altra interlocutoria, com’è normale che sia.
(continua sotto)
LA PERFORMANCE
In fila al Locomotiv a Bologna, mentre i ventenni sbevazzano all’aperto, c’è una generazione. Spunta una maglietta della Talkin’ Loud, l’etichetta di Gilles Peterson tanto cara agli acid-addicted (in the crowd, da ospite, anche il pioniere Eddie Piller), spuntano un paio di magliette dei Galliano con il 1994 bene in vista, fanno capolino un altro paio di t-shirt con Miles Davis e gli Steely Dan, diverse basettone Mods. Dietro i 45 anni, poca roba. Uno squilibrio che non ci sarà, curiosamente, il giorno dopo a Milano in un contesto meno frequentato dai post 2000 rispetto al Dopolavoro ferroviario bolognese. Dentro, più tardi, qualche rinforzo arriva. Loro, i Galliano, giungono a pelo per il soundcheck perché il treno da Bari, dove avevano suonato la sera prima, per Bologna era stato improvvisamente cancellato. Cose italiane. Noleggiano un mini-van e si fanno l’A14 volando in sette ore. Con l’iniziale corpo a corpo è lo stesso Gallagher, che oggi usa lo pseudonimo ‘General Rubbish’, a presentare i sei membri della band rimarcando l’anno del loro ingaggio. Non ci sono più Constantine Weir, Michael Snaith (che sostanzialmente ballava e rappava), Steve Amedee (ballava), il chitarrista purtroppo scomparso Mark Vandergutch e non c’è Crispin Robinson, che i Galliano li fondò e che pur avendo contribuito a incidere le percussioni sul disco ha poi deciso di non andare in tour (‘Spry’ Robinson oggi fa parte dell’impressionante collettivo di afro-fusion Balimaya Project). Tornano invece Valerie Etienne (anche corista, sprecata, nei Jamiroquai), il bassista Ernie McKone che oggi gestisce la prolifica etichetta indipendente BoogieBack Records, il batterista Crispin ‘Pump’ Taylor, il tastierista Ski Oakenfull che ai tempi si sovrappose all’ex Style Council Mick Talbot, poi defilatosi, e Booey Gallagher, fratello di Rob che nei dischi classici pure aveva suonato congas e simili. Chiude il chitarrista Nat Martin, particolarmente tecnico tanto che prima dei Galliano se ne andava in tour con l’ensemble di Robert Fripp. La scaletta scelta elimina completamente il terzo album, il beatlesiano ‘The Plot Thickens’ che pure raggiunse le vette più alte nelle charts all’epoca, e il quarto ‘Four’, che ricomparirà per la chiusura a Milano. I Galliano suonano invece un po’ di pezzi nuovi, un po’ di pezzi del seminale primo disco ‘In The Pursuit of 13th Note’ più le hit dello scatenato ‘A Joyful Noise unto the creator’. La resa è da sudore senza remore: loro si divertono tantissimo, il pubblico pure. La parte ritmica McKone-Taylor va ben più veloce rispetto ai primi live-reunion inglesi, specie quello del Festival ‘We Out Here’ dell’estate del 2023. La sensazione è che sia stato tutto riarrangiato per correre con una marcia in più. Dopo ‘Dancin’ your own time’, omaggio all’amico Roy Ayers, recentemente scomparso, il singolo ‘Circles going round the sun’ diventa una jam session afro-jazz che scuote il pubblico come un ramoscello di bambù. Quel tipo di approccio alla performance live, tanto generosa, non è cambiata, back from North London. Per questo i ‘singalong’ di Earth Boots e ‘Jus’ Reach’ rimbombano con tanto cuore. Sarebbe stato bello reimmergersi anche nei pezzi piano e contrabbasso di ‘Plot Thickens’, ma forse ricompariranno in futuro. I punti più alti del live, in un Locomotiv quasi pieno, arrivano quando te l’aspetti: ‘Prince of Peace’ riattacca il bottone dov’era trent’anni fa, ‘Jazz’ invece è l’esecuzione da speed-funk che fa ripensare agli Azymuth o agli American Gypsy. Un pizzico anticlimatica la chiusura rabberciata (erano le 23, i Galliano stessi si sono scusati per un ‘curfew’, coprifuoco obbligatorio) con il mash-up di ’57th minute of the 23rd hour’ e ‘Power and glory’, sempre dal primo disco. Applausoni, una generazione ha avuto il suo, i Galliano hanno rimesso al centro liriche e groove, nell’after si fermano anche a fare foto e a firmare autografi.
A Milano, la sera dopo, chi scrive incontra invece anche un gruppo di nemmeno 30enni che due anni fa, alla reunion del ‘We Out Here’, c’erano. E in generale, il pubblico giovane è più presente. Il live è tiratissimo come quello di Bologna, e i ragazzoni si divertono con il pubblico, Valerie ‘cazzia’ simpaticamente i fonici per il suo microfono non ben settato. C’è anche qualche chiacchiera informale su un live a Milano 32 anni fa. “Maybe the Rolling Stone? Perhaps”. Anche alla Santeria c’è ‘Jazz’ che corre a milla all’ora, con il fender di Ski Oakenfull che giganteggia, ma la sorpresa arriva alla fine con ‘Slack Hands’, bel pezzo del 1996 riarrangiato e riproposto in chiave più jazzy. Applausi a scena aperta, selfie dal palco e la promessa di un ritorno a breve in Italia.
GREEN BANANA
Dicevamo, un paio di considerazioni si possono fare. I Galliano si divertono a suonare come dei ragazzini. L’obiettivo di rimettere tallone e pianta in mezzo al loro popolo è raggiunto. Tutto questo, in un’era musicale dove tutto è riproduzione, riesce ancora a suonare quasi inedito, per chi con loro aveva poca o nulla confidenza. La dimensione live è tanto groovy, da jam senza fine, e forse il meglio arriva ancora nel club, piuttosto che su un main stage. Però, questa vocazione, forse dovrebbe trovare una più comoda realizzazione nel lavoro in studio. Il disco uscito l’anno scorso, ‘Halfway Somewhere’, è molto stimolante nei suoi contenuti multiformi. E’ però un disco ‘a little bit demanding’, come dicono gli anglofoni, esigente. Posto che quello di allargare il pubblico sia un obiettivo del gruppo, potrebbe servire un lavoro – o pezzi nuovi a battuta libera, in qualsiasi forma-prodotto – che corra verso un funk più puro, meno meditabondo. Come quello del brano inedito ‘Green Banana’, suonato con vigore durante il tour italiano. Viceversa, la dimensione live e i testi di General Rubbish possono continuare a solcare un mare sicuro. Forse però, visti l’energia e l’entusiasmo, non sarebbe male provare a immergere un’altra gamba nel mare della storia. Per chi ama i festival, c’è da segnalare la partecipazione dei Galliano, il primo luglio, al Worldwide Festival a Sete, in Francia (gestisce sempre Gilles). In Italia, invece, sono attesi in Sicilia e in Sardegna per un paio di date (almeno) estive non ancora ufficializzate. Vinili, stampe, artworks e magliette si possono trovare sul loro sito, assai sponsorizzato su Instagram, gallianoband.com.
Joe Ross
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