Il piano sequenza di Adolescence non è un pretesto

Adolescence si candida tra le serie dell’anno per tanti motivi: tematiche rilevanti quanto pesanti ma tristemente attuali, interpretazioni intense e, soprattutto, una tecnica inconfondibile. Uno degli elementi che più ha incuriosito il pubblico è proprio la costruzione dei piani sequenza. Gli spettatori sono rimasti colpiti dall’ingegnosità con cui sono state realizzate scene lunghe, movimentate e… Leggi di più »Il piano sequenza di Adolescence non è un pretesto The post Il piano sequenza di Adolescence non è un pretesto appeared first on Hall of Series.

Apr 13, 2025 - 07:44
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Il piano sequenza di Adolescence non è un pretesto

Adolescence si candida tra le serie dell’anno per tanti motivi: tematiche rilevanti quanto pesanti ma tristemente attuali, interpretazioni intense e, soprattutto, una tecnica inconfondibile. Uno degli elementi che più ha incuriosito il pubblico è proprio la costruzione dei piani sequenza. Gli spettatori sono rimasti colpiti dall’ingegnosità con cui sono state realizzate scene lunghe, movimentate e complesse in ciascun episodio della serie. Si è discusso a lungo delle difficoltà nella realizzazione della serie e in molti hanno sottovalutato l’impatto che questa scelta ha avuto sulla narrazione. I piani sequenza di Adolescence – che potete recuperare qui – non sono soltanto un elemento atto a dimostrare eleganza stilistica, quanto più la vera e propria anima della serie. Una scelta tecnica che ha condizionato la struttura narrativa alla base di uno dei prodotti più interessanti degli ultimi tempi.

Si è parlato tanto del piano sequenza di Adolescence, ma spesso non è stato analizzato fino in fondo

Eddie Miller e Jamie Miller
credits: Netflix

Adolescence è un progetto sicuramente molto “furbo”, ma scambiare la scelta del piano sequenza per un mero pretesto stilistico non rende giustizia alla serie. I quattro piani sequenza utilizzati per ogni episodio hanno reso la serie unica da un punto di vista visivo. L’uso di questa tecnica è sempre più comune nel mondo delle serie tv – come testimoniano True Detective o The Haunting of Hill House – ma mai come in Adolescence il piano sequenza era stato così centrale nella narrazione. La regia diventa parte integrante della struttura narrativa della serie, dettandone realisticamente i tempi emotivi. La cosa che ha stupito di più il pubblico è che il margine d’errore nella realizzazione è pressoché inesistente. Questo aspetto ha fatto diventare Adolescence una sorta di meme, portando i fan a ipotizzare centinaia di ciak prima di trovare la quadra. L’impostazione del lavoro degli attori, tuttavia, è completamente diversa rispetto a un normale set.

Si è parlato spesso dell’importanza del teatro e della connessione con la cultura britannica nella realizzazione della serie. Il set di Adolescence, effettivamente, è stato pensato come un enorme palco in movimento. Soprattutto nel secondo episodio – quello più complesso a livello corale (qui abbiamo analizzato le scene più impressionanti della serie) – gli attori hanno recitato come se fossero a teatro. Una preparazione individuale che mira a coordinare non soltanto il classico copione, ma anche spazio, movimenti e tempi. E’ più corretto pensare che a occupare tanto tempo materiale sia stato il pre setting piuttosto che le registrazioni in sé e per sé. Su un palco teatrale, infatti, è molto più macchinoso il lavoro corale su spazi occupati e tempo impiegato rispetto allo studio individuale delle parti. Ad ogni modo, per quanto l’uso del piano sequenza abbia complicato non di poco la vita di attori e autori, il suo scopo era molto più vicino all’aspetto tematico di quanto si pensi.

Al di là di qualsiasi virtuosismo, il piano sequenza di Adolescence ha un compito fondamentale

Owen Cooper nei panni di Jamie Miller
credits: Netflix

Che l’occhio voglia la sua parte non è un mistero, e sicuramente i piani sequenza di Adolescence hanno reso l’esperienza degli spettatori molto più immersiva. Il risultato è uno shock iniziale a cui chi guarda si abitua con non poche difficoltà. Si tratta di una visione disturbante che cattura l’attenzione fin dalla prima sequenza: quella dell’arresto di Jamie. E’ proprio per questo che abbiamo prima definitivo la serie “furba” in un certo senso. Ciò che lo spettatore vede all’inizio della serie è scioccante sotto tutti i punti di vista: un ragazzino arrestato nella sua camerata con la polizia che sfonda la porta di casa. Il tutto condito da un estenuante e lungo piano sequenza che fa vivere allo spettatore ogni intenso istante dell’arresto, mettendolo di fatto sullo stesso piano della famiglia Miller. Il primo episodio adotta in modo magistrale l’uso del piano sequenza, servendosene per raccontare e contestualmente far vivere un trauma.

Dopodiché, la narrazione continua, e lo fa acutizzando sempre di più l’intensità della scena. Jamie viene seguito dalla camera nell’auto della polizia e qui anche il suono svolge la sua parte. Lo spettatore viene portato allo stremo: mentre ci si scervella per capire cosa possa essere realmente successo, si viene trascinati nel dramma del più inaspettato dei criminali. Adolescence racconta uno spaccato di realtà tremendamente attuale. Il pretesto narrativo nasce da una serie di fatti di cronaca nera che hanno colpito il Regno Unito recentemente, eppure chi guarda non può fare altro che domandarsi come possa essere reale tutto ciò che vede. Con Adolescence, Philip Barantini e Stephen Graham (qui potete scoprire dove avete già visto gli attori della serie) hanno portato su Netflix una tecnica narrativa ben precisa, mettendola al servizio di una storia che affronta tematiche molto delicate. Tutto questo accade nelle primissime sequenze della serie, raccontando due episodi che sono anche i più movimentati.

Il risultato è un’opera tecnicamente innovativa ma che, in primis, voleva raccontare una storia già di per sé complessa appesantendo la visione in modo tale che il messaggio lasciasse ancora di più il segno

Scena tratta dal terzo episodio della serie
credits: Netflix

Diciamo la verità: senza i piani sequenza Adolescence non sarebbe stata la stessa. Non parliamo di visibilità stilistica e quindi di quanto abbia fatto parlare di sé soltanto per la tecnica. Parliamo piuttosto dell’intensità scenica e narrativa nel complesso. Nei primi due episodi lo spettatore viene sballottato da una parte all’altra della centrale di polizia prima e della scuola di Jamie poi, creando un’esperienza estenuante, quasi provante fisicamente. Nella seconda parte della serie gli spazi – più che i tempi – si “addormentano” e fanno riprendere fiato a chi guarda. Il tempo si dilata perché sono passate settimane (e poi mesi nell’ultima puntata) rispetto ai fatti iniziali. Anche gli attori trasmettono un’emotività differente, ma il dramma è vivo più che mai. Nella seconda parte, più intima, i piani sequenza raccontano gesti e sguardi che rendono un’intensità narrativa completamente diversa, ma pur sempre necessaria. 

Il terzo episodio di Adolescence è quello più quotato della serie e si svolge quasi tutto all’interno di un’unica stanza. Tra tutti è dunque quello in cui il piano sequenza svolge apparentemente il ruolo meno incisivo. Ma solo apparentemente. Vedere due attori raccontare un dramma in crescendo senza pause e senza tagli genera un effetto da brividi. La recitazione qui prende il controllo a discapito della regia che si fa quasi invisibile. Eppure la consapevolezza del tempo che scorre rende il tutto ancora più autentico ed efficace. Stessa cosa accade poi nel drammatico epilogo della serie. Nell’ultima puntata il piano sequenza segue ogni istante della vita familiare dei Miller, riuscendo a restituire un disegno estenuante del dramma dei personaggi. In ogni episodio di Adolescence i piani sequenza hanno dettato tempi e emozioni, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza immersiva e personale che, senza virtuosismi, sarebbe stata molto meno intensa.

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