Silenzio, vento e qualcosa di interiore: l’isla diferente per Populous
Ci sono isole che non esistono sulle mappe. Sono luoghi mentali, spazi sospesi tra un ricordo che non si è mai davvero vissuto e una nostalgia che non si sa spiegare. In occasione dell’uscita del suo nuovo album abbiamo parlato con Populous — al secolo Andrea Mangia — dell’isola che è stata più che una […] L'articolo Silenzio, vento e qualcosa di interiore: l’isla diferente per Populous sembra essere il primo su Parkett.

Ci sono isole che non esistono sulle mappe. Sono luoghi mentali, spazi sospesi tra un ricordo che non si è mai davvero vissuto e una nostalgia che non si sa spiegare. In occasione dell’uscita del suo nuovo album abbiamo parlato con Populous — al secolo Andrea Mangia — dell’isola che è stata più che una residenza artistica: è diventata una lente per guardare il mondo, o forse per disinnescarlo, sottraendogli rumore e aggiungendovi silenzio.
“Isla diferente” non è solo il titolo del suo nuovo disco in uscita l’11 aprile per Latinambient, è una dichiarazione d’intenti: costruire mondi alternativi dove l’elettronica incontra la cumbia, la balearic house si fonde con l’ambient, e ogni suono è il riflesso di un paesaggio interiore.
In attesa del debutto live audio/video previsto il 25 settembre al Mattatoio di Roma — all’interno del progetto ULTRAREF del Romaeuropa Festival in collaborazione con Manifesto Fest — ci siamo fatti raccontare il disco direttamente da Populous, colui che l’ha vissuto prima ancora che composto.

Hai scritto l’album durante una residenza artistica a Lanzarote. Come la geografia e l’ambiente intorno a te influenzano la tua musica? Qual è stato il momento più rivelatorio o inaspettato durante la creazione del disco? Un luogo, un paesaggio, un suono, un silenzio.
L’ambiente circostante influenza da sempre il percorso artistico di ogni artista. Spesso ciò accade in maniera naturale, perché cresciamo e viviamo in luoghi che entrano stilisticamente nei nostri lavori. Ma altre volte siamo proprio noi a sceglierne uno, perché attratti da qualcosa, convinti che il luogo stesso diventerà parte integrante dell’opera. C’è stato un momento a Lanzarote che difficilmente dimenticherò: guidavo un’auto piena di amici, cercavamo il Mirador del Rio, ma qualcosa col gps va storto. Finiamo su una strada periferica in cima ad una collina. La vista era pazzesca e decidiamo che quello sarebbe stato il nostro mirador. Avevamo dell’erba e una cassa usb. Qualcuno di noi ha messo “Nostalgia” di Mulatu Astatke. Mi sono messo a piangere.
Nei tuoi lavori il paesaggio sonoro è sempre centrale. Quanto conta il field recording in questo disco? C’è un suono raccolto a Lanzarote che ha avuto un impatto inaspettato sulla produzione?
A Lanzarote c’è pace. A parte la zona sud dell’isola, popolata da turisti basic, il resto è molto tranquillo. C’è il rumore del vento e delle onde, è vero, ma c’è anche tanto silenzio. Quindi più che una registrazione in particolare, mi sento di dire che è stata l’importanza del silenzio ad avere un impatto maggiore sulla scrittura di “Isla diferente”. Ho ragionato per sottrazione. I pezzi potevano avere degli arrangiamenti più ricchi? Sicuramente sì. Ma ho deliberatamente scelto l’essenzialità.

Nel descrivere il tuo album, parli di una ricerca nei contrasti, alternando momenti esplosivi a fasi più contemplative. Come riesci a mantenere una coesione emotiva e narrativa tra questi estremi sonori, evitando che il flusso musicale sembri frammentato o troppo contrastante?
Mi piacciono da sempre gli album che hanno “un suono”. Ricordo che per “Azulejos” mi ero auto imposto di usare gli stessi suoni quasi per tutti i pezzi. Non posso dire lo stesso anche per quest’album, ma in fase di cernita finale è stato fondamentale puntare a mantenere una coesione di fondo. Così puoi percepire le vibes di quest’isola onirica attraverso una ballata, una cumbia digitale, un pezzo balearic house o un pad ambient senza beat.
Il concetto di “Latinambient” è diventato non solo un genere ma anche un’etichetta discografica. Pensi che potrebbe evolversi in un movimento musicale più ampio? Hai già individuato artisti che potrebbero portarlo avanti?
L’etichetta è nata un po’ per autoproduzione totál, un po’ per gioco. Da anni i miei amici continuavano a ripetere: “Perché non hai ancora una tua label?”. Sono onesto nel dire che non avevo messo in conto di poter produrre altre persone. Poi una volta annunciata Latinambient sono cominciati ad arrivare i primi demo. A quel punto mi son detto, perché no? È presto per dire se queste idee pazze diventeranno addirittura un movimento, ma ci sto vedendo qualcosa. Questo è indubbio.
In Isla Diferente ci sono molte collaborazioni vocali. Come hai scelto gli artisti e in che modo le loro voci hanno trasformato la tua visione originale dei brani?
In realtà l’idea iniziale era quella di realizzare un disco strumentale. Poi ho cambiato idea, forse anche perché tutte le voci sono di amici. Persone che vengono da luoghi distanti fra loro, accomunati tutte da una visione comune. Rocco Rampino, che ha co-prodotto il disco è un fratello. Idem Elasi e Machweo. Una sorta di senso di famiglia allargata.

L’arte visiva gioca sempre un ruolo importante nei tuoi progetti. Come hai lavorato con Daniele Castellano per la direzione estetica dell’album?
Quasi tutte le mie cover sono sempre state molto colorate, luminose, pop. Crescendo divento sempre più introspettivo, dunque per “Isla diferente” cercavo un illustratore che avesse nei toni scuri la sua peculiarità. Quando ho visto i lavori di Daniele mi son subito detto: “È lui!”. Così gli ho scritto un lungo messaggio dove gli parlavo del disco, della residenza artistica. Fortuna ha voluto che lui conoscesse già bene l’isola, perché ci aveva trascorso una vacanza qualche anno prima. Sapeva dunque di cosa parlavo. Siamo arrivati alla conclusione che volevamo ricreare quest’ambiente misterioso, con una luce che potesse richiamare allo stesso tempo il crepuscolo e l’alba. Una sorta di portale visivo in uno spazio temporale di transizione.
Dopo aver esplorato il suono di Lanzarote, c’è un altro luogo nel mondo che senti possa ispirare il tuo prossimo lavoro?
Sto ascoltando tantissima musica ambient-minimal giapponese. Non aggiungo altro.

Forse, alla fine, non è nemmeno la musica ciò che resta. È il mirador inventato su una collina sbagliata. È il silenzio scelto come strumento, la voce di un amico che diventa visione condivisa, il bagliore tra crepuscolo e alba che Daniele Castellano ha tradotto in immagine.
Populous non racconta isole. Le abita, le attraversa, le reinventa. E mentre sogna nuovi orizzonti, ci invita a riconsiderare cosa significhi davvero appartenere a un luogo — o farsi attraversare da esso.
In fondo, Isla diferente non è un posto. È un modo di stare al mondo.
Ascolta l’album qui
[foto di Ilenia Tesoro | album cover di Daniele Castellano]
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