Anna Gaetano racconta il fratello Rino: “Di lui mi manca tutto”
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A oltre quarant’anni dalla tragica morte di Rino Gaetano, la sorella Anna – oggi 80enne – torna a raccontarlo con parole piene di affetto, nostalgia e gratitudine. Un ritratto privato e tenero di un fratello amatissimo, di un artista irriverente e generoso, ma soprattutto di un uomo che ha saputo restare se stesso anche nel cuore del successo.
Il vero nome di Rino era Salvatore Antonio, “dallo zio paterno e da un altro zio. Non riuscivo a chiamarlo Salvatorino, troppo lungo. Per me è sempre stato Rino”, ricorda Anna in un’intervista al Corriere della Sera. “Gli davo la pappa col cucchiaino, era come un bambolotto”.
L’infanzia della famiglia Gaetano non fu semplice. “Erano tempi magri, c’era la fame. A casa il latte non lo vedevamo mai. Papà lavorava al forno e ogni giorno ci portava il pane caldo. Nonna ci metteva sopra olio e zucchero: era la nostra colazione”.
Ma non mancavano amore e calore, nonostante le difficoltà: “Abbiamo patito la fame e anche l’affetto. Papà stava sempre male, mamma faceva quello che poteva”.
Il momento più bello, racconta Anna, fu dopo il Festival di Sanremo del 1978, dove Rino si classificò terzo con Gianna. “Anche se era arrivato terzo, mio fratello era contento, io pure di più. Ci siamo visti in un ristorante a Trastevere e abbiamo mangiato e bevuto la grappa Nardini che gli piaceva tanto”.
Quella canzone aveva un significato speciale: “Gianna era dedicata a me. Infatti si doveva chiamare Anna, ma suonava male. Gli dissi: ‘Hai scritto una canzone per zia Maria, una per zia Rosina… ora tocca a me’”.
Di Rino, Anna racconta un’anima limpida e gentile: “Era splendido, rideva e scherzava sempre. Il suo unico dolore era la salute di papà. Per lui soffriva”.
Anche il successo non lo cambiò: “Durante l’ultimo tour andava in giro con la maglietta del pigiama. Celeste o gialla, di ciniglia. Ci stava comodo”.
Generoso “fino all’ingenuità”: “A un amico che si era visto bruciare il negozio prestò i soldi per riaprirlo. Non li ha mai rivisti. Ma lui era fatto così”.
I genitori sognavano per lui una vita più stabile: “Papà era preoccupato perché secondo lui con la musica non si combinava nulla. Mamma era portiera in uno stabile dove abitavano certi signoroni che l’avrebbero aiutata a sistemarlo. Alla fine gli trovò un posto alla Banca d’Italia. Rino promise: ‘Se non ho successo, alla fine ci vado’. Ma la cravatta non la sopportava”.
Con le donne, “se la cavava benissimo: era bello e qualche soldo lo maneggiava. Donne ne aveva tante”.
Anna ricorda con affetto le amicizie artistiche più importanti di Rino: “Con Antonello Venditti e Francesco De Gregori erano molto legati, tre fratelli. Quando uscivano insieme, Francesco e Rino pagavano la benzina, Antonello ci metteva la macchina”.
“Anche Renato Zero era un vero amico. Andavano sempre allo stadio Olimpico a vedere la Roma, pure con Little Tony. Perché Rino era romanista fracico. Qualcuno dice che era laziale, ma non è vero”.
E su Mia Martini: “L’ha tanto difesa quando parlavano male di lei, dicendo che portava sfortuna. A Rino certi discorsi davano fastidio, si arrabbiava molto, con qualcuno ha pure litigato per difenderla. Da buon calabrese era bello incazzoso”.
Poi arrivò quella tragica mattina del 2 giugno 1981. “Mamma mi telefonò alle 5: ‘Corri che Rino ha avuto un incidente. Non è niente di grave, si è rotto la gamba e il braccio’. ‘Menomale’, pensai. Poi però mi spiegò che i poliziotti erano andati a casa ad avvisarla, e quello mi sembrò un brutto segno”.
“Corsi al Policlinico, arrivai alle sei meno un quarto. C’era già Gigione, il suo amico stracciarolo. Mi disse: ‘Anna, Rino è grave. Se gli serve il sangue glielo dono io’. Ma alle 6 mio fratello non c’era più. Quando ho dovuto fare il riconoscimento sono caduta per terra”.
Anna porta dentro di sé un legame indelebile. “Era l’essere umano più umano che esiste. Me lo sogno spesso. Nel 2013, quando mi sono operata la seconda volta per un cancro, mi ha detto: ‘Anna, non avere paura, stai tranquilla’”.
Oggi, se lo immagina ancora così: “Snello, alto, sveglio, sempre lui, Rino”. E sorride, con quella tenerezza che non conosce distanza: “Me lo immagino che mi viene incontro ridendo e ce ne andiamo a mangiare la granita a Monte Mario”.
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