Huayna Potosì, in Bolivia: “il mio primo 6.000”

L’emozione, la fatica, la soddisfazione della giovane giornalista che per la prima volta supera una quota dal forte significato simbolico. Dove? Sulla Cordillera Real, su una montagna che sovrasta la città di La Paz e da cui lo sguardo arriva fino al Lago Titicaca L'articolo Huayna Potosì, in Bolivia: “il mio primo 6.000” proviene da Montagna.TV.

Apr 14, 2025 - 18:41
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Huayna Potosì, in Bolivia: “il mio primo 6.000”

A 6000 metri sul livello del mare l’aria inizia a farsi sottile. I passi sono pesanti, non ne va sprecato nessuno, lo stomaco si ribella e il sole brucia più del solito. E’ una soglia psicologica: se i 4000 ce li abbiamo sulle Alpi, e i 5000 non sono poi così lontani dalla vetta del Monte Bianco, i 6000 sono distanti dal mio immaginario europeo, un’altezza a cui fino a non molto tempo fa non avrei mai pensato di mettere piede. Il mio viaggio in Sud America è stato finora legato da un solo filo conduttore: la cordigliera delle Ande. Queste montagne mi hanno inevitabilmente posto di fronte a cime bianchissime, estetiche, sempre più alte, che non potevo non aver voglia di salire.

Il mio primo tentativo a un 6000 è stato in Cile, nel bel mezzo del deserto di Atacama, al confine con l’Argentina. Quel giorno il fiato e la gamba c’erano, ma un vento feroce e la nevicata notturna hanno respinto la nostra cordata intorno ai 5800 metri. Il secondo tentativo è stato il Parinacota, un cono vulcanico perfetto che si staglia a 6348 metri sull’altipiano boliviano. Venticinque chilometri a piedi di avvicinamento e una notte in tenda a 5200, poi la mattina della cima inizia con i ramponi ai piedi su una neve croccante. I fianchi del vulcano sono spazzati da un vento che non mi permette di stare in piedi, e di nuovo intorno ai 5800 siamo costrette alla ritirata.

La volta buona sarà la terza: lo Huayna Potosì, 6088 metri, una piramide scintillante che veglia sulla città di La Paz e mi dà il buongiorno dalla finestra della mia camera a Peñas, ancora sull’altipiano boliviano. Un sabato pomeriggio partiamo in auto con i ragazzi de La Cordillera Experience: siamo tutti al nostro primo 6000 a parte il Lore, che si presta a farci da guida tra i seracchi dello Huayna. Arriviamo al rifugio del campo alto senza grossi problemi avvolti da una nebbiolina bassa che nasconde tutto il panorama, e ci mettiamo subito ai fornelli. In barba a qualsiasi decalogo dell’alta quota, facciamo un pieno di proteine tra salsicce, formaggio e uova sode, conditi da abbondanti tisane contro il mal di testa. Il sonno a 5300 metri tarda ad arrivare: appena mi sdraio è come se l’ossigeno non arrivasse più ai polmoni, mi devo forzare per respirare a fondo, e finalmente addormentarmi.

La sveglia suona all’1.30 del mattino: abbiamo deciso di lasciare andare avanti tutte le altre cordate per avere il ghiacciaio (quasi) tutto per noi. Dopo una colazione a base di mate di coca, un’infusione fatta con le foglie che tutti masticano in Bolivia e che aiutano a contrastare la fame, il sonno e il mal di montagna, ci leghiamo e partiamo. Alle luci delle torce si intende già la maestosità di questo ghiacciaio, dei seracchi frastagliati che abbiamo a destra e a sinistra, del bianco dappertutto. In poco più di un’ora siamo sotto la pala chica, il primo tratto ripido della salita. Le gambe bruciano ma non mollano, e finalmente spuntano le luci rossastre che preannunciano l’alba. Con loro la temperatura crolla: tiro fuori dallo zaino tutti i vestiti che ho, le mani e le dita dei piedi iniziano a congelarsi mentre cerco di muoverle più possibile dentro i guanti e gli scarponi. Dal lato amazzonico l’umidità si alza in una tempesta che per adesso è lontana: le nuvole nere sono scosse da fulmini che illuminano il ghiacciaio a giorno, ma non si sentono tuoni.

La luce aumenta sempre di più, e siamo a 5800 metri: la quota a cui sono tornata indietro le altre volte, nonché uno scalino in cui i sintomi dell’altezza si intensificano. Appena passiamo l’isoipsa inizia la nausea, ma ormai siamo troppo vicini per ritirarci. Il primo raggio di sole ci raggiunge sotto la pala grande, l’ultima parete prima della vetta, mentre incrociamo le prime cordate che scendono. Sotto di noi c’è un mare di nuvole che la luce dell’alba fa brillare, siamo circondati dalle cime della Cordillera Real che spuntano con le loro creste affilate. Buttiamo giù qualcosa di caldo e mangiamo un pezzetto di cioccolata prima di affrontare l’ultima salita, con il fiato corto e le gambe ormai stanche.

La pala è ripida ma la cima si vede, è proprio lì dietro, e in un attimo siamo agli ultimi passi in cresta. Una di quelle creste merlettate di cornici a cui pensavo prima ancora di ritrovarmi in un posto così. La vetta è tutta per noi, c’è ancora il sole che illumina l’altipiano e il lago Titicaca, la città e le valli. Ce l’abbiamo fatta tutti insieme, ci abbracciamo e tiriamo fuori la torta per festeggiare un compleanno: non importa se siamo così nauseati dall’altezza da non riuscire a mangiarla, non capita tutti i giorni di compiere gli anni a 6088 metri. Ci godiamo la cima, la vista e la soddisfazione di essere arrivati così in alto, e rilasciamo un po’ di tensione prima di tornare a concentrarci per la discesa.

Appena puntiamo i ramponi verso il basso arrivano le nuvole: saranno così gentili da permetterci di scendere tutta la pala grande, poi ci copriranno la vista in un whiteout totale. Dal bianco filtra un sole fortissimo, che ci costringe a toglierci uno strato dopo l’altro e non ci evita comunque di sudare. La discesa fino al campo alto sembra non finire più, ogni pendio sembra l’ultimo ma non lo è, finché riusciamo a vedere il tetto del rifugio e la fine del ghiacciaio. Una merenda veloce e via giù, scappando dalla nevicata che ci insegue. Alla macchina c’è ancora il sole, e non c’è niente di più bello che togliersi giacche e scarponi e farsi accarezzare la pelle dai raggi. O forse sì: chiudere finalmente gli occhi e addormentarsi in auto dopo una sveglia in piena notte e una bella salita.

Informazioni tecniche

Lo Huayna Potosì si trova a pochi chilometri da La Paz. Si raggiunge in auto il Campo Base Rifugio Casablanca (4800 m) da cui inizia il trekking verso il Campo Alto (5300 metri). Qui si trovano diversi rifugi a poche centinaia di metri di distanza l’uno dall’altro. Si può scegliere di affrontare la salita autonomamente, se si ha esperienza alpinistica in quota e su ghiacciaio, o di affidarsi a una guida. Prima di cimentarsi con una montagna di questa altezza è indispensabile un buon acclimatamento, da effettuare nei giorni precedenti alla salita, con pernottamenti in quota (almeno 4000 metri) e brevi camminate.

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