86 cime dolomitiche sopra i 3000 metri in 86 giorni. Il progetto da Guinness di Luca Fois

Già membro delle Forze speciali dell’Esercito, il quarantenne di origini sarde ha ideato questo tentativo per rinascere a nuova vita dopo il congedo forzato. Un’occasione anche per far riscoprire cime o vie dimenticate. Il via a fine giugno L'articolo 86 cime dolomitiche sopra i 3000 metri in 86 giorni. Il progetto da Guinness di Luca Fois proviene da Montagna.TV.

Apr 15, 2025 - 10:31
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86 cime dolomitiche sopra i 3000 metri in 86 giorni. Il progetto da Guinness di Luca Fois

Ha sempre amato le montagne Luca Fois, padre e marito di 40 anni, residente ad Agrate Brianza ma originario di Cagliari. Un amore silenzioso e pacato, che si concretizzava nei fine settimana o nei periodi di ferie, come accade per la maggior parte delle persone. Ex militare con 20 anni di carriera nelle Forze Speciali dell’Esercito Italiano, mai avrebbe pensato che proprio le montagne sarebbero diventate il centro della sua rinascita personale. Una professione, la sua, che negli anni lo ha portato ad avere un fisico resistente e sempre allenato, e a conseguire numerosi brevetti: paracadutismo, immersione subacquea, alpinismo, arrampicata e sopravvivenza. Congedato un anno fa esatto per lesioni riportate in servizio, Fois ha deciso che era giunto il momento di voltare pagina e di utilizzare la montagna per ripartire, oltre che come strumento per lanciare un messaggio.

In queste settimane Fois si sta allenando per affrontare quella che definisce la più grande sfida della sua vita: scalare 86 cime oltre i 3.000 metri delle Dolomiti in una sola estate. Partenza prevista per l’ultima settimana di giugno. Un progetto che unisce passione, resistenza fisica e un profondo senso di gratitudine verso le montagne. 16 gruppi montuosi, due regioni e tre province italiane, per un dislivello totale stimato in oltre 100.000 metri, un po’ come sommare tutti gli 8000 in un’unica soluzione. Il messaggio che vuole mandare con questo tentativo, al di là della sua riuscita, è che anche a 40 anni sia possibile reinventarsi e perseguire grandi traguardi. Ma l’obiettivo non è solo sportivo e non ha “solamente” risvolti sociali:

“Ho chiesto il patrocinio dell’Associazione Nazionale Alpini (ANA) per documentare ogni via di accesso aggiornandone le condizioni, censendo punti critici, varianti dimenticate, tratti trascurati o danneggiati dal tempo e dalla scarsa frequentazione. Molti di questi percorsi, infatti, sfuggono ai circuiti del turismo di massa e rappresentano un patrimonio tecnico e naturalistico da valorizzare, ed è proprio questo che vorrei fare”, spiega Fois.

Vent’anni al servizio del tricolore. Possiamo chiederti in che tipo di operazioni eri coinvolto e perché il congedo?
Ho servito per vent’anni nell’Esercito Italiano, partendo dal 185° RRAO come Acquisitore Obiettivi e poi passando al 9° Col Moschin, dove ho operato come Incursore delle forze speciali. Dal 2007 al 2019 ho partecipato a numerose missioni operative, principalmente legate ad attività di ricognizione speciale, azioni dirette, antiterrorismo e altre operazioni tipiche del mondo FS. In totale, ho trascorso quasi quattro anni dispiegato all’estero. Il mio congedo è arrivato in seguito a una serie di lesioni che mi hanno reso non più idoneo al servizio attivo. Ho rifiutato una riconversione in ambito civile all’interno della Difesa, perché dopo tanti anni vissuti al massimo, non mi sentivo di restare a fare un lavoro che non fosse quello per cui mi ero preparato e formato con passione. Così ho deciso di chiudere quel capitolo e aprirne uno nuovo.

Un cambio vita un po’ obbligato, ci viene da pensare, ma necessario. Come l’hai presa e come sei giunto a pensare a questa impresa?
Non è stata una scelta né rapida né obbligata, ma sicuramente necessaria. Ho cominciato ad ascoltare i segnali: il corpo che iniziava a non reggere più certi ritmi, colleghi che si facevano male, e soprattutto la mia famiglia che cresceva. Prima è arrivato il mio primo figlio, poi il secondo, e il tempo lontano da casa è diventato troppo pesante da gestire, soprattutto vivendo in Toscana e avendo la famiglia in Lombardia. Continuare significava esserci sempre meno, e io volevo esserci davvero. Ho deciso di lasciare non perché non amassi più quel mondo, ma perché volevo essere presente come padre. E questa impresa è nata proprio da lì: dalla voglia di ritrovare una sfida vera, che mi rappresentasse, che mi rimettesse in gioco, ma che fosse anche compatibile con la mia nuova vita.

Come ti stai preparando?
Con un approccio molto vario e mirato. Mi segue un preparatore che è anche un mio ex collega, e insieme abbiamo costruito un piano di allenamento ibrido, pensato per uno sforzo di lunga durata come quello che mi aspetta. Mi alleno ogni giorno, senza pause vere: alterno trail running, bici, nuoto, vogatore, salto con la corda, arrampicata indoor e su vie alpine, ma anche potenziamento e pugilato. L’obiettivo è uno solo: mantenere il corpo in uno stato di attivazione costante, simulando la fatica quotidiana che affronterò durante l’impresa.

Come mai le Dolomiti e non altre montagne?
Perché le Dolomiti sono nel mio cuore. Le conosco, le frequento da anni, e le trovo meravigliose in ogni stagione. Ma soprattutto volevo un record che fosse nelle mie corde: non eccessivamente tecnico, visto che non sono un alpinista professionista, ma comunque impegnativo, mai tentato prima e costruito su misura per me. Un “one push” sulle 86 vette oltre i 3000 metri delle Dolomiti non era mai stato fatto. È un’impresa che richiede gamba, testa e spirito, non solo tecnica. In più, le Dolomiti stanno vivendo un momento delicato: tante vie sono trascurate, alcune in condizioni precarie. Mi piacerebbe anche attirare attenzione su questo, valorizzando le cime, riscoprendole, magari sistemando piccoli tratti o proponendo varianti sicure dove serve.

 Come hai scelto, di ogni vetta, la via da percorrere?
Sto seguendo come riferimento il libro “I 3000 delle Dolomiti. Le vie normali”, scritto da Alberto Bernardi e Roberto Ciri. Un lavoro accurato che ha ristretto la selezione a 86 cime univoche, evitando ripetizioni e dando priorità a quelle più significative geograficamente. Le vie normali sono spesso quelle più affascinanti, perché raccontano una storia, quella degli alpinisti che hanno aperto per primi quei tracciati. È anche un modo per onorare chi ha vissuto la montagna con passione e rispetto.

86 vette, 86 giorni… Una al giorno. In realtà, come hai programmato le salite?
L’idea iniziale era proprio una al giorno, ma per riuscire ad affrontare anche imprevisti e giornate di maltempo, abbiamo strutturato il piano in modo flessibile. Partiremo con i gruppi più a ovest, come le Pale di San Martino o l’Odle-Puez, e cercheremo di concatenare più cime possibili nelle stesse giornate. In alcuni casi faremo anche due, tre o quattro salite nella stessa uscita. Questo ci permette di accumulare margine e gestire meglio eventuali stop forzati.

Hai considerato anche “giornate di recupero” in caso di maltempo?
Assolutamente sì. Abbiamo previsto un 20% di giornate jolly, per gestire maltempo, recupero fisico e eventuali imprevisti. Ovviamente, per riuscire a rispettare la tabella, dovremo compensare facendo più di una cima in diversi momenti. È un gioco di equilibrio, ma ci siamo preparati anche a questo.

Chi ti seguirà in questa impresa?
Non sarò solo, e per fortuna. A supportarmi ci sarà Emanuele Chessa, ex alpino ed ex marinaio, oggi gestisce una palestra ed è il mio punto fermo per la logistica. Poi Michael Turconi, ex operatore delle forze speciali e ora paramedico in Canada, che si occuperà del mio supporto sanitario, anche a distanza. A loro si aggiungeranno guide alpine, appassionati, amici ed ex militari, membri dell’Associazione Nazionale Alpini e altri che si sono offerti di accompagnarmi lungo alcune vie. Alcuni li conosco, altri li incontrerò per la prima volta direttamente sul posto. È un’impresa collettiva, non ho mai voluto fare l’eroe solitario: credo che l’alpinismo, come la vita, si arricchisca quando è condiviso.

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