Figlia della tempesta: La Niña travolge la musica e urla contro il femminicidio
Con il suo secondo album, la cantautrice napoletana Carola Moccia rielabora la tradizione in chiave femminile e ribelle.

Gli esperti dicono che arriva ogni due-sette anni e che può influenzare le condizioni meteo di tutto il mondo: la Niña portatrice di tempeste e di cambiamenti è arrivata l’anno scorso. Poi c’è La Niña solo italiana, che da poco ha travolto la musica, spazzando via, con Furèsta ( nome dell’album pubblicato il 21 marzo), questo adagiarsi facile sulle sonorità mainstream.
Il collegamento tra il fenomeno climatico e Carola Moccia, cantautrice napoletana, classe 1991 è prevedibile, ma proprio per questo, piace. Non solo perché rimanda alla Natura che è femmina – com’è femmina questo album che attinge dal passato, ma si veste di presente e cattura, come un richiamo ancestrale (rigorosamente in napoletano), le donne – ma anche perché Figlia d’ ‘a Tempesta, il singolo uscito il 12 marzo scorso, sta diventando la voce inascoltata delle vittime di femminicidio.
Carola Moccia nata a Napoli e cresciuta a San Giorgio a Cremano è al suo secondo album: “Per me è stata una ripartenza di vita” racconta a Vanity Fair, spiegando che il filo conduttore di questo suo progetto discografico è l’infanzia. “Un tema che nella canzone campana non c’è: si parla quasi solo d’amore”, specifica. C’è chi la paragona a Teresa De Sio, chi a Rosalia, cantautrice spagnola, ma La Niña ha trovato una voce tutta sua, capace di far brillare la musica folk con un’anima glam e incursioni contemporanee inattese come l’autotune. Che incredibilmente non guasta!
Un ponte tra tradizione e modernità
La Niña si esprime attraverso sì, la musica napoletana, ma quella più antica, quella barocca, consegnandola insieme alle storie di ferite e di lotte, di donne e ragazze di tutto il mondo. Questo progetto musicale diventa così un mezzo per dare voce a un’identità femminile selvaggia, indomabile, libera da ogni costrizione culturale o sociale. La parola Furèsta, infatti, in napoletano può riferirsi a una gatta dal carattere ribelle, e viene utilizzata come metafora della condizione femminile: come le gatte selvatiche, anche le donne raccontate nel disco non possono essere domate. Il messaggio è chiaro: non è più il tempo del silenzio.
Se orecchie già abituate a Musica Nova di Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò o alle sperimentazioni degli Almamegretta, hanno trovato in lei una nuova scintilla è perché questa cantautrice del Sud ha fatto centro. Di sicuro anche lei ha capito che le origini della musica folk (nel suo caso quella radicata all’ombra del Vesuvio ) è un tesoro che può offrire ancora tanto, in forme diverse, e che può essere ancora il catalizzatore di energie dirompenti, ma soprattutto femminili.
Non solo il dialetto napoletano, che Geolier ha portato alla trap, o per esempio ancora prima di lui i 99Posse (quello politico e di protesta) al Raggamuffin, Guapparia, ‘O ballo d’ ‘e ‘mpennate, Ahi!, Oinè, Tremm’, Chiena ‘e scippe, Mammamà, Sanghe e Pica Pica – che sono (le altre) tracce presenti nell’album, suonate con mandolini, tamburi e cori femminili, ma mescolati a strumenti elettronici – ci immergono in un viaggio sensoriale che va a ritroso ma che rompe gli schemi, sia per i contenuti, sia per l’estetica.
Carola Moccia, che si è avvicinata alla musica molto presto grazie al padre musicista, ha studiato la chitarra fin da bambina. Ha conseguito il diploma al liceo classico e ha preso una laurea in filosofia e storia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Durante gli studi non ha abbandonato la sua attitudine verso le 7 note concretizzando collaborazioni interessanti come quelle con Jovine dei 99 Posse e Roberto Angelini. Dopo la laurea si trasferisce a Milano e consegue un master in comunicazione musicale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Debutta nel 2015 con il genere elettro pop e con un nome diverso, Cyen, in un duo, Tombe, assieme ad Alfredo Maddalauno. Il passo al primo contratto discografico è breve ma nel 2018 decide di intraprendere la carriera da solista, desiderosa di sperimentare nuove sonorità e dopo alcune collaborazioni, nel 2023 esce Vanitas il suo primo album.
Un messaggio che va oltre la musica
Il nuovo album è rivoluzionario. La potenza sonora de La Niña è approdata nella recente puntata di Propaganda live su La 7 dopo il toccante monologo di Francesca Mannocchi su Ilaria Sula e Sara Campanella, vittime di femminicidio. Di nuovo. L’ennesime vite spezzate da un machismo aberrante, che come ha sottolineato la scrittrice va fermato una volta per tutte, cominciando dal lessico, che spesso le colpevolizza. C’è tanto da lavorare.
Il brano cantato in studio è arrivato come uno schiaffo in piena faccia, un sussulto di consapevolezza, un risveglio di rabbia, che è già sceso nelle piazze, attraverso le manifestazioni spontanee di questi ultimi giorni in tutt’Italia, trasformandolo in un inno contro il femminicidio, che non ha confini. Perché in fondo, ovunque noi siamo, siamo tutte figlie della tempesta.