Gopher e funghi salvano il Monte Sant’Elena: la rinascita ecologica

Un’esplosione che ha annientato un ecosistema intero Nel Maggio del 1980, l’eruzione del Monte Sant’Elena, nello Stato di Washington, sconvolse violentemente il paesaggio. La violenta attività vulcanica cancellò ettari di foresta, ricoprendo il suolo con cenere vulcanica e pomice. Il risultato fu un ambiente arido, privo di vita vegetale e con il suolo superiore completamente […] Gopher e funghi salvano il Monte Sant’Elena: la rinascita ecologica

Apr 21, 2025 - 19:05
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Gopher e funghi salvano il Monte Sant’Elena: la rinascita ecologica
Un’esplosione che ha annientato un ecosistema intero Nel Maggio del 1980, l’eruzione del Monte Sant’Elena, nello Stato di Washington, sconvolse violentemente il paesaggio. La violenta attività vulcanica cancellò ettari di foresta, ricoprendo il suolo con cenere vulcanica e pomice. Il risultato fu un ambiente arido, privo di vita vegetale e con il suolo superiore completamente distrutto. Nel cuore di questo disastro, un gruppo di scienziati ambientali ha individuato una strategia audace per stimolare il recupero ecologico: utilizzare gopher locali come vettori naturali di rigenerazione del suolo. I gopher: piccoli ingegneri ecologici Nel 1982, due anni dopo l’eruzione, un team di ricerca decise di rilasciare i gopher in aree recintate all’interno della zona più colpita dal disastro. Nonostante siano spesso visti come parassiti agricoli, i gopher americani sono noti per scavare gallerie che portano in superficie strati di suolo più profondi e ricchi. Secondo Michael Allen, microbiologo dell’Università della California Riverside, l’idea era semplice ma brillante: riportare in superficie i microrganismi sopravvissuti sotto la cenere, favorendo così un ritorno della vegetazione. L’azione dei gopher ha permesso il ripristino del microbioma del suolo e la diffusione di funghi micorrizici, essenziali per la sopravvivenza delle piante. Un solo giorno, un effetto di 40 anni I gopher sono rimasti nell’area solo per 24 ore, ma l’impatto è stato sbalorditivo. Sei anni dopo, le zone da loro lavorate contavano oltre 40.000 piante, in netto contrasto con le aree circostanti, rimaste inospitali. Questi risultati sono diventati ancora più significativi con lo studio pubblicato nel 2024 sulla rivista Frontiers in Microbiomes. La ricerca ha mostrato che le parcelle storiche con attività dei gopher ospitano oggi una biodiversità microbica superiore rispetto persino alle foreste originarie precedenti all’eruzione. Le comunità fungine, fondamentali per l’equilibrio ecologico, erano più diversificate e abbondanti nelle aree di attività dei roditori rispetto alle zone disboscate artificialmente come Bear Meadow. Funghi micorrizici: i veri protagonisti del recupero Oltre ai gopher, la vera chiave della rigenerazione dell’ecosistema è stata la rete sotterranea di funghi micorrizici, come ha spiegato Emma Aronson, microbiologa ambientale della UCR e coautrice dello studio. Questi funghi formano relazioni simbiotiche con le radici delle piante, fornendo nutrienti e ricevendo carbonio in cambio. Dopo l’eruzione, nonostante la caduta degli aghi causata dalla cenere, molte foreste di conifere sono ricresciute rapidamente grazie alla presenza di questi funghi simbionti. Dove invece la vegetazione era stata rimossa meccanicamente, l’assenza dello strato di aghi e dei funghi associati ha impedito la ripresa. Un esperimento che ha rivoluzionato l’ecologia L’intervento del 1982, inizialmente visto come un semplice test a breve termine, ha rivelato effetti ecologici duraturi e trasformativi. “Chi avrebbe mai pensato che un gopher lanciato per un giorno avrebbe lasciato un’eredità lunga 40 anni?”, si chiede Allen. Il caso del Monte Sant’Elena rappresenta oggi un esempio emblematico di come interventi minimi, ma strategici, possano cambiare radicalmente le traiettorie ecologiche di un ambiente devastato. Fonti citate:
  • Università della California Riverside
  • Rivista Frontiers in Microbiomes
  • Emma Aronson e Michael Allen, studi 2024

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