Lucio Corsi, dall’autenticità alla sovraesposizione: ma non voleva essere altro che Lucio?

Il successo di Lucio Corsi, dall’autenticità alla sovraesposizione del cantautore toscano emergente dopo la partecipazione a Sanremo 2025. Chi conosce la carriera musicale di Lucio Corsi sa che la sua poetica si è sempre mossa tra realtà e sogno, tra immagini lunari e trasformazioni immaginate. È sempre stato un artista retrò, un narratore gentile, che […] L'articolo Lucio Corsi, dall’autenticità alla sovraesposizione: ma non voleva essere altro che Lucio? proviene da All Music Italia.

Apr 10, 2025 - 07:46
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Lucio Corsi, dall’autenticità alla sovraesposizione: ma non voleva essere altro che Lucio?

Il successo di Lucio Corsi, dall’autenticità alla sovraesposizione del cantautore toscano emergente dopo la partecipazione a Sanremo 2025.

Chi conosce la carriera musicale di Lucio Corsi sa che la sua poetica si è sempre mossa tra realtà e sogno, tra immagini lunari e trasformazioni immaginate. È sempre stato un artista retrò, un narratore gentile, che canta il mondo attraverso metafore poetiche, ironie sottili e visioni delicate…

“Volevo essere un duro però non sono nessuno, non sono altro che Lucio.”: questo punto di Volevo essere un duro, la canzone che Lucio Corsi ha cantato al Festival, suona come un monito, o forse un presagio o forse ancora una confessione dimenticata perché invece oggi Lucio è ovunque!

Interviste, programmi, speciali, rubriche, podcast, dirette, comparsate, inviti, citazioni, commenti. Da artista intimo e fuori dagli schemi, si è trasformato nel nuovo divo da piazzare ovunque. Il riflettore, che nella canzone era quasi una minaccia  “Stai attento alla luce” è diventato un sole fisso puntato sul suo viso. E la domanda, a questo punto, è inevitabile: che ne resta di Lucio, quello “non duro”, quello “cintura bianca di judo”?

Il successo di Lucio Corsi: il cantautore toscano da Sanremo alla sovraesposizione 

Lucio Corsi è sempre stato un artista retrò, un narratore gentile, che canta il mondo attraverso immagini poetiche, metafore lunari, ironie sottili. Uno che nel suo album precedente si travestiva da animale, da astronauta e da se stesso senza mai perdere il senso del gioco, eppure tenendo sempre la musica come cosa seria.

Poi è arrivato Sanremo. E come spesso accade con chi porta qualcosa di diverso, il sistema prima lo accoglie con curiosità, poi lo osanna, infine lo stritola. Da artista di nicchia a fenomeno mediatico, il passo è stato brevissimo.

Ma il problema non è la popolarità. Il problema è l’uso bulimico che si fa di questi artisti, senza alcun rispetto per la forma d’arte che appartiene alla loro anima. È come se l’industria dicesse: “Abbiamo trovato una gallina dalle uova d’oro”. Altra citazione profetica del testo sanremese.

E allora via, a imbottirla di visibilità, a spingerla in ogni contesto possibile, anche il più estraneo e lontano dal suo mondo e modo di essere.

Peccato che Lucio non sia una gallina. È Lucio. Solo Lucio.

dopo sanremo 2025: Quando il personaggio diventa più importante della canzone

Nella sua canzone, Corsi lo dice chiaramente di essere :Invece che una stella, uno starnuto.Una dichiarazione poetica e potente, di estrema semplicità. Un autoritratto dell’anti-divo per eccellenza.

Ma se il pubblico comincia a percepirlo come “una stella, un personaggio” invece che semplicemente “uno che suona”, qualcosa si rompe.

Quando un artista viene imposto, anche l’ascoltatore più fedele rischia di provare una sottile forma di rifiuto, quasi antipatia. Non per la musica in sé, ma per il rumore intorno.

“E che le lune senza buche sono fregature” è un’altra immagine bellissima nella canzone: sembra un consiglio al se stesso futuro, quello che forse oggi ha smarrito: attenzione a non diventare un prodotto levigato, senza spigoli, senza imperfezioni, senza verità.

Lucio Corsi, nella sua scrittura, è pieno di “buche”, e proprio per questo lo si ama. Perché non è costruito, né levigato. Eppure oggi chi lo promuove, lo spinge, lo programma rischia di trasformarlo in qualcosa che non è. E che non voleva essere. (Vero, Lucio, confermami che è così! E’ importante per me, per quello che penso di te!)

La meraviglia del ritmo lento della musica cantautorale

Il cantautorato non cerca scorciatoie, non si può consumare a colazione, a cena, nei magazine televisivi, nei giochi a premi, nei podcast sul festival, nelle interviste sulle tendenze.

Non si può ascoltare Lucio Corsi in sottofondo in una catena di fast food perché il rischio è che diventi musica da sottofondo. Il rischio è che il pubblico cominci ad associarlo più alla sua immagine che al suo canto. Che la sua indentità diventi invisibile proprio nel momento in cui è più visibile.

Il cantautore toscano è un ragazzo che canta l’assurdità dell’essere, la fragilità dell’essere umano. Uno che ha scritto una canzone che si chiude con “Non sono altro che Lucio.”

Ed è proprio da qui che bisognerebbe ripartire nella musica italiana: dall’umiltà, dall’intimità, dalla delicatezza.

Dalla possibilità di sparire per un po’, per tornare a dire qualcosa di davvero autentico, che senta veramente l’urgenza di comunicare. Dalla libertà di non dover essere ovunque, per poter essere davvero.

Questo sarebbe il vero successo per il Lucio Corsi, l’artista indipendente che abbiamo imparato a conoscere prima del Festival. Riuscirà a restare fedele a se stesso?

 

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