Alberto Stasi a Inside: “Mi auguro che salti fuori la verità, che emerga quello che non è ancora emerso”

Le dichiarazioni di Alberto Stasi a Inside, nell'intervista in onda in prima serata su Italia 1 domenica 30 marzo 2025 The post Alberto Stasi a Inside: “Mi auguro che salti fuori la verità, che emerga quello che non è ancora emerso” appeared first on Davide Maggio.

Mar 29, 2025 - 15:50
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Alberto Stasi a Inside: “Mi auguro che salti fuori la verità, che emerga quello che non è ancora emerso”

Alberto Stasi è il protagonista della prima puntata del nuovo ciclo di Inside, lo spin-off de Le Iene in onda da domani – domenica 30 marzo – in prima serata su Italia 1.

Intitolata “Delitto di Garlasco: caso riaperto”, è un’inchiesta di Alessandro De Giuseppe e Riccardo Festinese per fare luce sulla vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi nel 2007 a Garlasco, in provincia di Pavia, ricostruita con contenuti anche inediti, tra cui l’intervista a colui che è stato dichiarato colpevole e condannato a 16 anni di carcere, ma che oggi torna a sperare dopo gli ultimi sviluppi e la riapertura del caso.

Le dichiarazioni di Alberto Stasi a Inside

Nell’intervista a Inside, Stasi si apre a riflessioni sulla libertà e sulla sua vita quotidiana, fuori e dentro il carcere. Ecco un’anticipazione delle sue dichiarazioni.

De Giuseppe: Sono passati tre anni da quando ti sei seduto davanti alle nostre telecamere. Cosa è successo nel frattempo?

Stasi: Tre anni piuttosto lunghi, però ho fatto progressi. Ho iniziato a lavorare fuori, a poter vedere un po’ di più la mia famiglia e quindi, insomma, ad andare un po’ più avanti, ecco, piccole cose.

De Giuseppe: Hai visto cosa sta succedendo adesso?

Stasi: Certo, sì. È uno tsunami di emozioni, chiamiamolo così. Io mi auguro che si possa arrivare alla verità, alla giustizia, per Chiara soprattutto, per la sua famiglia, per tutti quanti. È una cosa a cui tengo molto, ma diciamo che, più che altro, sono in attesa degli sviluppi, ecco.

De Giuseppe: Ma ti senti più fiducioso per quello che sta accadendo o temi che tutto questo possa anche non portare a niente?

Stasi: La vivo con fiduciosa attesa, con speranza. Quello che ho in cuore è che salti fuori la verità, che venga alla luce tutto quello che deve emergere, che non è ancora emerso. Nient’altro. Io, comunque, tra pochi mesi potrei anche essere definitivamente a casa; quindi, non sono questi pochi mesi che per me fanno la differenza, ho motivazioni più profonde, insomma, sarebbe molto più importante per me, per la mia famiglia e per Chiara, trovare la verità.

De Giuseppe: C’è un sentimento che prevale: rabbia, delusione, consapevolezza, quando pensi alla vicenda, a quello che sta accadendo adesso?

Stasi: Forse un misto delle cose, un misto di tutto. Come ti ho detto prima è un po’ uno tsunami, non è che si può scindere tra un’emozione piuttosto che un’altra. Diciamo che forse quella che emerge di più è il senso di fiducia, di speranza che tutto possa essere chiarito, accertato.

De Giuseppe: Cosa pensi di Andrea Sempio, lo conoscevi, lo avevi mai visto?

Stasi: No, non ci conosciamo, non l’ho mai visto se non adesso, ovviamente, e nel 2017. Era un amico del fratello e quindi, anche da un punto di vista di età, insomma, totalmente estraneo alla mia cerchia di amicizie e di conoscenze, quindi mai visto, mai sentito.

De Giuseppe: Adesso tutti puntano il dito su di lui prima ancora che venga celebrato qualsiasi genere di processo, un po’ come successe a te 18 anni fa. Cosa ne pensi?

Stasi: Io sono sempre assolutamente garantista. Sono anche comunque convinto che non si debba mai avere paura della verità e che quindi non ci sia motivo di sottrarsi a nessun tipo di accertamento della verità.

De Giuseppe: La Procura di Pavia sostiene che quel DNA è il suo, dopo averlo confrontato con quello trovato sotto le unghie di Chiara. Cosa ne pensi di questa faccenda della degradazione del DNA?

Stasi: Col mio (DNA, ndr.) è stato comparato e non è risultato quello. Quindi evidentemente se è stata fatta una comparazione penso che si possa fare una comparazione. Non avrebbe senso richiedere una comparazione se non fosse in radice non comparabile.

De Giuseppe: Hai mai pensato che un giorno avresti dimostrato la tua innocenza? Oppure è una cosa che a un certo punto non ti ha più preoccupato?

Stasi: No, è sempre un problema. Non è che è qualcosa che si può nascondere, solo che non dipende totalmente da me. Ci sono dei limiti, ovviamente da quello che noi possiamo fare, io posso fare, serve la buona volontà, gli uomini di buona volontà.

De Giuseppe: Credi ancora nell’idea di una giustizia giusta?

Stasi: Sì, penso che sia possibile, sempre legata alla volontà delle persone che la gestiscono e l’amministrano.

De Giuseppe: Cosa ti ha tolto il carcere?

Stasi: Molti anni di vita, sicuramente anni di vita che tu hai diritto di vivere in modo tranquillo come meglio credi, che invece non torneranno mai più.

De Giuseppe: Tu ti sei sempre proclamato innocente e hai passato dieci anni in carcere.

Stasi: Sì, certo.

De Giuseppe: Come hai vissuto dentro di te questa cosa?

Stasi: Credo che, insomma, ci siano degli strumenti interiori che ognuno di noi ha. Io faccio spesso un esempio che credo sia calzante, è un po’ come quando ti viene diagnosticato un cancro. Ti capita, in qualche modo devi reagire. Diciamo che, come ho detto altre volte, io ho quanto meno la leggerezza della coscienza che mi aiuta. È difficile magari da capire, però il senso di non avere il peso di quello che è successo che ti logora dentro e che quindi, in qualche modo, ti fa vivere la questione come un incidente della tua vita, molto grave, molto brutto, ma che riesci ad affrontare.

De Giuseppe: Quindi la tua innocenza diventa una risorsa, invece che un peso?

Stasi: Certo è una risorsa, è uno strumento interiore che hai per far fronte alle difficoltà quotidiane, alla privazione della libertà, al non poter vedere la famiglia e al non poter fare quello che siamo, cioè nati liberi.

De Giuseppe: E in questo hai visto una differenza con le persone che hai incontrato in carcere?

Stasi: Sì. Ci sono persone che sono lì consapevoli di quello che hanno fatto, che hanno deciso di fare e che quindi, in qualche modo…non saprei come spiegarlo da un punto di vista umano, però si capisce che incolpano loro stessi. Diverso è il mio caso.

De Giuseppe: Cosa ricordi del giorno della tua condanna?

Stasi: Tristezza, disperazione, mia mamma, insomma, queste cose.

De Giuseppe: Non ti è mai successo di pensare, visto che ti hanno assolto due volte, poi ti hanno condannato. Forse è il caso di…?

Stasi: No, gli innocenti non scappano, assolutamente no.

De Giuseppe: E invece del giorno della morte di Chiara, di quella mattina, oggi che sono passati 18 anni, cosa ricordi?

Stasi: Ricordo che per me era iniziato tutto come una mattinata assolutamente normale.

De Giuseppe: Ma c’è un’immagine che hai proprio scolpita nella mente?

Stasi: Tutto, diciamo, costituisce immagine. È difficile da rendere ma, tutta la casa, tutto quello che c’era in quella casa. Chiara, la casa. È un insieme, non è un dettaglio.

Stasi: Tra pochi mesi potrei chiedere l’affidamento in prova e tornare finalmente a casa, a parte i tempi tecnici che ovviamente devono sempre essere messi in conto.

De Giuseppe: Oggi, la tua giornata tipo com’è?

Stasi: Esco la mattina, mi reco in ufficio, pausa pranzo, colleghi, lavoro e poi rientro alla sera. Quindi è, diciamo, assolutamente conforme a quella di qualunque altra giornata tipo di chi va al lavoro, ecco. Il lavoro esterno dipende se sei in un reato che rientra nell’art. 4bis piuttosto che no. Ci sono dei termini di legge decorsi i quali tu hai il diritto a chiedere di poter andare a lavorare all’esterno, e quindi iniziare a reinserirti nel mondo del lavoro. Non è ovviamente scontato, dipende dalla condotta della persona, nel mio caso non ci sono state mai particolari problematiche, però è un diritto a chiedere, non a ricevere.

De Giuseppe: È un lavoro che ti piace?

Stasi: Sì, mi piace. I colleghi soprattutto sono molto simpatici. Ovviamente ho degli orari, delle prescrizioni che riguardano i mezzi da impiegare per andare al lavoro, la strada da fare, la pausa pranzo, quindi è tutto regolamentato nei dettagli, anche per le persone che posso frequentare durante l’orario di lavoro. 

De Giuseppe: Non sei in cella ma ogni giorno è uguale a quello precedente?

Stasi: Sì, non è poi molto diverso da quello che viene percepito da chi non ha prescrizioni. Nel senso, io prendo i mezzi pubblici e mi rendo conto che le persone che salgono a quell’ora sono sempre le stesse. C’è una routine che è quella quotidiana un po’ di tutti. Ci sono tutta una serie di limitazioni di prescrizioni molto rigide stabilite e controllate anche, che devo seguire.

De Giuseppe: E invece, quando sei dentro, i rapporti con gli altri detenuti come sono?

Stasi: Assolutamente cordiali. Secondo me si crea un po’ di “cameratismo”: persone, innanzitutto, che si trovano nella tua stessa situazione per motivi diversi, certo, ma comunque nello stesso contesto. È difficile quindi che non si vada eccessivamente d’accordo. È un contesto molto più umano di quello che si può pensare.

De Giuseppe: Hai incontrato persone che ti hanno, in qualche maniera, arricchito?

Stasi: Sì, ho ascoltato storie che normalmente non avrei mai potuto ascoltare. Da un punto di vista umano è un arricchimento, anche se a volte ci sono molte sofferenze dietro e capisci cose che non avresti mai potuto capire.

De Giuseppe: Qual è stata la cosa più difficile che hai vissuto in carcere, a parte la privazione della libertà?

Stasi: Questa parola racchiude tutto. Non è possibile scindere qualcosa in particolare, racchiude qualunque cosa, parli di privazione della liberà ma significa tutto, non significa non poter andare al parco, ma significa qualunque cosa che tu non puoi fare.

De Giuseppe: Tu lo vedi, negli occhi degli altri, questo marchio da “assassino” che ti porti, volente o nolente, addosso?

Stasi: No. Nelle persone con cui lavoro assolutamente no, c’è un rapporto che si costruisce giorno per giorno come in qualsiasi ambiente di lavoro, neanche mi chiedono.

De Giuseppe: Ma più in generale, questa etichetta ti pesa?

Stasi: Certo, pesa a tutti. Soprattutto perché tu non sei causa del tuo male, in questo caso.

De Giuseppe: E come ce la si stacca di dosso?

Stasi: Non so se ce la si può staccare di dosso. Forse era Einstein che diceva che “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”? Credo che ci si debba rassegnare al fatto che non tutti possano essere sempre convinti della stessa cosa, che forse è anche come dire che è la libertà che ci è stata concessa, di poter pensare a quello che vogliamo.

De Giuseppe: Ma come ci si prepara ad una sentenza definitiva?

Stasi: È come quando ti diagnosticano un male incurabile, arriva la notizia, la devi prendere e la devi affrontare per quella che è, non hai alternative, non ci sono piani b, quindi fai quello che devi fare, semplicemente questo.

De Giuseppe: Tu sei credente?

Stasi: Sì, la fede aiuta nei momenti più difficili. È un qualcosa che rimane latente quando la tua vita va bene e a cui ci si aggrappa quando invece le cose non vanno bene. Io ho un rapporto poco religioso ma molto più interiore, di fede vera, ma magari meno legata alle tradizioni. 

De Giuseppe: Cosa ti ha insegnato il carcere?

Stasi: Impari ad avere delle risorse interiori. Come tutti i contesti difficili o i momenti difficili che possono accadere nella vita. Non è che sia una questione scontata, dipende sempre da te, non è il luogo in cui ti mettono che fa la differenza, tu però sei te stesso e in qualche modo impari a gestire tutto quello che hai intorno, ti crei una ragione, hai degli strumenti interiori per cercare di rispondere a quella situazione che ti viene calata addosso.

De Giuseppe: Dopo tutti questi anni che senso dai alla tua condanna?

Stasi: Per me nessuno. Poi si può anche cercare un motivo, visto che sono credente, per cui, in qualche modo, il Signore ha voluto darmi questo peso, per insegnarmi qualcosa, non so, sinceramente non so il disegno che può esserci dietro. A volte le avversità vengono fatte, date, dispensate per aiutarci a crescere in un certo modo.

De Giuseppe: Veramente hai questo pensiero?

Stasi: A volte sì. Perché comunque non ti dai una spiegazione umana, terrena. Cioè, potrei dire che sono stato sfortunato, che ero nel posto sbagliato al momento sbagliato, però è una cosa un po’ sciocca, cioè riduttiva, e non può ridursi tutto a questo, deve esserci necessariamente un qualcosa di più che noi non vediamo, che noi non sappiamo, comunque ti devi dare una giustificazione, non la trovi nelle cose che hai intorno, magari è solo un’illusione o magari invece no.

De Giuseppe: Se potessi tornare indietro all’epoca dei processi e delle indagini, ci sarebbe una cosa che cambieresti?

Stasi: Beh, inizierei guardare dove stiamo guardando adesso.

De Giuseppe: Tra non molto tornerai a essere libero. La prima cosa che farai?

Stasi: Ho progetti molto semplici, proprio da Mulino Bianco! Io vorrei una famiglia classica, quello che cerco è la tranquillità, ed è quello che poi alla fine ho sempre desiderato. Quindi sogni piccoli. Però per me è importante.

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