Racconti vividi e infiniti mondi. Intervista a Lucio Corsi
Che la musica e la poesia siano legate nel profondo, lo dimostrano – oltre all’origine della parola canzone – realtà musicali come quella di Lucio Corsi. Un ragazzo di 26 anni che con le sue canzoni dimostra come nel 2020, tra tradizione e trap, ci sia ancora posto per una musica d’autore intima e immaginaria. I testi di Lucio Corsi sono come il testamento di quella poetica dell’indefinito che dalla letteratura si sposta direttamente nei testi delle canzoni di alcuni nostri cantautori. Se l’album precedente, Bestiario Musicale, possedeva l’intento, espresso sin dal titolo, di dare un nome, o meglio un preciso suono, ad alcuni degli animali che vivono i boschi e le campagne, Cosa faremo da grandi? si caratterizza per essere più introspettivo e riflessivo. Accanto al mondo incontaminato della natura selvaggia, questa volta trovano rappresentazione anche scenari di grandi città come Milano, e treni che entrano dentro le bocche spalancate (Freccia Bianca). Ma non solo realtà “nostrane”: ritroviamo anche mondi lontani come la Cina (Bigbuca), da raggiungere scavando sottoterra, con percorsi e meccanismi che a tratti ricordano gli spostamenti oltremondani della Divina Commedia: “Voglio vedere se quando sarò di là / avrò imbrogliato tutto anche la gravità / e come avessi fatto un salto / inizierò a cadere con le gambe in alto / stiamo a vedere se anche il cielo ha un tetto / un soffitto un pavimento / e un grande lampadario appeso / a volte resta acceso a volte spento.” Accanto a viaggi fantastici, anche messaggi importanti: così la canzone che dà il nome all’album si fa portavoce di una rivalutazione dell’inizio, delle grandi imprese interrotte, buttate nel vento. Nella convinzione che cambiare i piani non rappresenti un fallimento, bensì un nuovo inizio. Così, anche in Trieste il vento da freno diventa una spinta, “utile per tenere le nuvole in viaggio, per chi è fermo e non trova il coraggio, vento che spinge sia le barche che gli uomini, se non riescono a muoversi”. Una musica d’autore nel senso più stretto del termine, che lega la tradizione cantautoriale italiana a sonorità rock anglosassoni, come l’intro sorprendete che apre Freccia Bianca. Il look glamour che lo contraddistingue è la parte esteriore di un animo sensibile, che ritorna nei racconti trasparenti e leggeri delle canzoni. Racconti vividi e infiniti mondi: se dovessi raccontare la musica di Lucio Corsi a chi non può ascoltarla userei sicuramente un quadro. Nell’attesa che lo stand-by di queste lunghe giornate finisca, e che il tour, che si è aperto con un sold out a Pisa e Roma, riprenda, gli abbiamo fatto qualche domanda, sul nuovo album e i suoi interessi. Le tue canzoni sembrano uscite da un libro di favole, hanno qualcosa di magico e antico. La tua scrittura è delicata e leggera, senza essere superficiale. Alcune delle tue canzoni potrebbero essere tranquillamente inserite in una raccolta di poesie. Che peso ha la letteratura nella tua vita? 107 kg. In questo periodo sto leggendo libri di Ambrogio Fogar, Aprire il fuoco di Bianciardi e mi sono appassionato alle poesie di Emily Dickinson. “A volte il giorno d’oggi /Ti può sembrare notte / Se corri all’incontrario ti tornano le forze”. Nel tuo album torna spesso un atteggiamento quasi anticonformista; penso, ad esempio, ai salmoni che nuotano controcorrente. Anche il brano Cosa faremo da grandi? è legato all’idea del ricominciare, rifiutando la concezione per la quale il successo e la soddisfazione professionale risiedano solo nel raggiungimento di un obiettivo. C’è una rivalutazione dell’inizio, della voglia di ricominciare e mettersi in gioco. Ti vedi in questo atteggiamento anticonformista? Non saprei, io cerco di fare ciò che mi fa stare bene. La cosa che mi interessa è esser soddisfatto delle canzoni, senza scendere a compromessi inutili e assurdi nel campo dell’espressione artistica. Quasi due anni fa sono andata via da un piccolo paese per trasferirmi in una grande città. Durante il viaggio mi sentivo così inebriata da quello a cui stavo andando incontro; invece, con il tempo, le cose sono cambiate. In questo periodo, quando mi capita di tornare a casa, mi sento come il protagonista di Freccia Bianca. Le tue parole mi hanno ricordato un pezzo del monologo di Stefano Accorsi in RadioFreccia: “Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx”. Cosa ne pensi? Hai portato con te a Milano qualcosa che avresti voluto lasciare indietro? Più che fuggire da se stessi bisognerebbe incontrarci e parlare un po’, chiarirsi fra sé e sé. Il tuo album precedente era concentrato sulla natura e in particolare gli animali. In Cosa faremo da grandi? c’è ancora l’attenzione agli elementi naturali, come il mare. Come vivi questo legame con la natura in una grande città come Milano? Con i suoi palazzi alti; è una città che spesso viene paragonata quasi a un mostro di cemento. È sicur

Che la musica e la poesia siano legate nel profondo, lo dimostrano – oltre all’origine della parola canzone – realtà musicali come quella di Lucio Corsi. Un ragazzo di 26 anni che con le sue canzoni dimostra come nel 2020, tra tradizione e trap, ci sia ancora posto per una musica d’autore intima e immaginaria. I testi di Lucio Corsi sono come il testamento di quella poetica dell’indefinito che dalla letteratura si sposta direttamente nei testi delle canzoni di alcuni nostri cantautori.
Se l’album precedente, Bestiario Musicale, possedeva l’intento, espresso sin dal titolo, di dare un nome, o meglio un preciso suono, ad alcuni degli animali che vivono i boschi e le campagne, Cosa faremo da grandi? si caratterizza per essere più introspettivo e riflessivo. Accanto al mondo incontaminato della natura selvaggia, questa volta trovano rappresentazione anche scenari di grandi città come Milano, e treni che entrano dentro le bocche spalancate (Freccia Bianca). Ma non solo realtà “nostrane”: ritroviamo anche mondi lontani come la Cina (Bigbuca), da raggiungere scavando sottoterra, con percorsi e meccanismi che a tratti ricordano gli spostamenti oltremondani della Divina Commedia:
“Voglio vedere se quando sarò di là / avrò imbrogliato tutto anche la gravità / e come avessi fatto un salto / inizierò a cadere con le gambe in alto / stiamo a vedere se anche il cielo ha un tetto / un soffitto un pavimento / e un grande lampadario appeso / a volte resta acceso a volte spento.”
Accanto a viaggi fantastici, anche messaggi importanti: così la canzone che dà il nome all’album si fa portavoce di una rivalutazione dell’inizio, delle grandi imprese interrotte, buttate nel vento. Nella convinzione che cambiare i piani non rappresenti un fallimento, bensì un nuovo inizio. Così, anche in Trieste il vento da freno diventa una spinta, “utile per tenere le nuvole in viaggio, per chi è fermo e non trova il coraggio, vento che spinge sia le barche che gli uomini, se non riescono a muoversi”.
Una musica d’autore nel senso più stretto del termine, che lega la tradizione cantautoriale italiana a sonorità rock anglosassoni, come l’intro sorprendete che apre Freccia Bianca. Il look glamour che lo contraddistingue è la parte esteriore di un animo sensibile, che ritorna nei racconti trasparenti e leggeri delle canzoni. Racconti vividi e infiniti mondi: se dovessi raccontare la musica di Lucio Corsi a chi non può ascoltarla userei sicuramente un quadro.
Nell’attesa che lo stand-by di queste lunghe giornate finisca, e che il tour, che si è aperto con un sold out a Pisa e Roma, riprenda, gli abbiamo fatto qualche domanda, sul nuovo album e i suoi interessi.
Le tue canzoni sembrano uscite da un libro di favole, hanno qualcosa di magico e antico. La tua scrittura è delicata e leggera, senza essere superficiale. Alcune delle tue canzoni potrebbero essere tranquillamente inserite in una raccolta di poesie. Che peso ha la letteratura nella tua vita?
107 kg. In questo periodo sto leggendo libri di Ambrogio Fogar, Aprire il fuoco di Bianciardi e mi sono appassionato alle poesie di Emily Dickinson.
“A volte il giorno d’oggi /Ti può sembrare notte / Se corri all’incontrario ti tornano le forze”. Nel tuo album torna spesso un atteggiamento quasi anticonformista; penso, ad esempio, ai salmoni che nuotano controcorrente. Anche il brano Cosa faremo da grandi? è legato all’idea del ricominciare, rifiutando la concezione per la quale il successo e la soddisfazione professionale risiedano solo nel raggiungimento di un obiettivo. C’è una rivalutazione dell’inizio, della voglia di ricominciare e mettersi in gioco. Ti vedi in questo atteggiamento anticonformista?
Non saprei, io cerco di fare ciò che mi fa stare bene. La cosa che mi interessa è esser soddisfatto delle canzoni, senza scendere a compromessi inutili e assurdi nel campo dell’espressione artistica.
Quasi due anni fa sono andata via da un piccolo paese per trasferirmi in una grande città. Durante il viaggio mi sentivo così inebriata da quello a cui stavo andando incontro; invece, con il tempo, le cose sono cambiate. In questo periodo, quando mi capita di tornare a casa, mi sento come il protagonista di Freccia Bianca. Le tue parole mi hanno ricordato un pezzo del monologo di Stefano Accorsi in RadioFreccia: “Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx”. Cosa ne pensi? Hai portato con te a Milano qualcosa che avresti voluto lasciare indietro?
Più che fuggire da se stessi bisognerebbe incontrarci e parlare un po’, chiarirsi fra sé e sé.
Il tuo album precedente era concentrato sulla natura e in particolare gli animali. In Cosa faremo da grandi? c’è ancora l’attenzione agli elementi naturali, come il mare. Come vivi questo legame con la natura in una grande città come Milano? Con i suoi palazzi alti; è una città che spesso viene paragonata quasi a un mostro di cemento. È sicuramente diversa dalla Toscana…
La mia casa è il mare con un fiume no, non la posso cambiare… pensa cambiare il mare con una città, impossibile. A Milano cerco di starci il meno possibile, quando posso me ne torno in maremma.
Gli artwork dei tuoi lavori sono veramente speciali. Sono stati realizzati da tua mamma, che dipinge. I disegni li vedo pienamente in linea con il tuo profilo artistico. In particolare, quando ascolto le tue canzoni e vedo quei dipinti penso alla Metafisica di De Chirico o al Realismo Magico – una corrente artistica della prima metà del Novecento. Che rapporto hai con l’arte?
Ultimamente mi sono appassionato ad Antonio Ligabue e De Chirico. Poi i fumetti di Pazienza, Moebius.
Ascoltando i tuoi album ho pensato più volte al teatro. In particolare, mi riferisco a Senza titolo o Lucertola. Non sono mai stata ad un tuo live, ma voglio rimediare. Nelle tue esibizioni, è presente anche un’attenzione alla performance recitativa?
Ci sono delle parti recitate nei concerti sì, mi piace intervallare le canzoni con introduzioni parlate. Amo Gaber, quella forma di spettacolo la trovo affascinante.
Nell’album ritorna un’attenzione particolare ai dettagli geografici dei racconti. C’è la tua terra, aspra e selvaggia, il mare, Trieste, Milano, ma anche la Cina. Ciò nonostante mi sembrano racconti quasi sospesi. Le tue canzoni potrebbero essere state scritte oggi, ma anche trent’anni fa. Forse è anche un po’ questa la loro magia. In questo mi hanno ricordato gli scenari dei film dello Studio Ghibli. Non farei fatica ad immaginare La ragazza trasparente in uno di questi film. Conosci questi lavori? Hai mai pensato a una tua canzone in un film?
Non ho mai pensato ad una mia canzone per un film. Comunque, sarebbe una bellissima esperienza. Mi interessano molto le colonne sonore, soprattutto quelle dove ogni personaggio è legato ad un tema musicale, Pinocchio, o come Pierino e il lupo dove è ancora maggiore il rapporto tra la narrazione e la musica.
Futura 1993 è il network creativo creato da Giorgia e Francesca che attraversa l’Italia per raccontarti la musica come nessun altro.
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