“Je sto vicino a te”: 70 anni di Pino Daniele
Se stai leggendo, probabilmente hai in mente il tuo brano preferito di Pino Daniele. Il tuo disco preferito di Pino Daniele. Una specifica fase della tua vita legata a lui. Lo hai sentito nell’autoradio dei tuoi genitori mentre andavate al mare, magari nel tuo vecchio iPod andando a scuola, nella tua stanza preparando l’ultimo esame,… L'articolo “Je sto vicino a te”: 70 anni di Pino Daniele proviene da Dance Like Shaquille O'Neal.


Se stai leggendo, probabilmente hai in mente il tuo brano preferito di Pino Daniele.
Il tuo disco preferito di Pino Daniele.
Una specifica fase della tua vita legata a lui.
Lo hai sentito nell’autoradio dei tuoi genitori mentre andavate al mare, magari nel tuo vecchio iPod andando a scuola, nella tua stanza preparando l’ultimo esame, in cuffia guardando fuori dalla finestra per andare di nuovo a lavoro.
Il legame con i cantautori italiani è qualcosa di atavico e inspiegabile. Capita spesso di sentir nominare Guccini, De Gregori, De Andrè come coloro che hanno cantato le nostre piccole vite rendendole grandi. Nelle loro parole, le emozioni piccole e apparentemente banali, sono diventate poesia alata e nobile. D’improvviso, anche chi aveva una storia misera aveva il diritto di raccontarla con onore.
Nell’olimpo dei cantautori però, il nome di Pino Daniele in qualche modo viene sempre dopo, non per importanza, ma per qualche forma di distacco. Eppure, ha raccontato così tanto di noi: quando abbiamo pianto, lui aveva una parola perfetta per descrivere quel momento. Quando abbiamo riso, ballato, lui aveva il groove. Quando volevamo buttare gli occhi al di là del mondo che ci circonda, lui ci ha preso per mano e ci ha portato nel blues, nel jazz, ci ha portato fino in America, anche quando “nun ce vuleva ‘i”.
In una delle sue prime interviste, al programma “Teen” in cui la RAI presentava i talenti della nuova generazione di cantautori, Pino Daniele canta la sua Che Calore. Al sentire il titolo, la presentatrice lo incalza “Ah, ‘Che Calore’, Napoli, il sole, il mare…”. Pino le risponde: “Io lo sapevo che dicevi così. Purtroppo Napoli è stata sempre vista sotto questa veste… ma sotto il sole e sotto il mare c’è tanta miseria, ci sono tanti problemi che bisogna risolvere. È diventata un’etichetta dalla quale dobbiamo liberarci”.
Forse non è tanto l’olimpo dei cantautori ad aver tenuto Pino su un capitolo separato del racconto, quanto lo stesso Pino ad essersi imposto sin dall’inizio una missione unica, completamente diversa, più specifica ma allo stesso tempo più universale di altri. “Io racconto la Napoli di oggi, con tutti i suoi problemi, e lo faccio in una maniera abbastanza particolare, cioè tenendo presente di esperienze musicali avute in precedenza, cioè cantare in dialetto su un certo tipo di musica”, dichiara Pino in quella stessa intervista RAI nel 1976 presentando il suo primo disco, Terra Mia. Un solo obbiettivo dunque: denunciare, dando voce a chi voce non aveva, una condizione precisa e da lui conosciuta e vissuta in prima persona.
E se qualcuno non capisce le parole? Non importa, perché la musica di Pino è sempre stata altro, è sempre arrivata dove doveva. La scelta di lasciare quasi completamente il dialetto nella fase finale della sua carriera su dischi più leggeri, come Dimmi cosa succede sulla terra o Come un gelato all’equatore, è risultata così naturale proprio perché era una scelta. Nessuno, fin quando Pino ha voluto, ha potuto spostarlo dal parlare la sua lingua, la lingua dei suoi. E all’inetto che a Pescara nel 1980 gli diede dell’ignorante urlandogli dalla platea “Impara a parlare!” (nonostante stesse parlando in italiano), Pino risponde in dialetto “Nun fa niente parlà, l’importante è sapè sunà”.
Chissà cosa avrebbe detto Pino dei nostri giorni, giorni in cui Napoli viene tirata per la giacchetta, strattonata a destra e a manca: tutti ne vogliono un morso, tutti vogliono parlare la sua lingua reclamandola come propria, tutti ne fanno il baluardo di un Sud standardizzato, omologato, “spensierato”, fatto di panni stesi, sole e mare.
Ma il sole, quello cantato da Pino, non era mai uguale a se stesso: un giorno “basta na jurnata e sole e quaccheduno ca te vene a piglià”, quello dopo “sotto ‘o sole […] saglie sulamente ‘a voglia e jastemmà”.
Il mare di Pino non è gioioso, non è il mare di Gino Paoli o di Edoardo Vianello. “Chi tene o mare ‘o ssaje, porta ‘na croce”. Non ci sono acque cristalline davanti agli occhi del popolo, ma un mare “tutto spuorco, chino ‘e munnezza, e nisciuno ‘o vo’ guardà”.
Forse neanche lui avrebbe immaginato quanto queste parole sarebbero arrivate lontano, quanto ancora oggi il Sud sia travestito di una bellezza fatta solo per occhi viziati, assetati di consumo, di possesso, di individualismo. Neanche lui avrebbe immaginato quanto, a 70 anni dalla sua nascita, avremmo ancora avuto bisogno di lui.
Pino, stai ancora vicino a noi.
L'articolo “Je sto vicino a te”: 70 anni di Pino Daniele proviene da Dance Like Shaquille O'Neal.