Edward Oswald Shebbeare, lo scalatore dimenticato che accompagnò Mallory e Irvine sull’Everest
Funzionario della Corona britannica e appassionato naturalista partecipò anche alle due spedizioni tedesche sul Kangchenjunga del 1929 e 1931. Un uomo mai in primo piano ma sempre fondamentale L'articolo Edward Oswald Shebbeare, lo scalatore dimenticato che accompagnò Mallory e Irvine sull’Everest proviene da Montagna.TV.



Nel 1958, la casa editrice inglese Gollancz pubblica un romanzo bizzarro. Si intitola Soondar Mooni: la vita di un elefante indiano, la cui protagonista è un’elefantessa che si racconta in prima persona. L’autore è un certo Edward Oswald Shebbeare, che abbrevia il suo nome in E.O. Si tratta di un 74enne funzionario imperiale britannico in pensione, che ha vissuto a lungo in India e nel Sud Est asiatico ed è appassionato di natura e animali. Non risulta che il libro sia stato un successo e il suo autore, morto nel 1964, è stato a lungo dimenticato. Senonché se si spulciano gli archivi delle grandi spedizioni himalayane degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, almeno quattro volte spunta un E.O. Shebbeare. Non è un’omonimia. È proprio lui, l’uomo degli elefanti, che ha accompagnato George Mallory e Andrew Irvine, scomparsi oltre quota 8500 metri durante il secondo tentativo inglese di conquistare la vetta dell’Everest, e il tedesco Paul Bauer nelle due spedizioni sul Kangchenjunga.
Com’è che per decenni nessuno si è ricordato di E.O. nella storia dell’alpinismo? In anni recenti, Jonathan Westaway ha studiato la vita di Shebbeare e ha trovato un’interessante spiegazione che ha a che vedere con la cultura elitaria della Gran Bretagna dell’epoca, che si riverberava anche nel mondo dell’alpinismo, ma anche con il carattere schivo del personaggio. Edward Oswald nasce nel 1884 nello Yorkshire, completa gli studi superiori e prosegue la sua formazione al Royal Indian Engineering College, un’istituzione deputata a formare i tecnici da inserire nella pubblica amministrazione indiana per occuparsi dei lavori pubblici. A 22 anni, E.O. viene assegnato al Servizio Forestale Indiano, per il quale lavorerà per ben 32 anni, fino al 1938, diventando anche il responsabile della gestione delle foreste nella regione del Bengala.
Malgrado il basso profilo tenuto da E.O. durante le sue spedizioni himalayane, sicuramente era un appassionato di montagna. Nel 1928 il suo nome figura infatti fra i 127 fondatori dell’Himalayan Club, in compagnia di militari d’alto rango, governatori e funzionari pubblici. L’obiettivo dell’istituzione era quello di “incoraggiare e assistere viaggi ed esplorazioni in Himalaya, e allargare la conoscenza dell’Himalaya e delle catene vicine attraverso la scienza, l’arte, la letteratura e lo sport”. Quando nel 1924 gli inglesi organizzano la seconda spedizione per conquistare la cima della montagna più alta del mondo, Shebbeare non viene scelto per il suo curriculum da scalatore, né per le sue relazioni, come nel caso di Mallory – più giovane di soli due anni – e nemmeno per le sue esperienze in ambito militare. E.O. che viveva in India dal 1906 viene inserito in veste di funzionario addetto ai trasporti e interprete. Già, perché Edward Oswald parlava il nepalese, il bengali, l’hindi, un po’ di tibetano e un po’ di tedesco. E grazie a questo talento linguistico, unito alla sua amabilità e al saper trattare nel modo giusto con i locali, è un mediatore prezioso.
Le due spedizioni precedenti (1921 e 1922) hanno fatto capire agli inglesi che la capacità di adattamento alle dure condizioni ambientali e l’abilità nella scalata rendono la presenza degli autoctoni fondamentale per il successo dell’impresa. Westaway sottolinea l’importanza del contributo dei portatori, dei cuochi, dei lavoratori d’alta quota che gestivano la spedizione: figurano in qualche foto ricordo, ma nessuna relazione li menziona. Invece E.O. li apprezza, li considera compagni preziosi, al punto da voler ricordare – come sottolinea lo studioso – i loro nomi nel suo diario del 1924 e nelle foto che gli verranno date in seguito da Paul Bauer. Shebbeare è così bravo nel suo ruolo di responsabile dei trasporti che i tedeschi lo coinvolgono nelle loro due spedizioni al Kangchenjunga nel 1929 e nel 1931. Sono un momento di passaggio importante per l’orgoglio teutonico, ferito dalle sconfitte militari della Prima Guerra Mondiale. Bauer stesso lo sottolinea nei suoi resoconti: i partecipanti sono animati da cameratismo, coraggio e spirito di sacrificio, come se la sfida alla terza vetta più alta del mondo fosse una battaglia. Non sarà però coronata da successo, malgrado gli sforzi degli alpinisti e del personale locale guidato da E.O.
Shebbeare è coinvolto nella sua ultima avventura himalayana di rilievo nel 1933, quando il capospedizione Hugh Ruttledge gli assegna il solito incarico di funzionario dei trasporti, ma anche di vicecapospedizione del team che tenterà di conquistare l’Everest. È il canto del cigno: E.O. ha ormai 49 anni, è il membro più anziano della spedizione e non sarà certo lui a raggiungere la vetta. La spedizione peraltro si rivela l’ennesimo insuccesso dal punto di vista alpinistico. Ma Edward Oswald, che non si pavoneggiava come gran scalatore, se ne torna a casa con la soddisfazione di essere riuscito a raggiungere il Colle Nord (7020 m).
Perché Shebbeare resta confinato in un ruolo marginale nella narrazione delle imprese alpinistiche di quegli anni? Secondo Westaway, queste spedizioni per gli inglesi erano eventi d’alto livello, destinati a creare degli archetipi duraturi, focalizzati su pochi personaggi eroici. Come George Mallory: giovane, bello, entrato nel mito grazie alla sua scomparsa. E.O. non è poi così diverso: appartiene alla classe media, lavora per l’Impero britannico in India, fa parte dell’élite bianca al potere. È un tipo coraggioso e deciso, dotato anche di humour. Con il suo ruolo, però, non è adatto a ricoprire la parte dell’eroe delle montagne, e finisce dimenticato come i suoi sherpa il cui ruolo sarà rivalutato solo in seguito, in una prospettiva postcoloniale. Probabilmente lo stesso Shebbeare non aspirava alla fama. Il suo amore per la montagna è strettamente connesso alla passione per la natura e gli animali.
Nel 1938 accetta la nomina di guardiacaccia responsabile del neonato parco di Giorgio V – oggi parco Taman Negara – in Malaysia, che sarà il primo parco del Paese asiatico. Fonda la Società Malese per la Natura negli anni Quaranta e di fronte alle prime avvisaglie della guerra non si tira indietro. Tant’è che viene catturato dai giapponesi e finisce prigioniero a Singapore. Nel 1947, all’età di 63 anni, lascia i suoi elefanti e i rinoceronti che aveva contribuito a proteggere per tornare nella natia Inghilterra. La foresta e gli animali selvatici restano nel suo cuore, e su questi temi corrisponderà con il grande etologo Konrad Lorenz. Ma per lui l’epopea himalayana è ormai lontana, relegata fra i ricordi giovanili.
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