9-15 marzo 1985, la solitaria invernale di Renato Casarotto alla Est delle Jorasses
Sei tentativi, e sei bivacchi in parete durante il tentativo decisivo. L’impresa dell’alpinista vicentino è un trionfo fatto di tecnica, resistenza e sofferenza. Goretta, la moglie di Renato, assiste all’impresa dalla Val Ferret L'articolo 9-15 marzo 1985, la solitaria invernale di Renato Casarotto alla Est delle Jorasses proviene da Montagna.TV.

Quarant’anni fa, nel pomeriggio del 15 marzo 1985, un alpinista solitario raggiunge i 4208 metri della Punta Whymper, la più alta delle Grandes Jorasses. Renato Casarotto, 36 anni, vicentino di Arcugnano, completa così la sua invernale solitaria della via Gervasutti-Gagliardone alla parete Est della montagna. Un’impresa che fa storia, lungo una delle vie-capolavoro del massiccio.
Casarotto, ormai da anni, è un protagonista dell’alpinismo italiano. Dopo molte salite importanti sulle Dolomiti, si è fatto notare nel 1975 con la solitaria invernale della via Andrich-Faè sulla parete Nord-ovest della Civetta, la parete più fredda e severa dei Monti Pallidi.
Due anni dopo, in 17 giorni di arrampicata solitaria, ha aperto una pericolosa e difficile via sulla parete Nord dello Huascaràn, che con i suoi 6758 metri è la cima più alta della Cordillera Blanca e del Perù. Nel 1979, nella Patagonia argentina, ha vinto in 8 giorni, ancora da solo, il Pilastro Nord del Fitz Roy.
Nel febbraio del 1982 l’alpinismo di Renato Casarotto, fatto di tecnica, sofferenza e resistenza, ha lasciato un segno anche sul massiccio del Monte Bianco, con la prima invernale solitaria, in 15 giorni, della “Grande Cresta” di Peutérey, dalla Val Vény alla vetta più alta d’Europa attraverso l’Aiguille Noire, il Pic Gugliermina e l’Aiguille Blanche.
Tra le grandi pareti del massiccio, il trapezio roccioso della Est delle Jorasses non è mai diventato famoso come la vicina parete Nord, con i suoi speroni delle punte Whymper e Croz. La sua prima salita, compiuta nel 1942 dal “Fortissimo” Giusto Gervasutti e dal cuneese Giuseppe Gagliardone, non è stata davvero apprezzata, anche a causa della guerra.
Quando Casarotto la mette nel mirino, la Est ha già iniziato a essere riscoperta. Nel 1980 il torinese Marco Bernardi ha compiuto la prima solitaria della via Gervasutti, nel 1983 i fratelli Fabio e Cristiano Delisi, due guide alpine di Roma, hanno aperto la difficile via Groucho Marx. Renato, prima di affrontare la parete, guarda con ammirazione al “Fortissimo”.
In un’intervista che esce nel maggio del 1985 su Lo Scarpone, l’alpinista vicentino racconta la sua ammirazione per quei due uomini che hanno salito la Est nel 1942 “con l’attrezzatura del tempo, in sedici ore di arrampicata, con quei chiodi (ne ho ritrovati sei), quei moschettoni pesanti e di scarsa affidabilità, quegli scarponi pesanti e scomodi, con le corde di canapa, pesanti e rigide”.
Cronaca di un’impresa straordinaria
Per affrontare in solitaria le Jorasses, Renato Casarotto e sua moglie Goretta, che lo segue dal fondovalle, hanno bisogno di un campo-base. Glielo fornisce Cesare Ollier, guida alpina di Courmayeur, che mette a disposizione della coppia la sua baita di Lavachey, in Val Ferret, e li trasporta fin lì in motoslitta.
Da qui, il viaggio verso la Est è ancora lungo. Oltre 2000 metri di dislivello verso il bivacco di Fréboudze, l’omonimo ghiacciaio, il bivacco Gervasutti e il Col des Hirondelles, da cui si raggiunge l’attacco.
Il primo tentativo di Renato si svolge a dicembre, in una breve finestra di tempo gelido ma bello. Il giorno di Natale però il meteo volge al brutto, e l’alpinista è costretto a rientrare. A Capodanno un secondo tentativo alla Est viene bloccato dalle temperature polari, e dal vento che sulle creste del Bianco soffia a 120-150 chilometri all’ora. Goretta, nella baita del Lavachey, vede che il termometro scende a 20 gradi sottozero. Quando Renato torna, si scopre sul volto la macchia di un congelamento grande come una moneta da cento lire. Ma l’alpinista vicentino non molla.
“Volevo riuscire per avere una nuova esperienza, per inventare altre imprese. Tutte le volte che ho provato speravo che il tempo non si mettesse tanto male da farmi rinunciare, invece ho sempre dovuto usare il buon senso e rimandare. Cinque tentativi prima di arrivare alla partenza buona” racconterà nell’intervista a Lo Scarpone.
Il tentativo vincente inizia il 9 marzo, quando ormai alla fine dell’inverno manca poco. Renato Casarotto ripercorre l’interminabile itinerario fino alla base della Est, poi continua in parete. Il tempo è incerto, dall’alto cadono delle piccole slavine. Lui, però, sente che questa è la volta buona, e insiste.
La sera dell’11 marzo l’alpinista bivacca nel punto massimo raggiunto in precedenza, ma al mattino successivo la tendina è sepolta da trenta centimetri di neve fresca sulla tenda. Renato decide di resistere, e dopo qualche ora il tempo migliora. Attrezza due lunghezze di corda da 50 metri, la mattina dopo raggiunge e supera le placche, i diedri e le fessure più difficili.
Un altro bivacco precede delle rocce più facili, a poca distanza dalla cresta di Rochefort. Nevica ancora, ma le difficoltà della Est sono quasi finite. Renato Casarotto esce in vetta nel pomeriggio del 15 marzo, quando ha già alle spalle sei bivacchi. Dal basso Goretta e Cesare Ollier vedono la sua tuta rossa sulla cima, e poi sui ripidi pendii della via normale, che l’alpinista veneto non ha mai percorso in precedenza.
Renato sistema l’ultimo bivacco nel ripido Couloir Whymper, in un punto che uno sperone roccioso ripara dalle slavine. Al mattino nevica a più non posso, non si vede nulla, le slavine iniziano a cadere subito.
“Ho patito tutto, un vento da Patagonia, un freddo da Alaska, mi sono congelato una guancia, si erano congelate anche le bombolette del gas, le tenevo in mezzo alle gambe per cercare di farle funzionare per poter bere, avevo perso la sensibilità delle mani, ho sopportato sberle di vento che mi spostavano” racconterà Renato.
La mattina del 16 marzo Cesare Ollier, che ha salito la normale delle Jorasses molte volte come guida, lascia in fondovalle Goretta e sale da Planpincieux verso il rifugio Boccalatte-Piolti e la montagna. Alle tre del pomeriggio raggiunge Renato ai piedi dei Rochers Whymper, lo abbraccia, poi i due scendono insieme in cordata.
“Un’altra grande avventura era terminata, un’altra salita che sarebbe entrata negli annali della storia dell’alpinismo solitario” scriverà Goretta in Casarotto. Una vita tra le montagne il libro firmato insieme al marito che esce nel 1996, dieci anni dopo la morte di Renato in un crepaccio ai piedi della Magic Line del K2. La fine dell’inverno del 1985, però, è un momento di progetti e speranza.
“Era giunto il tempo di tornare a casa e, senza indugio, cominciare i preparativi per tornare in Karakorum. Meta, la Valle dei Gasherbrum, Quella volta non avrei tentato di arrivare in vetta con Renato con il pensiero, avrei provato a salire insieme a lui su uno dei quattordici “ottomila” della Terra. Era il nostro progetto segreto” racconta Goretta nel libro.
L’11 luglio del 1985, sulla vetta del Gasherbrum II, raggiunta in una splendida giornata di sole, Goretta diventa la prima donna italiana ad aver salito un “ottomila”. Quel che conta, però, è l’abbraccio con Renato e gli altri compagni di spedizione. Un anno dopo arriverà la tragedia, ma questo è il momento della gioia.
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