Zanchetta e Mottarella aprono El Diedro de lo Squalupo, nella Patagonia cilena

Breve ma interessante linea nella Valle della Paloma, collocata nel “Santuario Naturale” di Cochamò, la mecca del granito cileno L'articolo Zanchetta e Mottarella aprono El Diedro de lo Squalupo, nella Patagonia cilena proviene da Montagna.TV.

Feb 21, 2025 - 13:16
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Zanchetta e Mottarella aprono El Diedro de lo Squalupo, nella Patagonia cilena

Bella spedizione in Cile per Marco Zanchetta e Domenico Mottarella. I due alpinisti lombardi hanno rivolto l’attenzione alla Valle di Cochamò, collocata in posizione piuttosto remota e per questo poco frequentata, ma caratterizzata da una corona di magnifiche pareti di grantito. Qui, hanno ripetuto una notevole via aperta dai Ragni di Lecco nel 2013 sul Cerro Walwalun, ma si sono anche presi la soddisfazione di aprire un nuovo interessante itinerario sul Cerro Trinidad: “El Diedro de lo Squalupo”.

Ecco quindi il racconto di Marco Zanchetta.

Come è nata questa via?
E’ nata da una giornata decisamente no, iniziata con un bivacco freddo e bagnato nel bosco, seguito da ben due tentativi su due vie bagnate e intasate dall’erba. Quindi? Come sfruttare il pomeriggio di pieno sole quando il maestoso Cerro Trinidad ti fissa dall’altra parte della valle? Saliamo in scarpe fino alla base di un diedro che ci rapisce subito! Qualche foto, un’occhiata col binocolo ed iniziamo a fantasticare fino a deciderci a lasciare tutta l’attrezzatura nascosta alla base.

Come e quanto è servito per aprirla?
Siamo tornati euforici dopo un giorno di pioggia con qualche chiodo, ferraglia da artificiale e fix con l’idea di salire dal basso nel modo più “leale” possibile… ma l’etica dell’apertura è un altro capitolo che scotta parecchio!

Comunque abbiamo salito la prima parte di un diedro perfetto ma senza fessura e, dopo 20 metri, quasi scoraggiati, finalmente l’esile crepa ha iniziato ad allargarsi e, scavando nell’erba con il mitico piccozzino, abbiamo concluso anche il terzo tiro bellissimo. Ho finito i polpacci chiodando parte della placca successiva, decisamente in stile Val di Mello, le pareti di casa insomma! 

La notte al campeggio è passata lottando con la buonissima quanto esagerata pasta pomodoro e olive invidiataci da tutti i cileni, i crampi ad ogni muscolo ed i pensieri su come risolvere i prossimi metri… 

Torniamo carichi due giorni dopo, ormai conosciamo a memoria le due ore di sentiero, se così si può chiamare una traccia nella foresta verticale, tuttavia frequentata da ogni sorta di escursionista o simile. Scaliamo i primi tiri, purtroppo non in libera vista la terra rimasta in parete dopo la grande pulizia della scorsa volta, confidiamo nelle prossime piogge.

Scalo la placca fino all’ultimo fix e con le idee chiare mi lancio in un pendolo, afferro l’enorme lama di granito sonante fino in cima e, da lì, con un altro pendolo raggiungo la sosta alla base dell’ultimo tiro, un diedro piacevole e perfetto, finalmente quasi senza erba. Due doppie filanti da 60 metri e siamo a terra.

Una breve carta di identità della via?
Sono cinque tiri con fix solo dove necessario ed abbastanza da guadagnare, il resto si protegge benissimo con i friends. Una via su granito perfetto, occhio solo alla lama che però resta fuori linea, che varia tra diedri puri a 90° dove occorre solo spingere come matti, dulfer e placche pepate. Purtroppo la vacanza al termine e la voglia di salire “Perditos en el Mundo”, al Cerro Walwalun, ci hanno impedito la salita in libera integrale ma i tiri si attestano su: III, 7B/C, 7B, 7A+ e due pendoli, 6A+.


Cosa ne pensi di aprire dall’altra parte del mondo? Sembra molto di moda!
Per me creare una via nuova va oltre la prestazione, i numeri e i titoli su blog e riviste. Pensando ad un caro amico, nonché fonte di inspirazione, direi che è come dare una pennellata ad un quadro! Una cornice che custodisce un’opera della natura sulla quale noi alpinisti e non solo (pensiamo ai rifugi, alle dighe e agli impianti sciistici) mettiamo mano. Letta con questa luce è chiaro come il gesto del “chiodare” una nuova via implichi di conosce l’ambiente naturale e la sua storia alpinistica e culturale; solo allora è possibile dare voce alla propria creatività con tatto e consapevolezza. 

Spesso è difficile rinunciare all’obiettivo di un viaggio oltre continente scritto a tavolino in Italia quando questo si scontra con la realtà. Nascono proprio così vie forzate in pareti già affollate o file di fix che intercettano linee aperte con tanta fatica il secolo scorso.

Nel nostro piccolo abbiamo prima ripetuto per due settimane vie nelle diverse valli, di vari apritori locali e non, con differenti stili ed “etiche”. Abbiamo bocciato alcune idee, discutendone al campeggio con la moka gorgogliante quasi volesse darci un consiglio, e, infine, ci siamo avventurati nella Valle della Paloma, quella tuttora meno blasonata ed esplorata. 

Di certo verremo criticati e ben venga! Aiuta tutti a crescere e preservare quegli angoli ancora intonsi del nostro mondo verticale.

E il nome della via?
Con Gerry abbiamo scherzato fin dal primo giorno inventando storie sul puma, sui condor, sul cincillà, sul mitico pudù (esiste davvero!) e, soprattutto sullo Squalupo.

Si tratta di un essere magico, nato dal mouse di Veronica durante un corso di grafica quasi per errore e da lei stampato come retrocopertina del quadernetto di Gerry. Una specie di diario ricco di aneddoti, cavolate e tanti numeri, del resto siamo entrambi ingegneri: km percorsi, caffè bevuti, birre rimaste e docce fredde fatte!

Noi lo Squalupo non lo abbiamo incontrato ma la sua presenza ci ha sempre accompagnati e forse portato fortuna.
Per questa avventura ringrazio il buon Gerry (Domenico), il Gruppo Ragni di Lecco, Cochamò e il Cile per averci regalato giornate indimenticabili tra pareti, foreste, bei paesi e fantastici nuovi amici.

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