Quando la vita ti dà mandarini – La Recensione della 3a parte: germogli nell’inverno freddo
Il tempo passa inesorabile. Vanno avanti i giorni, le settimane, i mesi e le stagioni, quelle dell’anno e quelle che segnano i ritmi di una vita che cambia. Una vita che mai torna uguale a se stessa. Il tempo passa e insieme a lui si avvicendano gli episodi delle nostre serie tv. Oggi, in particolar… Leggi di più »Quando la vita ti dà mandarini – La Recensione della 3a parte: germogli nell’inverno freddo The post Quando la vita ti dà mandarini – La Recensione della 3a parte: germogli nell’inverno freddo appeared first on Hall of Series.

Il tempo passa inesorabile. Vanno avanti i giorni, le settimane, i mesi e le stagioni, quelle dell’anno e quelle che segnano i ritmi di una vita che cambia. Una vita che mai torna uguale a se stessa. Il tempo passa e insieme a lui si avvicendano gli episodi delle nostre serie tv. Oggi, in particolar modo, quelli di Quando la vita ti dà mandarini, serie coreana un po’ romantica e un po’ drammatica. Con la diffusione degli episodi 9, 10, 11 e 12 l’ultimo k-drama targato Netflix (eccone un altro da recuperare se ti piace il genere) è giunto a tre quarti della sua diffusione, che arriverà a conclusione venerdì 28 marzo con gli ultimi quattro episodi (qui trovate le nuove uscite della settimana sulla piattaforma). Episodi che chiuderanno il cerchio di una miniserie che mi mancherà, anche se dopo la prima tranche di puntate non lo avrei mai detto.
La scorsa settimana Quando la vita ti dà mandarini è arrivata a un importante giro di boa: quello in cui la vita non è più solo ricca di speranza per il futuro, ma anche di tanta nostalgia di ciò che è passato e, in quanto tale, non tornerà. È l’età adulta, una fase fisiologica, meno avventurosa ma di certo più consapevole nella quale la protagonista Ae-sun si trova ormai pienamente. Ma è anche la fase della gioventù già matura, di quegli anni in cui la vita è già piena di responsabilità che però sono rese un po’ meno pesanti dall’idea che il domani potrebbe essere ben diverso dall’oggi. È la fase che si trova ad affrontare Geum-myeong, divisa tra la tenerezza nei confronti dei genitori, l’incapacità di comprenderli e una vita ancora tutta da scrivere. Ma, come sempre, andiamo per ordine.
Quando la vita ti dà mandarini: la trama della terza parte
Seguendo la strada intrapresa nelle puntate precedenti (se te le sei perse, qui la recensione della prima e qui della seconda parte della serie), gli episodi della terza parte vedono l’avvicendarsi di due storie parallele che si incontrano e si distaccano all’occorrenza. Da una parte ci sono Ae-sun e Gwan-sik, rimasti a Jeju insieme a un figlio che gliene fa passare di tutti i colori; dall’altra c’è Geum-myeong, ormai in pianta stabile a Seul e alle prese con la voglia – anzi, l’ostinazione – di non pesare più sulle spalle dei genitori.
Ae-sun e Gwan-sik vivono il classico paradosso di chi invecchia: considerare sbagliate le trasgressioni compiute da giovani. La loro vita scorre sempre molto simile a se stessa: lavoro sodo e attenzione per i figli. Ma mentre il trattamento verso Geum-myeong ha sempre avuto solide basi nella volontà di darle tutto ciò che loro non hanno avuto, di insegnarle il rispetto per se stessa e la possibilità di “rovesciare la tavola” di una tradizione alla quale non si deve necessariamente adeguare, il rapporto con il figlio più piccolo è tutto fuorché sereno. Problemi a scuola, il fatto che abbia una fidanzata e che sia proprio la figlia dell’eterno rivale nonché quasi marito di Ae-sun sono solo alcuni dei problemi, e per i genitori il vero bello arriva solo in un secondo momento (no spoiler).
Non che le preoccupazioni dei genitori si riversino solo sul figlio che hanno ancora a casa. Anzi, la lontananza rende Geum-myeong una figlia che a maggior ragione va protetta. Reduci dalla perdita di un figlio, Ae-sun e Gwan-sik sostengono la figlia come sanno e come possono, con la consapevolezza di averla cresciuta con i principi giusti ma anche con l’ansia di chi sa che le cose brutte accadono, e possono succedere in ogni momento.
È sempre questione di un attimo, e una corsa all’ospedale lo dimostra anche stavolta.
Geum-myeong intanto vive la sua sempre più matura gioventù rispondendo a mille stimoli. Da un lato ci sono le responsabilità che Quando la vita ti dà mandarini sa raccontare parecchio bene: la necessità di trovare un lavoro, di rendersi indipendente e camminare sulla propria strada con le proprie gambe. Dall’altro lato c’è invece il richiamo della gioventù, di quella leggerezza che nel contesto che la serie racconta fa sempre fatica a venire fuori. E c’è, soprattutto, l’amore. C’è una relazione vissuta per anni nella penombra che finalmente può venire alla luce come tradizione vuole: con una proposta di matrimonio, la conoscenza delle rispettive famiglie, le scelte condivise. Ma c’è anche il lato oscuro di questo amore, una madre che non approva e un figlio ben diverso dal figlio che era stato Gwan-sik. Insomma, un figlio che non sa cosa significhi ribellarsi.
Anche stavolta il tema della disuguaglianza economica e sociale si fa sentire. L’altezzosità con cui la futura suocera di Geum-myeong parla a Ae-sun e alla sua famiglia è rappresentativa di una superiorità che va ben oltre il loro rapporto personale, innestandosi in un più ampio racconto di casta. Gli abiti, il modo di porsi, la capacità di usare un mestolo, niente va bene e tutto è fonte di una critica nuova. Una critica che ha un obiettivo ben preciso: allontanare due persone che si amano. Stavolta lo spoiler c’è: ci riesce benissimo. E per Geum-myeong comincia una fase della vita che noi millennial conosciamo bene. È la fase dei dubbi esistenziali, del senso di solitudine, della voglia di tornare a casa e rintanarsi tra le braccia dei propri cari che si alterna a una sensazione di inadeguatezza anche mentre si è lì con loro.
La terza parte di Quando la vita ti dà mandarini ci ricorda che il primo amore non sempre regge le intemperie dell’inverno

Ae-sun e Gwan-sik in questo ci avevano abituato troppo bene. Amarsi da quando si è bambini, non lasciarsi mai, affrontare le difficoltà della vita sempre mano nella mano è una fortuna per pochi. Una fortuna che alla loro primogenita non tocca, esattamente come ai tre quarti della popolazione mondiale. Ma la fine del primo amore, che nell’Occidente contemporaneo non è altro che l’inizio della vita sentimentale vera, nella Corea tra gli anni Novanta e i primi Duemila è vissuta in modo molto più accorato. Al cuore spezzato si uniscono un matrimonio annullato e l’ansia di aver causato un dispiacere e un’umiliazione ai propri genitori. Ma è proprio in questo momento che Geum-myeong avvicina un contesto così distante a qualcosa che noi giovani (e meno giovani) d’oggi conosciamo bene.
Le tradizioni sociali, il modo di vivere l’amore e le relazioni umane che ci viene presentato da Quando la vita ti dà mandarini sono un qualcosa che non sempre noi occidentali del 2025 riusciamo a comprendere pienamente. La distanza spazio-temporale si fa sentire, così come le differenti credenze sulle quali le culture si improntano. La reazione di Geum-myeong però la capiamo benissimo. E io per la prima volta mi sono sentita davvero vicina a un personaggio della serie. Comprendo e sottoscrivo tutto: la voglia di allontanarsi dalla propria casa e il bisogno di tornarci quando le cose vanno male. Capisco la difficoltà nel dire un grazie pieno e sincero ai propri genitori e la tenerezza quasi limitante nei loro confronti. E ancora, comprendo l’incapacità di comunicare appieno ciò che provo e come mi sento quando penso che niente al mondo potrà tornare a essere bello.
La cosa bella però è che il sole torna sempre a splendere.
E questa è una grande verità, che ce ne rendiamo conto o meno. Quando la vita ti dà mandarini ci ricorda davvero parecchio spesso che ciò che è stato non può tornare. La divisione in stagioni degli episodi ne è la prova più lampante. La nostalgia dei genitori nei confronti dell’infanzia dei figli e quella dei figli nei confronti della vita con i genitori è un sentimento che fuoriesce in più di un’occasione, e si fa sempre più forte con il passare degli episodi. La vediamo negli sguardi pieni di parole non dette tra Geum-myeong e suo padre. E ancora, nella forza del loro volersi salutare come facevano quindici anni prima e nelle telefonate con Ae-sun.
Il fatto però è che la vita non finisce finché non finisce per davvero. Il cerchio della vita è sì pieno di buche e ostacoli, ma le buche e gli ostacoli sono superabili finché ci siamo ancora dentro. Alcuni sono solo piccoli incidenti di percorso che lasciano qualche graffio o poco più; altri invece sono parecchio complessi da aggirare, e le ferite che ci facciamo provandoci continueranno a restare sempre un po’ aperte. La perdita di una madre, di un figlio, di una nonna o di una zia sono di certo tra queste. Per fortuna, però, questa serie non dimentica di specificare che il cerchio della vita è sempre fonte di nuove sorprese.
Una coccola inaspettata, una nuova vita, un nuovo amore: tutto è ancora possibile. Una conoscenza che oggi è una tra tante, domani può dare vita a un germoglio nuovo. Perché sì, anche in inverno i germogli lottano per venire in superficie, e quelli che ce la fanno sono ancora più belli.
E io già immagino come il cerchio di Quando la vita ti dà mandarini possa giungere a conclusione.
Spero però anche che questa serie Netflix lo faccia lasciandoci un germoglio di quelli belli. A questo punto, ho un po’ voglia di germogliare anch’io.
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