Le location da scoprire in Ho visto un Re: intervista a Giorgia Farina

La regista racconta come le location abbiano contribuito a dare profondità e autenticità al suo film al cinema dal 30 aprile 2025

Apr 30, 2025 - 16:03
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Le location da scoprire in Ho visto un Re: intervista a Giorgia Farina

Ci sono luoghi in cui il confine tra realtà e cinema si assottiglia“, ci ha confidato Giorgia Farina, affermata regista italiana che dal 30 aprile è al cinema con il film Ho visto un Re. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla, esplorando con lei le location di questa avventura emozionante e ambiziosa con Edoardo Pesce, Sara Serraiocco, Blu Yoshimi, Gabriel Gougsa e il giovanissimo Marco Fiore. Dopo Amiche da morire, Guida romantica a posti perduti, Ho ucciso Napoleone, Farina si conferma fedele a una commedia italiana moderna e sensibile che guarda avanti.

In Ho visto un Re un bambino di nome Emilio, nell’estate del 1936, instaura un’amicizia inaspettata con un guerriero etiope, o meglio un principe, che viene tenuto prigioniero nella voliera che si trova nel giardino del Podestà. Ispirato a una storia vera, il film è un esempio di realismo magico coinvolgente che riesce a dialogare con diverse generazioni con una eco a Jojo Rabbit di Taika Waititi del 2019. Nonostante la regista guidi la narrazione alternando costantemente la fantasia con una realtà storicamente ingombrante, il film sembra molto ancorato ai luoghi dove si svolgono i vari momenti.

Il tuo film si svolge quasi tutto in esterni: è stata una scelta voluta o una necessità narrativa?

È stata una scelta ben precisa. Volevo che il mondo esterno rappresentasse il punto di vista di Emilio, un bambino che guarda la realtà con occhi pieni di immaginazione. Gli spazi aperti danno respiro, amplificano la sensazione di avventura e libertà, in netto contrasto con la rigidità del contesto storico. E poi ci sono luoghi che, da soli, raccontano già molto.

Come hai trovato le location? Dove si trovano, ad esempio, il casale della famiglia di Emilio e la villa di Trocca?

Il casale l’ho trovato, per puro caso, su un sito di annunci immobiliari. Era conservato benissimo, intatto, sembrava davvero rimasto fermo agli Anni ’30. Appena l’ho visto, ho capito che era perfetto per il film. La villa di Trocca, invece, è in realtà il vecchio casino di caccia di Galeazzo Ciano (vicino a Fiesole, in Toscana, ndr). Un posto potente, austero, carico di storia.

Nel film, ogni ambiente sembra avere una sua personalità. Quanto contano per te i luoghi nella costruzione della storia?

Tantissimo. I luoghi non sono solo uno sfondo, sono una parte attiva del racconto. Hanno un’energia, una memoria, e aiutano a costruire il tono emotivo delle scene. In questo film i luoghi riflettono anche lo sguardo di Emilio: sono concreti, ma pronti a trasformarsi, proprio come fa lui con la realtà che lo circonda.

Ho visto un Re film
Fonte: Ufficio stampa
Una scena di Ho visto un Re

Quanto è importante, secondo te, trovare la location giusta?

È fondamentale. Una location giusta ti aiuta a raccontare in modo più naturale, senza dover spiegare troppo. Ha già dentro un racconto, un’atmosfera. Quando entri in uno spazio che funziona, lo senti: ti suggerisce inquadrature, movimenti, dettagli. È quasi come se il luogo stesso ti guidasse.

La scena finale del film è ambientata in Africa… o almeno sembra. Dove avete girato davvero?

In realtà quella scena è stata girata in una cava vicino Roma! Ma grazie alla luce, all’inquadratura e a qualche tocco scenografico, siamo riusciti a ricreare un’atmosfera che richiama l’Africa senza esserlo davvero.

Durante le riprese ci sono stati imprevisti o momenti complicati?

Sì, soprattutto legati al meteo. Quando giri tanto in esterni, il clima può essere un nemico… o un alleato. Ci sono stati giorni in cui abbiamo dovuto cambiare completamente i piani, ma a volte gli imprevisti regalano sorprese bellissime. Una luce imprevista, un vento improvviso… spesso diventano momenti magici che finiscono per arricchire il film.

Il tuo film ha un tono sospeso tra realtà e immaginazione. Le ambientazioni reali ti hanno aiutato a costruire questo equilibrio?

Assolutamente sì. Perché per far funzionare la fantasia, devi partire da qualcosa di autentico. Se la base è credibile, lo spettatore è disposto a seguirti anche quando lo porti altrove. Il realismo magico ha bisogno di radici forti nella realtà per poter volare.

In Guida romantica a posti perduti si parla molto del viaggio come esperienza interiore. Che cos’è per te un viaggio?

Per me il viaggio è uno strumento per cambiare prospettiva. Ti costringe a guardare le cose da un altro punto di vista, ti rompe le abitudini e ti rimette in discussione. Può aiutare a ritrovare equilibrio, stimolare nuove idee, farti sentire più vivo. E spesso, quando torni, hai con te qualcosa che non avevi prima.

Ho visto un Re Edoardo Pesce
Fonte: Ufficio stampa
Edoardo Pesce in Ho visto un Re

Hai un viaggio che ricordi con particolare affetto?

Sì, il Giappone. Prima di iniziare a lavorare con il mitico Toei Studio – dove ho girato alcuni spot – ho passato qualche giorno a zonzo, senza programmi, solo per esplorare. È stato un po’ come vivere dentro Lost in Translation, con quella sensazione di essere altrove, spaesata ma piena di meraviglia. È un’esperienza che porto nel cuore e che mi ha ispirato anche nel modo di guardare il mondo.

Il cineturismo è sempre più diffuso. C’è un luogo legato al cinema che hai visitato o che sogni di visitare?

Un posto che per me è davvero speciale: la chiesa sommersa di San Vittorino, vicino Roma. È un luogo che appare sia in Guida romantica a posti perduti che in Nostalghia di Tarkovsky. Ogni volta che ci torno mi sembra di entrare in una dimensione parallela, sospesa. È uno di quei luoghi dove il confine tra realtà e cinema si assottiglia, ed è proprio lì che nasce la magia.