DOOM The Dark Ages Recensione: l’inferno è più rovente che mai!

Ho dovuto far passare un po’ di ore, dalla fine della mia esperienza in DOOM The Dark Ages al momento in cui ho iniziato a scrivere questa recensione. In primis per far decantare il glorioso zampillio di sangue, viscere, ossa e *qualunque cosa sia quella massa informe là* che dal primissimo, all’ultimissimo minuto di questo […] L'articolo DOOM The Dark Ages Recensione: l’inferno è più rovente che mai! proviene da Vgmag.it.

May 9, 2025 - 15:52
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DOOM The Dark Ages Recensione: l’inferno è più rovente che mai!

Ho dovuto far passare un po’ di ore, dalla fine della mia esperienza in DOOM The Dark Ages al momento in cui ho iniziato a scrivere questa recensione. In primis per far decantare il glorioso zampillio di sangue, viscere, ossa e *qualunque cosa sia quella massa informe là* che dal primissimo, all’ultimissimo minuto di questo glorioso videogioco mi ha circondato e avvolto, sconvolto. Poi, perché volevo fare mente locale e capire se il pensiero che mi era cresciuto dentro aveva senso: se quello che avevo appena terminato era davvero “il miglior DOOM di sempre”. 

Un DOOM che per certi versi torna alle origini della saga, sia tematicamente che ludicamente; un DOOM che, però, è fondamentalmente innovativo non solo sull’evidente fronte tecnico e artistico, ma anche nelle meccaniche. Il DOOM più longevo e ambizioso di tutti, questo di sicuro, con 22 capitoli da spolpare, segreti da scovare in mappe aperte piene di tesori da rubare e, ovviamente, di demoni e altre creature da fucilare a morte. Piombando loro addosso come un meteorite, lasciando loro solo il tempo di realizzare che “è arrivato il DOOM Slayer”. 

Doom The Dark Ages Recensione
“Rip and Tear!”

DOOM The Dark Ages: c’era una volta un Marine su Marte

Pur se un’approssimazione efficace della storia, e persino della Lore di DOOM può benissimo essere “demoni cattivi, rip and tear (falli a pezzi)”, da quel primo capitolo pubblicato nel 1993 il marine protagonista, allora chiamato Doomguy (letteralmente “il tizio di DOOM”), ne ha fatta parecchia di strada. Entrando e uscendo dall’inferno, abbattendo avversari giganteschi su Marte, poi sulla terra, poi in dimensioni e realtà alternative alla nostra, nelle quali è sopravvissuto alla qualunque arrivando a possedere poteri divini e guadagnandosi la “promozione” a “DOOM Slayer”. Fino a che nessuno è mai più riuscito a tenergli testa, nemmeno “il creatore del multiverso” e dei demoni stessi. A tal proposito, conoscere come minimo gli avvenimenti della “nuova trilogia” è utile, non vi mentirò: vi permette di dare maggior valore alla presenza di certi protagonisti e certe decisioni e azioni, o le sparute citazioni sono più facilmente comprensibili.

Tuttavia, dato che DOOM The Dark Ages è ambientato da qualche parte tra gli eventi dei primi originali e le peripezie multiversali di DOOM (2016) ed Eternal, non preoccupatevi troppo se siete dei “novizi”. La coinvolgente, pur se semplice, trama di questo capitolo a tutti gli effetti “prequel” non ha bisogno di introduzioni, ed è ben raccontata tramite splendide cut-scene doppiate in italiano che non lesinano tutte le informazioni indispensabili per non lasciarvi solo al summenzionato “rip and tear”. Quanto alla lore, quella più estesa e interessante per i fan della narrazione indiretta, è riassunta efficacemente nei “Codex” sparsi per i livelli; nei quali sono contenute sia informazioni del tutto nuove relative nemici inediti, o ambientazioni mai viste prima, che utili promemoria di concetti che chi gioca anche solo dal 2016 dovrebbe conoscere.

Doom The Dark Ages Recensione
Un avversario con un “tatuaggio importante” sul volto, non c’è che dire

Che poi, a ben pensarci, il bello di DOOM è che nonostante tutta la summenzionata qualità di filmati, character design, doppiaggio e quant’altro, non c’è comunque nulla di male a vivere l’esperienza come un gigantesco parco giochi action ultraviolento. Il gameplay è talmente solido e intrattenente che sorreggerebbe da solo l’intero costo del biglietto. Ovvio, vi consiglio comunque di prendervi il vostro tempo e seguire le vicissitudini del DOOM Slayer, che stavolta ritroviamo soggiogato e reso schiavo da un potere che, come sempre, mixa arcano e tecnologia nel miglior connubio “cybersteampunk” della serie. Il nuovo mantello e la vibe “da cavaliere nero” (a cui si sa, non bisogna rompere…) calzano a pennello sul protagonista, e l’ambientazione alieno-magica-medievaleggiante-futuristica è potentissima. Il nostro protagonista, insomma, inizia il suo percorso nel gioco come un’arma nelle mani degli “angelici” Maykr, che compreso il suo potere immenso lo sfruttano come fosse un robot, e lo lanciano nella mischia ogni volta che compaiono dei Demoni; cancellandogli la memoria, e lasciando in lui solo un prepotente odio per le creature ultraterrene. 

Non serve tirare in ballo spoiler, dirvi cosa succede quando (è ovvio che succeda) mister DOOM si libera dalle sue catene e ottiene il libero arbitrio. C’è dolore, c’è morte, c’è azione e avventura, orrore e paura persino, viscerale: tutti gli ingredienti fondamentali di DOOM , insomma, ciascuno nella proporzione migliore per massimizzarne la forza espressiva. Non andrò oltre: vorrei che viveste da soli il vostro viaggio personale nei 22 capitoli (mai così tanti prima di oggi) della campagna di The Dark Ages, che si srotolano in 25-30 ore minimo di pura goduria action omicida. Vi basti sapere che scorrono felicemente, con un ritmo serrato e una buona alternanza di “tipologie di livelli”: da quelli migliori più esplorativi (dopo ci arriviamo), ad altri meno liberi e guidati tramite espedienti scenografici di grande impatto, probabilmente pensati per spezzare la routine; che, forse a causa della qualità fuori scala dei capitoli tradizionali, risultano però più deboli del previsto. 

Doom The Dark Ages Recensione
Esteticamente fighissimo. Lato gameplay invece…

DOOM The Dark Ages: una “pausa”, anche se a dorso di drago, non necessaria

Capisco, davvero, come mai si sia reso necessario alternare un tot di livelli “a piedi”, con altri che ci mettono alla guida di vari mezzi: tipo il gigantesco Mech o il drago di cui forse avete già appreso guardando i trailer pre-lancio. Soprattutto oggi, nel 2025, con le singole aree dove sono ambientati i capitoli che sono diventate così vaste, articolate, “bucherellate” da aree segrete, shortcut e percorsi alternativi. Gli sviluppatori devono aver pensato che mettendo tutte queste open map grondanti demoni e fluidi in fila una davanti all’altra, senza giunzioni meno impegnative e con “regole” e meccaniche diverse (peculiari), il mix finale sarebbe risultato eccessivo, ridondante: “pesante”. 

Come anticipato nel paragrafo precedente, però, pad alla mano sono piuttosto proprio queste articolazioni a scricchiolare sotto al peso di un gameplay, e di un sistema di combattimento, di gran lunga più accattivanti di loro: praticamente perfetti e perciò di gran lunga preferibili, pure se ripetuti e in lunghe sessioni di gioco, a quello delle “pause” a bordo di veicoli. Laddove volare a dorso di drago, con il DOOM Slayer che lo cavalca come se la creatura fosse una gigantesca Harley Davidson, è un po’ più divertente grazie ai comandi responsivi, alla libertà dei movimenti e delle manovre possibili in aria. Ugualmente, sia svolazzando che avanzando a bordo dell’Atlan, entrambe le esperienze si vivono come “un passo indietro” rispetto alla piacevole intricatezza e complessità dei combattimenti con pistole e scudo. 

Doom The Dark Ages Recensione
Le sezioni nell’Atlas sono troppo guidate per i nostri gusti!

Combat-system insuperabile e “pesante”: super fisico!

Premessa: non è un caso se gli sviluppatori hanno ritenuto di dover avvisare noi redattori, del fatto che avremmo potuto trovarci di fronte a “un combat-system molto diverso da quello di DOOM Eternal”. Al punto da dover “reimparare dalle basi” come sfruttare al meglio le meccaniche, di quello che all’epoca del primo reboot della serie su PS4 avevano chiamato “push forward combat”. Personalmente, non ho avuto problemi ad abituarmi in fretta ai nuovi ritmi e al diverso concetto di “push” di The Dark Ages, al punto che alla fine dei giochi lo ritengo più soddisfacente e sfaccettato, più tecnico e con un bilanciamento tra “frenesia” e “strategia” meglio ponderato. 

Questo perché vestendo la pellaccia di un DOOM Slayer “più giovane”, precedente a quello salterino e ultrarapido di DOOM (2016), e soprattutto del suo successore dotato di rampino, The Dark Ages ha fatto scendere in campo un protagonista pesante, forzuto; comunque agile, sì, ma non “schizofrenico”. Ogni suo passo sul terreno rimbomba come un tuono, non esiste danno da caduta e anzi, lanciandoci da altezze improbabili gli atterraggi si trasformano in rombanti esplosioni che disintegrano i demoni da macello nelle vicinanze, alquanto scenograficamente. Il concetto di “push forward” perciò rimane, ma non più solo come un invito a “sparare sempre e muoversi in fretta”; bensì, sotto forma di sprone ad avvicinarsi, a scontrarsi corpo a corpo, a sgomitare selvaggi durante tutte le ondate nemiche, che ci lanciano addosso tonnellate di carne putrescente, e in cui come sempre ogni nemico ucciso diventa una fontana di salute, scudi, munizioni; perciò più ammazziamo, più possiamo proseguire ininterrotti nella carneficina. 

“Lo vedi? Questo ERA il tuo cuore.”

La parte migliore è che, forte di questa possanza e statuaria forza bruta, il DOOM Slayer è diventato (potremmo dire “tornato a essere”) un carro armato su gambe estremamente più “fisico” della trottola sparaproiettili che era in Eternals; non più costretto a rimbalzare in alto e in basso, muovendosi su aree con una spiccata verticalità. Che erano comunque interessanti, ma più lontane che mai dalle arene pianeggianti delle origini, su cui i demoni potevano accalcarsi, calpestarsi minacciosamente e diventare quasi gocce sanguinolente dentro inquietanti mari rossi, in movimento verso l’orizzonte. Con The Dark Ages la sensazione torna a essere esattamente questa, e anche se le aree restano altimetricamente ben differenziate, favoriscono in modo evidente gli spostamenti orizzontali costanti e il corpo a corpo, o comunque il fuoco “da vicino”, sfruttando le armi nella nutrita ruota del nostro arsenale dalla corta o media distanza. Ci sono eccezioni, ma di sicuro l’approccio vis a vis premia e soddisfa molto di più: proprio alla base, il feedback delle armi, quindi il modo iper soddisfacente e credibile in cui sono gestiti rinculo e animazioni di sparo, è parte di un gunplay che a tratti quasi sembra perdere il sapore puro da “FPShooter”, tanto spesso si ricorre alle “botte” in varie forme e modalità.

Anche perché nella mano sinistra del nostro beniamino di verde vestito c’è adesso uno “scudo motosega” tanto appariscente e cool, quanto distruttivo per gli avversari. Captain America sarebbe fiero del DOOM Slayer, che può saltare tenendo davanti a sé lo scudo per “schiantarsi” sugli avversari, esibendosi nell’unica movenza che ricorda la fulminea velocità di Eternal (lo shield dash); oppure, può sfruttare lanci e rimbalzi dello scudo per far fuori i nemici minori in un istante, bloccare i demoni maggiori per un po’ di tempo piantando loro in petto i denti della sua motosega; si può parare qualche colpo riducendo i danni subiti, ma l’alternativa difensiva del parry è molto più allettante e utile, per rimandare al mittente i vari proiettili di colore verde che gli arrivano contro senza intaccare i nostri HP. C’è infine una meccanica che si sblocca verso metà gioco di cui non voglio menzionare nulla, per lasciare la sorpresa, ma che aggiunge ulteriore profondità proprio ai parry e al loro sfruttamento. Attenzione: anche così il pacing generale resta comunque frenetico, ma per spingerci a usare di più lo scudo e la deflezione i proiettili nemici vanno quasi tutti più piano, e in certi momenti sembra quasi di star dentro a un mini Bullet Hell. 

In breve, dato che alla fin fine è un sistema talmente fisico e ben costruito che per essere compreso e apprezzato appieno va vissuto e toccato con mano, personalmente ritengo che il ritorno ad uno slayer più muscoloso e armato di pugni e mazze chiodate, aggiornato con scudo e bocche da fuoco pensate per impedirgli di “fare il cecchino immobile”, sia una scelta azzeccatissima. La migliore che si potesse fare nel contesto ludo-narrativo di questo prequel, soprattutto accompagnata com’è da un level design di ogni zona, dalle più aperte a quelle chiuse e claustrofobiche, preciso: perfetto per massimizzare la strategicità e il “push forward” costante, da oggi più corporeo che mai.

Il parry è fondamentale: senza usarlo, il gioco non è terminabile.

Rip, tear… and explore

A proposito di Level Design, sempre seguendo i consigli forniti da un breve testo di presentazione preparato per noi redattori, ho provato (nei limiti del tempo a mia disposizione prima dell’embargo) a completare l’esplorazione di ogni macro area in cui venivo lanciato in ogni capitolo al 100%: ottima scelta. Non solo perché mi ha consentito di valutare al meglio la complessità e la summenzionata precisione nel design dei livelli, o di godere degli scorci e dei panorami a dir poco incredibili, iper dettagliati e d’atmosfera; anche perché sul fronte ludico più sale la difficoltà che si sceglie di perseguire, più è necessario aver cercato, e trovato, tutti i rubini e i lingotti con cui si potenziano armi, scudo e attrezzi da corpo a corpo; tutti i power up per salute, scudi e numero di munizioni, celati nei cuori di avversari più forti i cui scontri sono spesso opzionali. E già che ci siete, perché lasciare quella porzione di mappa in grigio, e perdervi uno dei collezionabili puramente “estetici” (skin armi, pupazzetti ritraenti i personaggi, pagine del codex con dentro lore interessante)?

La percezione che ho avuto riguardo questo ennesimo “rallentamento” solo apparente del ritmo di gioco è perciò del tutto positiva: studiando la mappa, non correndo solo da punto A, a punto B, per forzarsi solo in combattimenti obbligatori, aumenta tantissimo l’immersione e la sensazione di “scelta” del percorso da seguire. Si devono inoltre affrontare vari enigmi ambientali a volte ben costruiti, altre volte più semplici, un pizzico (ma davvero un pizzico) di platforming e il tutto mai invano: la ricompensa per ogni esplorazione ben riuscita è sempre commisurata perfettamente allo sforzo compiuto per ottenerla. 

Lo stesso può dirsi per i combattimenti, che giovano di una IA davvero eccellente a ogni step di difficoltà e non ci sono mai sembrati “impari”. Nemmeno quando alla difficoltà massima consentita dall’ottimo e iper personalizzabile menù apposito, eravamo costretti a trattenere il respiro in più occasioni, giostrandoci con le molteplici manovre consentite dal già abbastanza lodato sistema di combattimento. Circondati da un mare di demoni che si stagliava a perdita d’occhio in ogni direzione. 

Il capitolo che raccoglie meglio nell’epoca moderna l’eredità del suo antenato, prendendo tutto ciò che di buono hanno fatto DOOM (2016) e DOOM Eternal; come il sistema di combattimento “push forward”, o la direzione artistica allo stesso tempo cupa, hardcore (non ne abbiamo parlato, ma le colonne sonore metal sono fantastiche!), quasi horror, eppure così “colorata e vivace”. Spingendo forte sull’evocatività di una lore demoniaca interessantissima, ma di pari passo pigiando sull’acceleratore di ogni fazione presente, sia in ambito estetico e visivo che, quando necessario, ludico. Il tutto eliminando però “i movimenti non necessari”: del personaggio, in primis, poi delle ambientazioni e dei design di armi, avversari e trama. 


Tolte le acrobazie indubbiamente funzionali, nei predecessori, per mostrare i muscoli di un “nuovo modo di intendere DOOM”, quel che resta è davvero “un nuovo modo di intendere DOOM”, paradossalmente più vicino a quello originale. Perché quel che ha contato, nell’arrivare a questo combat system eccellente, a questa storia accattivante, in assoluto a questo DOOM The Dark Ages da capogiro è il percorso fatto, il lavoro certosino di Id Software che non si è mai accontentata. In un quadro simile i fan di DOOM, ma in generale i fan dell’azione pura, virtuosa e appagante, fisica, troveranno che il voto in calce va alzato del mezzo punto che non ho messo per tutti gli altri. Per i giocatori meno pazienti, ad esempio, o meno attenti; player abituati a un diverso tipo di ritmo nei titoli d’azione, forse più vicino ad Eternal. Che di fronte alla magnificenza tonante del nuovo DOOM Slayer armato di scudo, dei suoi passi che fanno tremare umani, demoni e angeli, non possono certo non capire l’imponenza e l’importanza di questo titolo, ma potrebbero non coglierne le sfumature “da perfect score”. Quelle che chi vi scrive, per capirci, ha percepito come pelle d’oca in ogni singolo minuto dell’esperienza. Si, The Dark Ages è il miglior “sequel” di DOOM di sempre!


 

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