“Non voglio abbattere il sistema, voglio restarne fuori”: Francesca Palamidessi

Escono tanti, tantissimi dischi in Italia ogni settimana, anzi, ogni giorno, ogni maledetto e benedetto giorno. Perché fare musica oggi è (più) facile, perché distribuirla è facilissimo, perché comunque la percezione è che attorno all’industria musicale siano tornate a pascolare le vacche grasse quindi, ehi, può esserci una chance per tutti (…ed effettivamente spesso vedi… The post “Non voglio abbattere il sistema, voglio restarne fuori”: Francesca Palamidessi appeared first on Soundwall.

May 7, 2025 - 09:27
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“Non voglio abbattere il sistema, voglio restarne fuori”: Francesca Palamidessi

Escono tanti, tantissimi dischi in Italia ogni settimana, anzi, ogni giorno, ogni maledetto e benedetto giorno. Perché fare musica oggi è (più) facile, perché distribuirla è facilissimo, perché comunque la percezione è che attorno all’industria musicale siano tornate a pascolare le vacche grasse quindi, ehi, può esserci una chance per tutti (…ed effettivamente spesso vedi dei miracolati avere i loro quindici minuti di gloria). Di tutta queste messe però ne approfittano prima di tutto i più svelti e i più cinici, oltre che i più strategici: bravura e talento diventano variabili e fattori molto meno rilevanti di prima. Sei un musicista bravo e preparato? Hai un background consistente? Non ti arrendi a fare musica usa-e-getta, ma vuoi dare vita a progetti elaborati, ambiziosi? Bravo! Bravo, sì, ma peggio per te, perché tutte queste scelte ti rendono molto meno agile, visibile e “commestibile” per il mercato, per l’ecosistema odierno attorno all’ascolto ed alla fruizione di musica.

Una prova provata di tutto ciò è Francesca Palamidessi: brava davvero, preparata parecchio, lei. Con una discografia ricca e consistente, dalle molte gemme che meritano di essere (ri)scoperte. E, come potete leggere dall’intervista qui sotto, pure dalla mente e dalle posizioni molto affilate, senza fare sconti a nessuno, senza mandarle a dire.

Certo: anche lei ad un certo punto è entrate nelle dinamiche del pop-che-funziona odierno (ma lo ha fatto con gente dal talento indiscutibile, vedi ad esempio Elisa e Calcutta), ma è un perfetto esempio di persona che ne sa, che ha una preparazione forte, che sente il bisogno viscerale di fare arte ed espressione, non ricerca di mercato e conseguente posizionamento strategico. Voci come la sua vengono ignorate, di solito, a meno che non riescano subito a salire sull’onda dell’hype (ogni tanto succede, vedi ad esempio il filone Iosonouncane / Daniela Pes). Troppe complicate, troppo problematiche. Ma proprio questo tipo di voci invece sono quelle che ci possono salvare dalla bulimia dell’ascolto e dalle malattie degenerative che essa potrebbe portare: perché a furia di essere circondati da musica, da release a getto continuo, da artisti e management che lavorano più per compiacere gli algoritmi che i propri bisogni più intimi ed istintivi, un bel giorno scopriremo che tutti questi fantastici numeri che baciano il pop italiano in senso lato sono stati una moda, non una consapevolezza culturale. Del resto, chi fa musica ed arte per davvero come Francesca lo sa già. Ma non per questo smette di farla.

(Francesca Palamidessi fotografata da Nicola D’Orta; continua sotto)

Freak Antoni diceva “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”. Che gusto c’è, da noi, a essere musicisti?

Tutto è confuso, si rimane “artisti emergenti” finché non si diventa idoli, economicamente un disastro, prestigio molto poco, ma nonostante tutto ciò c’è chi non molla la presa. E come mai? Direi che per fare i musicisti in Italia senza essere famosi ci vogliono motivazioni ben salde, di quelle che non possono essere mosse da ciò che succede all’esterno. Nel mio caso è così, è una scelta quasi politica, e in fondo la costanza e la tenacia vengono ripagate, non tanto in forma di successo per come lo si intende oggi, ma sicuramente in qualche soddisfazione personale. Senza la pretesa di abbatterlo, il sistema, c’è parecchio gusto a rimanerne fuori e riuscire a sopravvivere dignitosamente.

Hai un background musicale solido e sofisticato, ma a “complicare” ulteriormente le cose ci sono anche frequentissime incursioni nell’arte visuale. Anzi, spesso combini le due cose. Questa vastità di interessi è sempre una risorsa, o ogni tanto può portare a disperdere le proprie energie artistiche o, meglio ancora, a porsi obiettivi troppo “alti” poi un po’ più faticosi e lunghi da gestire?

Obiettivi troppo alti” è il mio secondo nome, ci ricasco di continuo, mi dico spesso che potrei semplificare il lavoro e concentrarmi su una cosa sola (con annesso senso di colpa nei confronti della musica che avrebbe già da sola bisogno di ore e ore di dedizione e pratica al giorno)… Ma ho imparato a convivere con il fatto che tendo a “sviare”, e a mettere l’attenzione su cose diverse in momenti diversi. Anni fa andai a lezione da un batterista belga, Eric Thielemans (del cui lavoro ero grande fan), e lui al posto che farmi suonare mi regalò due ore di conversazione sulla musica sciogliendo ogni mio filosofico dubbio (volevo smettere di suonare, perché il mio passare da una cosa all’altra mi faceva dubitare di avere la volontà necessaria per fare la musicista nella vita): mi disse che era nella mia unica natura essere così divisa, e che questo avrebbe definito il mio lavoro artistico al posto che intralciarlo. Quindi quando la domanda mi assale, penso che è meglio non riflettere troppo e fare tutto ciò che mi viene, al posto che cercare di governarmi.

(Eccolo, “Wisteria”; continua sotto)

Tornando ancora alla questione del background musicale, cosa ti ha dato – e cosa ti ha eventualmente tolto – quello legato al jazz?

Bella domanda, ne parlo spesso con i miei colleghi. Ho una lunga lista di cose positive che posso attribuire sia allo studio che alla pratica del jazz, e altrettante cose che mi hanno sicuramente danneggiato. Partendo dal positivo, direi in primis la comprensione delle leggi sulle quali si articola il linguaggio musicale: qualcuno direbbe che si tratta di semplice teoria, ma non è così, è un meraviglioso codice, e più ci si entra, più si prova piacere nel comprenderlo. Capire meglio la musica secondo me rende anche migliore l’esperienza dell’ascolto. Vengo quindi al secondo punto positivo, ovvero il fatto che nel jazz, come nella musica colta in generale, di solito chi è molto bravo viene riconosciuto come tale, in base alla musica e basta. Non c’è personaggio che tenga insomma. L’immagine conta poco e niente. Quindi riesco a slegare totalmente le due cose, e di questo sono molto contenta. Ultimo punto, fondamentale, è che grazie al mio background nel jazz so improvvisare: non solo mi facilita in tantissime cose, ma è anche uno strumento che posso utilizzare quando perdo l’ispirazione. E’ anche una pratica performativa in cui si mette tanto a rischio, e quindi aiuta a crescere. E’ un jolly nella musica ma anche nella vita, ti abitua a reagire alle circostanze. Veniamo adesso alle note dolenti…Studiare jazz mi ha instillato un inconscio senso di colpa nei confronti del mio voler fare anche musica leggera. Ti fanno un po’ il lavaggio del cervello negli ambienti del jazz, è una bolla che spesso esclude le altre bolle musicali. Riscontro anche un certo atteggiamento di giudizio latente, un guardare dall’alto in basso. E’ (o
perlomeno era, negli anni in cui ci ero dentro…) un po’ una gabbia di lupi, piena di gente gelosa delle proprie posizioni: ci si aiuta poco a vicenda, lavorativamente parlando. Al Conservatorio, poi, nessuno mi ha aiutata a definire la mia identità artistica, piuttosto avevo l’impressione che mi volessero tagliare le gambe (esagero, ovviamente). All’estero poi è andata un po’ meglio, ho avuto esempi intorno di musicisti meravigliosi che mi hanno insegnato tanto. Insomma, gioie e dolori…

Nel jazz, come nella musica colta in generale, di solito chi è molto bravo viene riconosciuto come tale, in base alla musica e basta. Non c’è personaggio che tenga insomma

Se osservi la tua evoluzione da artista, in che posizione metteresti “Wisteria”? Quale posto occupa, nella tua mappa personale?

Sarò in grado di rispondere a questa domanda fra qualche anno (forse…). Essendo ciò che faccio molto spontaneo e poco programmatico, solitamente capisco pregi, difetti e collocamento dei miei lavori con un po’ di latenza. E’ strano, perché “Wisteria” al momento mi sembra allo stesso tempo la cosa più pop e la più sperimentale che ho fatto finora.

Dovessi dare un unico brano per far comprendere al meglio la tua essenza e quello che vuoi esprimere, quale sceglieresti? Che sia da “Wisteria”, o che sia anche da altri lavori…

Per qualche motivo penso di aver espresso la me più autentica nel mio secondo disco “Amber Haze”, ero ancora molto acerba ma anche molto libera in quel periodo. Scelgo quindi la canzone di quel disco che si chiama “Raw”, che parla di un sogno.

(“Amber Haze”, anno 2017; continua sotto)

La pigrizia giornalistica – l’uso della voce, un certo modo astratto di maneggiare
l’elettronica – porta al classico ed inflazionatissimo paragone con Björk, ma sono convinto ci siano molti altri artisti o artiste cruciali nella tua formazione musicali. Ti va di elencarmene qualcuno o qualcuna? Quali sono i tuoi “dischi da isola deserta”?

Vediamo… Parto dalla classica con le Variazioni di Goldberg suonate da Glenn Gould, mi rimettono in ordine il cervello, un effetto sorprendente. Quindi Bach, ma anche Ravel, Tchaikovsky…Grace di Jeff Buckley, perché quel disco mi ha insegnato a cantare. Sicuramente “Mingus Ah Um” di Charles Mingus. ”Trees are always right” di Jozef Dumoulin & Lidlboj, un disco unico che ho ascoltato allo sfinimento e che ancora non capisco appieno. Sono stata in fissa con gli Hiatus Kayote quando uscì “Tawk Tomahawk”, anche se quel modo di cantare è lontanissimo da me. Altre influenze alla lontana sono la sopra citata Björk, il primo James Blake, FKA Twigs (specialmente “Magdalene”, per la sua elettronica così emotiva), i Radiohead (che ora però non riesco più ad ascoltare), i Beatles. Sono una grande fan dei Blonde Redhead. Una delle mie cantanti preferite di sempre è la sottovalutata Karen Dalton.
Da adolescente ero fissata con “Under The Iron Sea” dei Keane, era il mio gruppo
preferito, quindi devo portarlo sull’isola deserta!

Sarebbe bello se chi possiede i mezzi economici li utilizzasse per giocare un po’ con la musica, magari prendendosi il tempo di trovare qualcosa da dire, al posto che spendere decine di mila euro per ammiccanti e vuoti videoclip 4k, styling mostruosi, producer e autori tutto nome e niente arrosto

Tra le tante cose interessanti, c’è anche il tuo lavoro da strumentista al servizio di voci pop molto importanti, a partire da Calcutta ed Elisa. Come vedi lo stato creativo del pop italiano, in questo momento? Quanto coraggio c’è?

Davvero poco. Non riesco a capire come regga questo sistema, ma in fondo non sono la persona più adatta per comprenderlo, dato il mio background. Per fortuna le mie esperienze nel pop sono state fortunatissime, e sono onorata dei ruoli che ho potuto ricoprire, specie con Calcutta, perché ho tanta stima di lui in quanto artista che scrive con il cuore e che ha un universo suo da raccontare. Ma sono casi isolati, il panorama è in generale desolante. Dopotutto stiamo perdendo il coraggio un po’ in ogni cosa. Il rischio è troppo alto: fallire non è mai stato tanto pesante come in quest’epoca. Io cerco di tenermene fuori il più possibile, come spiegavo anche qualche domanda fa. Se poi il mio contributo e la mia specificità fanno al caso di qualche musicista pop, ne sono contenta e anche lusingata. Sarebbe bello se chi possiede i mezzi economici li utilizzasse per giocare un po’ con la musica, magari prendendosi il tempo di trovare qualcosa da dire, al posto che spendere decine di mila euro per ammiccanti e vuoti videoclip 4k, styling mostruosi, producer e autori tutto nome e niente arrosto (le nuove divinità del settore), ai fini di promuovere basi scopiazzate e testi ridicoli. Ma tutto questo, lo so, è utopia. 

(L’identità “visiva” di “Wisteria”; continua sotto)

Ora che “Wisteria” è uscito, esiste nel mondo, quali saranno le tue prossime mosse?

Sto già lavorando al prossimo disco, e nel mentre portando avanti alcune interessanti collaborazioni che porteranno a qualche pubblicazione. Nel mentre da settembre sarò impegnata in qualche live in giro per l’Italia, per presentare “Wisteria” in una veste inedita.

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