La superficiale spiritualità di The White Lotus 3
Il seguente articolo contiene SPOILER sulla terza stagione di The White Lotus. Con la terza stagione (che potete recuperare qui), The White Lotus conferma la sua natura di affresco sociale lucido, impietoso, spesso ironico ma mai superficiale. Dopo aver esplorato le dinamiche del privilegio a Maui e in Sicilia, Mike White ci porta in Thailandia,… Leggi di più »La superficiale spiritualità di The White Lotus 3 The post La superficiale spiritualità di The White Lotus 3 appeared first on Hall of Series.

Il seguente articolo contiene SPOILER sulla terza stagione di The White Lotus.
Con la terza stagione (che potete recuperare qui), The White Lotus conferma la sua natura di affresco sociale lucido, impietoso, spesso ironico ma mai superficiale. Dopo aver esplorato le dinamiche del privilegio a Maui e in Sicilia, Mike White ci porta in Thailandia, un contesto apparentemente pacifico e spirituale. Tutto questo funge da specchio ancora più spietato delle nevrosi e dei vuoti dell’élite occidentale. Al centro di questo nuovo ciclo narrativo c’è il solito protagonista invisibile: il denaro. Nelle stagioni precedenti la ricchezza era mostrata come uno strumento di potere e controllo. Ma nella terza stagione di The White Lotus, il denaro assume una dimensione ancora più marcia, rivelando l’ingratitudine profonda dell’alta società nei confronti della vita stessa e della semplicità delle cose.
L’ingratitudine dorata: soldi, spiritualità e superficialità nella terza stagione di The White Lotus
Fin dalla prima puntata, la Thailandia non è la protagonista esotica che molti spettatori si aspettano, ma uno sfondo distorto, quasi distaccato. E’ forse questa la prima grande differenza dalle altre stagioni. O meglio, è nel terzo capitolo che si percepisce maggiormente questo distacco. I personaggi non si immergono in ciò che hanno a disposizione. Non esplorano mai la Thailandia davvero: la usano. Il resort extralusso in cui sono ospitati è l’ennesima bolla, costruita per offrire a pochi ricchissimi l’illusione di una connessione con la spiritualità orientale senza dover rinunciare al comfort occidentale. Ritiri di yoga, sessioni di meditazione guidate, cene su terrazze mozzafiato: ogni elemento è parte di un pacchetto turistico di benessere confezionato per chi non ha mai conosciuto il bisogno. In questa cornice, il denaro diventa uno scudo contro la realtà e la spiritualità si trasforma in una moda.
Il lusso viene reso un antiestetico che distrae i protagonisti dalla vuotezza della propria esistenza. In The White Lotus tutto viene dato per scontato: l’esempio lampante è la condizione della famiglia Ratliff. Appena sbarcato in Thailandia, Timothy Ratliff scopre di essere indagato per frode e vede le sue certezze cominciare a sgretolare davanti a lui. E mentre l’uomo vive una devastante crisi personale, sua moglie Victoria non pensa ad altro che ad assuefarsi in una vacanza che sarebbe potuta essere in qualsiasi altra parte del mondo. Massaggi, farmaci, alcol. Questo è forse il cuore più amaro della stagione: l’idea che la ricchezza, oltre a garantire privilegi materiali, funzioni anche come anestetico esistenziale. I personaggi sembrano alla ricerca di qualcosa – illuminazione, riconciliazione, autenticità – ma ogni tentativo è viziato dal desiderio di ottenerlo senza fatica, senza rinunce, senza sporcarsi. È la versione deluxe dell’antico sogno borghese: comprare l’anima, senza mai davvero mettersi in discussione.
Il racconto di una classe sociale profondamente ingrata che vive le proprie relazioni umane come transazioni bancarie
La serie sottolinea quanto la dipendenza dal denaro non sia solo ipocrita, ma anche intrinsecamente ingrata. L’ingratitudine dell’alta società si manifesta nel suo modo di trattare la cultura e la spiritualità come beni di consumo, senza rispetto per il loro valore autentico. La Thailandia, nella sua complessità e bellezza, diventa una cartolina vivente, svuotata della sua identità per essere più facilmente digeribile dai turisti occidentali. Non si tratta solo di appropriazione culturale, ma di una forma più sottile e velenosa: il rifiuto sistematico della semplicità, dell’umiltà, della verità non filtrata dal lusso. Un altro punto forte della terza stagione di The White Lotus è l’analisi delle relazioni umane all’interno dell’alta società. Anche queste, come tutto il resto, sono filtrate dal denaro e svuotate della loro autenticità. Le coppie sembrano unite più da contratti che da sentimenti, i rapporti genitori-figli sono viziati dall’eredità e dal controllo, le amicizie sono perennemente minacciate dalla competizione economica.
Alla fine della terza stagione di The White Lotus (qui trovate la nostra recensione), l’unica cosa che resta da provare per la famiglia Ratliff è un senso di pietà. Il colpo di grazia lo spettatore lo riceve da Piper, che sembrava destinata a un finale totalmente diverso. Anche lei, che ci viene presentata come pecora nera della famiglia, non è in grado di rinunciare all’agio. E se ne rende conto in modo del tutto banale e per questo ancor più impattante. Non è fatta per vivere in stanze piccole, senza comfort e senza il lusso a cui lei stessa voleva rinunciare. C’è poi il rapporto tra Kate, Laurie e Jaclyn, le tre amiche di lunga data in vacanza insieme, riunite dopo tanto tempo. Tutte e tre si commuovono nel loro “finale” narrativo, ma lo spettatore no. Chi guarda non può fare a meno di tenere conto dell’invidia che pervade il loro rapporto, di quanto la loro amicizia sia, di fatto, innaturale.
Simbolismo e narrazione di una società sazia ma paradossalmente affamata
Dal punto di vista narrativo, la terza stagione di The White Lotus è costruita in modo da accentuare la distanza tra apparenza e realtà. Molti episodi iniziano con panoramiche mozzafiato, rituali affascinanti, musiche evocative. Ma sotto questa superficie estetica si annida un malessere profondo, una disconnessione radicale da tutto ciò che è autentico. Mike White usa il paesaggio thailandese non solo come esotismo da cartolina, ma anche come palcoscenico simbolico di un mondo che ha perso la bussola. Persino la scelta di inserire elementi di religione buddista e di cultura locale non è mai gratuita. Ogni volta che i personaggi tentano un approccio con queste realtà, falliscono miseramente. Non per ignoranza, ma per arroganza. E ogni fallimento è un monito: non si può comprare l’essenza della vita con la carta di credito. Alla fine, il denaro diventa una maledizione silenziosa, un peso che impedisce ai personaggi di evolvere, di vedere, di sentire davvero.
La terza stagione di The White Lotus è forse la più disturbante proprio perché mostra un’élite che ha tutto e non gode di nulla. I soldi, lungi dall’essere una benedizione, si rivelano come un ostacolo alla felicità, alla consapevolezza, alla semplicità. L’ingratitudine verso la vita si manifesta nella costante ricerca di qualcosa di “più”, quando il “giusto” sarebbe già sufficiente. Ma l’alta società, educata all’eccesso, è incapace di apprezzare ciò che non brilla, ciò che non costa, ciò che non può essere esibito. The White Lotus non condanna i suoi personaggi, ma li osserva con la precisione crudele di uno specchio che non distorce. E in questo riflesso vediamo non solo i ricchi turisti di un resort in Thailandia, ma anche una parte di noi: quella che crede che la felicità sia nei dettagli superflui. La stessa che confonde l’esperienza con la performance, che ha dimenticato – o forse non ha mai imparato davvero – a dire grazie.
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