Death Stranding 2: On The Beach – intervista a Hideo Kojima
In vista dell’arrivo di Death Stranding 2: On the Beach in uscita il 26 giugno, abbiamo scambiato due chiacchiere con Hideo Kojima per scoprire in che modo il tema della “connessione” abbia influito sullo sviluppo del sequel durante l’emergenza COVID e delle sfide che ha dovuto affrontare nel ridefinire il gameplay. Abituare i giocatori a […]

In vista dell’arrivo di Death Stranding 2: On the Beach in uscita il 26 giugno, abbiamo scambiato due chiacchiere con Hideo Kojima per scoprire in che modo il tema della “connessione” abbia influito sullo sviluppo del sequel durante l’emergenza COVID e delle sfide che ha dovuto affrontare nel ridefinire il gameplay.
Abituare i giocatori a un nuovo genere, offrendo più scelta e libertà
PlayStation Blog: Quali obiettivi si è prefissato lavorando al sequel di Death Stranding? Ci sono particolari cambiamenti o miglioramenti significativi che desiderava apportare?
Hideo Kojima: Nel passaggio da PlayStation 4 a PlayStation 5, ci siamo concentrati principalmente su dei cambiamenti riguardanti il game design e la storia. Come ricorderete, Metal Gear Solid è stato uno dei primi videogiochi stealth, in cui è necessario restare inosservati per sopravvivere. Non ci sono armi sull’ascensore all’inizio del gioco, poiché altrimenti i giocatori avrebbero preferito sicuramente combattere i nemici anziché sgattaiolare via, e si sarebbe perso lo spirito stealth del gioco. Per questo motivo, abbiamo deciso di non inserirle. Qualcuno diceva che raggiungere l’ascensore era troppo complicato (ride), ma il gioco include varie meccaniche per insegnare ai giocatori come funzionano le meccaniche stealth. Poi, in Metal Gear Solid 2, abbiamo apportato dei miglioramenti. Ad esempio, abbiamo reso le armi più semplici da maneggiare e abbiamo inserito la possibilità di mirare a parti specifiche del corpo nella visuale in prima persona.
Death Stranding 2: On the Beach è stato progettato seguendo una filosofia simile. I giocatori hanno preso dimestichezza con il genere del “delivery game” nel primo gioco, e il sequel riparte da lì, fornendo ai giocatori più scelta e libertà, soprattutto nel combattimento: è possibile lanciarsi in violenti scontri armati oppure evitare del tutto di usare armi. Abbiamo reso più accessibili anche auto e motociclette.
Per quanto riguarda la storia, il primo capitolo era incentrato su Sam e Cliff. Questa volta, la storia approfondisce la figura di Lou, al suo rapporto con Sam e al passato del protagonista.
È rimasto sorpreso dal modo in cui i giocatori hanno utilizzato il Social Strand System (SSS) nel primo gioco? Questo ha in qualche modo influenzato lo sviluppo di Death Stranding 2?
Inizialmente non eravamo sicuri che i giocatori avrebbero utilizzato SSS, ma abbiamo scoperto che molti di loro hanno apprezzato questa funzione. Perfino ora, cinque anni dopo l’uscita del gioco, ci sono giocatori che si danno da fare a costruire autostrade, e questa è stata una piacevole sorpresa. Sviluppando il sequel, abbiamo pensato a vari modi per accontentare i giocatori che si appassionano a costruire infrastrutture come le autostrade, ed è per questo che abbiamo introdotto la possibilità di realizzare monorotaie.

Un elemento su cui il team ha discusso a lungo è stata la meccanica dei “Mi piace”. Nel gioco, i Mi piace non hanno nessun effetto concreto, non si possono né trasformare in denaro, né renderti più forte. Eppure è sempre una bella sensazione ricevere un Mi piace da un altro giocatore in segno di apprezzamento. Eravamo pronti a qualche critica, quando abbiamo inserito questa funzione in Death Stranding, ma i giocatori sembrano aver apprezzato la meccanica. Lavorando a Death Stranding Director’s Cut, abbiamo analizzato i dati e le statistiche dei Mi piace per migliorare la funzione in base ai risultati ottenuti. Death Stranding 2: On the Beach si basa su queste analisi, permettendoci di comprendere ancora meglio il comportamento dei giocatori.

Come mai ha scelto Messico e Australia come ambientazioni principali per Death Stranding 2: On The Beach?
Il Messico confina con le UCA (United Cities of America), dunque era necessario collegare le città limitrofe. Come Sam fa notare spesso nel corso del gioco, siamo stati molto attenti a fare in modo che queste “connessioni” non fossero percepite come invasioni. Il viaggio di Sam per collegare le Americhe da est a ovest si ispira alla frontiera americana. Una volta istituite le UCA, volevamo che il sequel fosse ambientato in un luogo con una geografia simile a quella delle Americhe: esteso da est a ovest e delimitato dal mare a nord e a sud. L’Eurasia era troppo grande e nemmeno l’Africa aveva i requisiti giusti. L’Australia era perfetta, ma bisognava capire come collegare il continente nordamericano con l’Australia. Dopo averne discusso a lungo, abbiamo deciso di implementare il “geo-varco” per collegare i due continenti.
Rivisitare il concetto di “connessione” per l’umanità
Il tema principale del primo capitolo era “connettere le persone”. In questo sequel, è diventato “avremmo dovuto connetterci?” È un cambiamento dovuto a un’evoluzione nel tempo della sua percezione dei social media?
Death Stranding era in sviluppo prima dell’arrivo del COVID, e in quel periodo sentivo che si stava creando una spaccatura a livello globale, soprattutto a seguito delle discussioni sulla Brexit. Il tema del gioco rispecchiava una mia convinzione, e cioè che in un momento storico come quello l’umanità avesse bisogno di connettersi e rimanere unita per scongiurare disastri. Tre mesi dopo l’uscita del gioco, è scoppiata la pandemia di COVID, e le persone si sono isolate proprio come nel gioco. Siamo sopravvissuti grazie a Internet, ma allo stesso tempo io notavo che sempre più persone iniziavano a disdegnare i rapporti umani e le interazioni in presenza, e ciò andava contro la mia concezione della comunicazione umana. Solo spingendoti nel mondo esterno puoi fare incontri casuali o ritrovarti in posti inaspettati.

Death Stranding 2: On the Beach era già in fase di sviluppo prima del COVID, ma dopo lo scoppio della pandemia abbiamo rivisitato il concept complessivo del gioco. Il capitolo precedente si ispirava alla paura della frammentazione sociale e dell’isolamento, ma dopo l’esperienza del COVID ho iniziato a riflettere sui pericoli dell’essere “troppo connessi”. Nel gioco ci sono molti riferimenti a questo, come la teoria del bastone e della corda, per cui penso che alla fine i giocatori riusciranno a unire i puntini. Incontrerete anche personaggi che daranno voce ai miei pensieri.
Un indizio riguarda i loghi: quello del capitolo precedente aveva dei fili che pendevano verso il basso a simboleggiare il tema delle connessioni, mentre il logo di Death Stranding 2: On The Beach vede quegli stessi fili scendere dall’alto verso il logo stesso. Cosa significa essere connessi? Avremmo dovuto connetterci? Giocate per scoprirlo.
