Roberto De Simone, addio al genio che ha reinventato Napoli tra tradizione e avanguardia
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Napoli piange uno dei suoi figli: è morto a 91 anni Roberto De Simone, musicologo, compositore, regista, antropologo e intellettuale tra i più lucidi e innovativi del secondo Novecento. Il maestro si è spento nella serata di domenica 6 aprile, tra gli affetti più cari, nella sua casa-rifugio di via Foria, lo storico Palazzo Ruffo di Castelcicala. Era stato dimesso da poche settimane dall’ospedale Vecchio Pellegrini dopo alcune complicazioni respiratorie. Avrebbe compiuto 92 anni il prossimo agosto.
Con la sua morte, Napoli perde un genio assoluto della scena culturale europea. De Simone ha dedicato tutta la sua vita a restituire dignità e nuova linfa al patrimonio musicale e folklorico campano e meridionale, attraverso un lavoro tanto rigoroso quanto visionario, capace di coniugare la più alta erudizione con la vitalità del popolare. Un’eredità immensa, fatta di spartiti, spettacoli, saggi, registrazioni, che resterà come patrimonio non solo della città, ma del Paese intero.
Una delle sue intuizioni più dirompenti fu la fondazione, nel 1967, della Nuova Compagnia di Canto Popolare, in collaborazione con Eugenio Bennato, Giovanni Mauriello, Carlo D’Angiò e successivamente Peppe Barra, Fausta Vetere, Patrizio Trampetti. Un progetto nato dal campo, dai riti, dalle feste religiose dell’entroterra, e rifinito con la sapienza della musica colta: una vera rivoluzione che contribuì a riscrivere il racconto di Napoli, riportando alla luce l’anima arcaica e metropolitana della sua cultura. Il successo fu internazionale: la tradizione partenopea, finalmente riletta in chiave moderna e consapevole, tornava a parlare al mondo.
Il 7 luglio 1976, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, debutta La Gatta Cenerentola, favola in musica ispirata a una delle fiabe di Giambattista Basile. “Un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo, come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano”, scrisse l’autore. Villanelle, moresche, tammurriate, ritmi tribali e canto colto si fusero in un’opera straordinaria che conquistò il pubblico giovane degli anni ’70 e divenne un cult della scena teatrale italiana e internazionale.
Nato nel cuore di Napoli, alla Pignasecca, il 25 agosto 1933, De Simone studiò al Conservatorio di San Pietro a Majella e alla Federico II. Abbandonò presto l’attività concertistica per dedicarsi alla ricerca etnomusicologica e alla composizione. È stato direttore artistico del Teatro San Carlo dal 1981 al 1987, dove contribuì alla riscoperta del repertorio settecentesco napoletano. Ha firmato regie per i maggiori teatri del mondo – dal Flauto magico di Mozart che inaugurò la Scala nel 1990, a Cholera, Il Re bello, Pergolesi in Olimpiade – sempre guidato da un’idea chiara: la cultura popolare può stare alla pari della cultura accademica.
Dal 1995 fu direttore per chiara fama del Conservatorio di San Pietro a Majella, carica che lasciò nel 2000. Accademico di Santa Cecilia dal 1998, ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti tra cui il Cavalierato della Repubblica Francese, il Premio Nonino, il Premio Roberto Sanseverino e infine, nel 2019, la nomina a Cavaliere di Gran Croce da parte del presidente Sergio Mattarella.
L’opera di Roberto De Simone ha avuto anche una fondamentale dimensione saggistica e divulgativa. Per Einaudi ha pubblicato testi come Il presepe popolare napoletano, La Cantata dei pastori, La canzone napolitana, Satyricon a Napoli ’44 e L’oca d’oro, offrendo una lettura inedita delle radici profonde della napoletanità, al crocevia tra sacro e profano, tragedia e farsa, classicismo e oralità.
La camera ardente è stata allestita nel Foyer del Teatro San Carlo, luogo simbolo della sua opera. I funerali si svolgeranno mercoledì 9 aprile alle ore 16 nel Duomo di Napoli. Il sindaco Gaetano Manfredi ha proclamato il lutto cittadino e ha annunciato che il Comune rafforzerà le iniziative già previste per il 2500° anniversario della città, con l’intento di ricordare nel modo più degno “una memoria che non va dimenticata”.
Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, lo ha definito “un intellettuale illuminato, capace di coniugare genialità artistica e rigore scientifico”. Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha parlato di lui come “un magnifico cantore dei sentimenti più profondi della cultura e dell’umanità napoletana”.
Anche il Trianon Viviani, teatro a lui caro, lo ha ricordato con commozione. Marisa Laurito, sua storica collaboratrice, lo ha salutato come “un genio insostituibile, una luce potente per Napoli”.
Roberto De Simone lascia un archivio sterminato, anche sonoro, e una lezione che va ben oltre la musica. Ha insegnato che la tradizione non è un fossile da museo, ma un linguaggio in movimento, capace di parlare con forza al presente. Napoli e l’Italia intera devono molto a questo “musicista-filosofo”, che ha saputo restituire bellezza, memoria e orgoglio a un’identità troppo spesso stereotipata o dimenticata.
Con lui scompare un maestro, resta la sua opera: viva, stratificata, necessaria.
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