Roberto Vecchioni, al Teatro Ariston di Sanremo tra musica, poesia, impegno e ricordi
Il “Prof” dà a tutti la migliore lezione, quella a suon di musica: poesia, impegno e ricordi al Teatro Ariston insieme a Roberto Vecchioni. L'articolo Roberto Vecchioni, al Teatro Ariston di Sanremo tra musica, poesia, impegno e ricordi proviene da imusicfun.

Il “Prof” dà a tutti la migliore lezione, quella a suon di musica: poesia, impegno e ricordi al Teatro Ariston insieme a Roberto Vecchioni.
“C’è un’età della vita in cui si può trovare una voce pura: una voce tra il silenzio e il tuono”. Dice così il libro del Prof Roberto Vecchioni (Einaudi, 2024), che si chiama proprio come il tour che lo sta portando in giro per l’Italia, “Tra il silenzio e il tuono”.
Ieri sera, giovedì 24 aprile, ha fatto tappa al Teatro Ariston di Sanremo, con una scaletta variegata che ha mescolato racconti e canzoni.
Sul palco con il Professore la band con cui suona da 17 anni: Lucio Fabbri (pianoforte e violino), Massimo Germini (chitarra acustica), Antonio Petruzzelli (basso) e Roberto Gualdi (batteria).
Un palco che l’ha visto protagonista diverse volte: l’ultima, l’anno scorso, durante il Festival insieme al giovane Alfa con un’intensa versione di “Sogna, ragazzo, sogna”. E, ricordiamo, tra i tanti momenti ricchi di emozione, anche il suo trionfo nel 2011 con “Chiamami ancora amore”. Naturalmente non potevano mancare questi due brani in scaletta (conservati per il gran finale): “Nella vita bisogna sempre saper aspettare. Questo brano, grazie ad Andrea (Alfa) è diventato Disco d’oro dopo 25 anni. Tre giorni dopo il Festival, una signora mi è venuta incontro e mi fa: “Prof, che bella la sua nuova canzone!” “Signora – le ho risposto – ha 25 anni!” E lei: “Che gentile, ne ho 50!”
E, a proposito di questo numero, Vecchioni ha detto: “Le ho contate: sono 50 volte che canto su questo palco. Il Teatro Ariston è ormai è mio per usucapione”. Ha scherzato così, raccontando che la prima volta era il ‘74 al Premio Tenco: “c’era un camerino solo, eravamo io, Francesco (De Gregori) e Branduardi: noi due bevevamo e fumavamo, lui rompeva i c….col violino e l’abbiamo cacciato fuori”.
Roberto Vecchioni ha poi voluto ricordare il Santo Padre in questi tristi giorni: “Lui diceva grazie a me per una canzone. Noi stasera facciamo un concerto dedicato a lui, ma con moderazione”.
Non poteva poi mancare la sua vena impegnata, auto-ironizzando sulla critica ai comunisti che domani (oggi, 25 aprile) “invaderanno” le strade. “Noi stasera parleremo di liberazione, la nostra. Non bastano le parole: ci vogliono le azioni contro chi ci vuole rovinare i sogni, la fantasia”.
La scaletta si è aperta con “Il lanciatore di coltelli”: “noi lanciamo coltelli al cielo per illuminare le stelle. Regalo questa piccola canzone a Sanremo che amo”.
È arrivata poi una riflessione sul tempo che passa: “vivrò altri ottant’anni, voglio vedere il male perdere. Non ho età, l’età non esiste.
Nel futuro ci saranno delle donne a cambiarci la rotta. E i vostri ragazzi. Non critichiamoli: cazzate le abbiamo fatte tutti, ma oltre le cazzate c’è qualcosa”.
Non poteva mancare il fondamentale tema dei sentimenti: “voglio parlare di un amore unico che dura da 44 anni, la mia compagna. Non dico la mia donna, sembra possessivo. Siamo due metà vere. E questo amore io l’ho visto come se non potesse mai sparire, che fosse l’eternità vicino a me. Ah – ha scherzato – ricordatevi che non sono un colto intellettuale, sono un co….one, un pirlone. Ora, per favore, tenete la mano della vostra donna o del vostro uomo per 3 minuti. È un valzerino brutto brutto ma a me piace”. E ha intonato “Ogni canzone d’amore”, una poesia in musica che si chiude con l’emozionante frase: “Stringimi forte perché ho seri dubbi di essere eterno”.
C’è poi stata la riflessione sull’arte: “un artista è un essere inutile soprattutto se italiano, presuntuoso, invidioso, incompreso.
Non aumenta il Pil. A cosa serve? Quando guardate un quadro, ascoltate una canzone…e sentite una botta dentro..Ecco cos’è. E il Pil non ve lo dà. Si chiama emozione. Non bisogna capire, bisogna sentire”. E ha intonato il brano “Vincent”, dedicato al grande Van Gogh e agli artisti.
“Finché ho i brividi canto. Quando finiscono i brividi, è meglio non cantare più”. E, a microfono spento, si è avvicinato alla platea e con un filo di voce ha detto: “Sono piccolo piccolo, voi siete il mio cuore”.
Non è mancata la parte ironica, anche se era una pagina dolorosa: “45 anni fa sono andato in galera per un giudice che mi accusò di aver dato uno spinello a un ragazzo. 4 giorni a Marsala. Gli ho scritto una canzone: “Signor giudice (un signore così così)”.
Tra le canzoni più intense e malinconiche di Roberto Vecchioni c’è “El bandolero stanco”, che ha introdotto così: “il mio primo maestro fu un bambino di quinta elementare che doveva lavorare dal padre macellaio. Io ero alle medie, gli portavo i libri di nascosto. Il padre lo sgridava: a cosa ti serve leggere? Il figlio rispose: una cosa e fare il macellaio, un altro è fare il macellaio con la cultura”.
Uno dei momenti più commoventi è stata l’interpretazione di “Cappuccio rosso”, dedicata a Ayşe Deniz Karacagil, la giovane turca uccisa mentre combatteva al fronte contro l’Isis per aiutare il popolo curdo. “una donna che ha vissuto e morta per la sua patria. È l’ultima lettera dal fronte al suo innamorato. Finiamola di credere a ciò che stanno scrivendo di me sui social, alla balla dell’antisemita. Credo negli ebrei democratici e nei russi democratici. E dobbiamo credere nelle minoranze. Ci sono due str…eterni al comando di due nazioni. Non ho detto quali nazioni: forse la Groenlandia o l’Antartide? Vabbè che là fa freddo e ci sono i pinguini…”
Subito dopo, cambio di registro, ha intonato: “Voglio una donna”, brano in cui “ho preso in giro le donne che vogliono fare i maschi, perché noi maschi facciamo già troppi danni.“
Tra i momenti più divertenti, anche quando ha tolto la giacca rimanendo in t-shirt e scherzando: “cosa ho in meno di Springsteen a parte il conto in banca? Mi manca solo la benda”. Ma poco dopo: “no, fa freddo, rimetto la giacca”.
Poi, sul finale, i grandi classici come “Luci a San Siro”: “l’ho cantata 6000 volte, ma ognuna è diversa”.
E poi, dopo l’uscita di scena e la chiamata del pubblico, tutti a battere le mani al ritmo di “Samarcanda”.
E, alla fine, non poteva mancare la standing ovation dell’Ariston al Prof e alla suo contagioso pathos.
L'articolo Roberto Vecchioni, al Teatro Ariston di Sanremo tra musica, poesia, impegno e ricordi proviene da imusicfun.