Intervista a Roberto Zappalorto: “Oggi si diventa famosi e poi ci si forma, ma una canzone forte vince sempre”

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Apr 23, 2025 - 23:48
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Intervista a Roberto Zappalorto: “Oggi si diventa famosi e poi ci si forma, ma una canzone forte vince sempre”

Compositore raffinato, autore dalla penna sensibile e dalla visione lucida sull’evoluzione del panorama musicale italiano, Roberto Zappalorto ha firmato brani per artisti come Ron, Franco Califano, Giusy Ferreri, Mietta, Gerardina Trovato, Paolo Meneguzzi, Massimo Di Cataldo, Stefano Zarfati, e vanta tre partecipazioni al Festival di Sanremo, oltre ad alcune collaborazioni con “Amici”.

Dopo anni di lavoro in studio e numerose pubblicazioni, Zappalorto, con lo pseudonimo Roberto Zappy, torna con il brano Mi conosci a memoria, un nuovo singolo che apre la strada a un album in uscita, nel segno dell’autenticità e dell’amore per la musica. In questa intervista ci racconta il suo percorso, il suo pensiero sul mondo discografico di ieri e di oggi, e cosa significa davvero scrivere una canzone che resti nel tempo.

Intervista a Roberto Zappalorto

Roberto, hai avuto l’onore di stare alla corte di Franco Migliacci. Com’è andata?

È stato un punto di riferimento fondamentale per me, al pari di autori come Mogol o Giancarlo Bigazzi. Con lui ho passato dieci anni, ascoltando i suoi consigli. Era uno dei più grandi autori della nostra musica e oggi, secondo me, è ricordato troppo poco.»

Com’è cambiata secondo te la scrittura delle canzoni oggi rispetto al passato?

Una volta una canzone nasceva da un’idea, da un’urgenza espressiva. Io mi considero un compositore di razza: mi viene un’idea e la scrivo. Poi la propongo all’artista e vediamo se interessa. Ma oggi vedo che spesso una canzone porta sei o sette firme. E magari, a scriverla, è stato solo uno.

Cosa pensi di questo meccanismo così diffuso, anche a livello internazionale?

Non mi piace. Anche in America funziona così, ma non è bello. Così facendo si perde il concetto stesso di diritto d’autore. La paternità di un’opera è importante, fondamentale. E invece oggi rischia di sparire.

Ci sono comunque accordi editoriali dietro queste firme multiple, giusto?

Sì, ci sono sempre stati. Anche nel giornalismo esistono accordi di questo tipo. Però il punto è un altro: oggi sembra tutto appiattito, frutto di un’epoca storica dove si è persa un po’ di coscienza civica.

Un autore oggi può scrivere 40 canzoni di successo allanno?

Assolutamente no.La musica, quando è forte, la senti subito. Ma serve anche il momento giusto, l’artista giusto. E poi contano anche le coincidenze.

Hai qualche esempio concreto in mente?

Povia, ad esempio. Per me è un grande artista. Ha avuto il suo momento fortunato a Sanremo con I bambini fanno oh, ma quella canzone uscì inizialmente fuori gara. Eppure fu un successo clamoroso. Anche “Con te partirò” di Bocelli all’inizio non fu capita: solo quando divenne sigla di un evento mediatico, esplose. Sono combinazioni fondamentali.

Hai lavorato anche con Stefano Zarfati. Che tipo di esperienza è stata?

Bellissima. Iniziammo da zero: io, lui ed Ernesto Migliacci, che era un po’ il produttore ufficiale. Io ero coautore. Stefano era sottovalutato, e forse anche un po’ sfortunato. Era a un passo da un grande successo.

Quali erano le caratteristiche di quel progetto musicale?

Tuttidesideri, uscito nel 1996, era un disco fatto col cuore. C’era elettronica, sì, ma anche tanti strumenti veri. Gli arrangiamenti erano curatissimi, registravamo con musicisti eccellenti. Quei dischi oggi non si fanno più.

Pensi che Stefano Zarfati meritasse di più?

Sì, assolutamente. Il problema è stato di promozione. Penso che se fosse andato a Sanremo, soprattutto nel ’97, qualcosa sarebbe cambiato. Aveva tutte le carte in regola. Credo che quel mancato riconoscimento gli sia rimasto nel cuore, anche se oggi l’ha superato.

C’è un progetto per celebrare quei lavori?

Sì, nel 2026 vogliamo far uscire una compilation per i 30 anni dal primo singolo C’è che ti piace. Quei due album realizzati con Sony contengono pezzi bellissimi. Riascoltarli oggi è come entrare in un altro mondo.

Nel 1997 hai partecipato al Festival di Sanremo con Adriana Ruocco. Che ricordo hai di quellesperienza?

Sì, lavorai al brano Uguali uguali insieme ai Migliacci. Adriana era una grande promessa. Col senno di poi forse bisognava aspettare ancora un po’ per una maggiore maturazione artistica. Oggi esistono le seconde possibilità, ma allora no: bastava un passo falso per bruciarsi. Però è stata un’esperienza bella, una vera avventura.

Nel 2001, invece, firmasti il brano di esordio di Paolo Meneguzzi a Sanremo. Che momento fu?

Fu un periodo molto bello. Il brano era completamente mio. Ero sotto contratto anche come artista con Sony BMG. Paolo era reduce dal successo a Viña del Mar, e quella canzone era molto valida, aveva un ritornello fortissimo. In parte era autobiografica, scritta con l’aiuto di mia moglie.

Tra il 1997 e il 2001 c’è il 1999. A quel Festival partecipasti con il brano di Elena Cataneo.

Scrivemmo insieme a Stefano Cenci, che aveva lavorato anche Brivido felino per Mina e Celentano, un brano che si intitolava Nessuno può fermare questo tempo. Era una canzone particolare, e il momento storico non era facile. All’epoca se una vetrina non si apriva subito, poi si chiudeva in fretta.

Secondo te cosa rendeva diverso quel periodo?

La promozione musicale era diversa. La discografia aveva un peso fortissimo. Oggi, invece, c’è la pressione degli autori e delle major, ma soprattutto dei talent e dei social. È cambiato tutto.

In che modo la tua generazione era svantaggiata rispetto ai giovani di oggi?

Oggi, se avessi 18 anni, farei un video, lo caricherei su Instagram e aspetterei una chiamata. All’epoca, invece, dovevi andare a fare provini su provini. Era una fatica enorme. Ma se riuscivi a emergere, lo facevi alla grande.

Cosa pensi dellindustria discografica attuale?

La discografia oggi è un po’ strana. È più passiva: interviene quando vede i numeri. Una volta si sceglieva prima, si credeva negli artisti. Ora dipende tutto dai dati. Annalisa, Emma, i The Kolors, i Måneskin forse sarebbero comunque usciti. Ma altri non so se ce l’avrebbero fatta con le logiche attuali.

Cosa ha portato a questo cambiamento, secondo te?

Innanzitutto mancano i soldi. Non c’è più la vendita dei CD, manca il supporto economico. Oggi bisogna capire fino a che punto le etichette, che sono entrate nel mondo del booking e dei live, riusciranno a sostenere gli artisti. Ma il live è un mondo a parte, non è mai appartenuto veramente alla discografia.

Negli anni ti sei confrontato anche con artisti della cosiddetta vecchia guardia”. Cosa ti raccontavano del cambiamento del mondo musicale?

Non faccio nomi, ma parliamo di artisti che hanno vissuto gli anni ’80, ’90, 2000, fino al 2010. Tutti mi dicevano: ‘Roberto, è tutto cambiato’. Era proprio un altro modo di fare musica. Il vero punto di svolta è stato l’home recording: oggi si registra in casa, con postazioni anche di qualità, ma è sparito il profumo dello studio, il confronto tra musicisti. È un peccato.

Hai collaborato anche con Gerardina Trovato. Com’è stato lavorare con lei?

Con Gerardina ho scritto alcune delle canzoni più belle che abbia mai fatto. Non l’ho mai conosciuta davvero, l’ho solo intravista, ma ho ricevuto i suoi complimenti. Alcune canzone erano state prese in considerazione anche per Sanremo, ma sai com’è… entrare in un team consolidato non è facile, quasi impossibile. Però fu bello, e ho un grande dispiacere per lei: era un talento vero, una fuoriclasse.

Quanto contava, allora, il supporto delle etichette discografiche?

Contava tantissimo. Ma se ti lasciavano, eri finito. Oggi, invece, i social ti sostengono, ti rilanciano. Certo, basta anche un errore e vieni giù in un attimo. Prima le etichette erano la tua forza, ma anche il tuo limite.

Hai lavorato anche con Franco Califano. Cosa ricordi di quellesperienza?

Bellissima. Collaboravo con Ricky Palazzolo, un compositore che aveva partecipato anche a Sanremo. Insieme scrivemmo tre canzoni per Califano. Una fu incisa, un’altra la stiamo cercando di riportare in vita con un restyling. La canzone uscita si intitolava Vive chi vive. Franco era un grande autore, con una sensibilità rara. È stato spesso travisato come figura, ma era una persona sincerissima, educata, un vero signore. Tutti quelli che lo hanno conosciuto lo ricordano con grande rispetto.

Roberto Zappalorto ha anche una riflessione più ampia sul panorama musicale attuale, giusto?

Sì. Oggi succede una cosa buffa: si diventa famosi e poi ci si forma. Nella mia epoca era il contrario: prima ci si formava, si studiava uno strumento, si facevano provini, si suonava tanto… e solo dopo, forse, si arrivava al successo. Adesso prima arrivi al pubblico, poi ti “sistemi” artisticamente. Non dico che sia sbagliato, ma è curioso.

La tua generazione ha vissuto unaltra forma di preparazione musicale, più strutturata?

Esattamente. Io, ma anche artisti come Max Gazzè, Niccolò Fabi, Daniele Silvestri… abbiamo mangiato musica. Abbiamo ascoltato i Beatles, i Queen, i Genesis. Quella era la nostra formazione. E questa cosa te la porti dentro quando scrivi. Oggi manca quel tipo di bagaglio. Non per colpa dei ragazzi: semplicemente, sono cresciuti in un altro contesto.

Secondo Roberto Zappalorto, conta ancora avere una canzone forte”?

Assolutamente sì. Puoi essere anche un perfetto sconosciuto, ma se fai una canzone forte, quella vince. Prendi Lady Gaga: bravissima, ma senza Poker Face probabilmente non avrebbe avuto quell’impatto. La canzone è tutto. Certo, se ne fai una, poi un’altra, poi un’altra ancora, significa che hai una squadra forte o che sei tu ad avere qualcosa di speciale.

Parliamo del tuo presente. Il singolo Mi conosci a memoria” ti vede in prima persona, come artista. Com’è nato questo brano?

È un pezzo che nasce da un progetto a cui sto lavorando da tre anni. Oggi, purtroppo, c’è sempre il tema della promozione: faccio dischi e canzoni, ma è difficile farli arrivare al pubblico. “Mi conosci a memoria” è una canzone che parla dell’amore vero, quello che si costruisce con il tempo. Di quando due persone stanno insieme da tanto e si capiscono al volo. Il ritornello arriva più tardi rispetto ai canoni attuali, ma volevo dire qualcosa di sincero, di importante. È un singolo particolare, che apre la strada a un album di cui spero di estrarre altri due o tre brani.

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