Intervista a Stefano Brocks, autore del libro “Sanremo vs Hit Parade”
Intervista a Stefano Brocks che in "Sanremo vs Hit Parade" racconta l’impatto dei brani del Festival sul mercato, tra successi, flop e... L'articolo Intervista a Stefano Brocks, autore del libro “Sanremo vs Hit Parade” proviene da imusicfun.

Con Sanremo vs Hit Parade (Edizioni D’Idee), Stefano Brocks firma un’opera monumentale che, in oltre 500 pagine, racconta l’impatto reale delle canzoni del Festival di Sanremo sul mercato discografico.
Anno dopo anno, Brocks analizza l’esito commerciale dei brani, al di là dei risultati della gara, svelando quali successi abbiano davvero conquistato il pubblico e quali, invece, siano stati dimenticati. Giornalista, conduttore radiofonico e appassionato di storia della canzone, Brocks ci accompagna in un viaggio che intreccia classifiche, costume e musica, con la competenza di chi Sanremo lo vive da oltre 25 anni. In questa intervista ci racconta la genesi del libro, le sorprese emerse dall’analisi e il suo sguardo sul Festival più amato (e discusso) d’Italia.
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Intervista a Stefano Brocks, autore del libro “Sanremo vs Hit Parade”
“Sanremo vs Hit Parade” è un titolo che richiama uno scontro: com’è nata l’idea di mettere a confronto le canzoni del Festival con i dati di vendita?
Sanremo, prima ancora che come spettacolo, ha una funzione primaria di grande fiera della musica. Ogni edizione è l’occasione per lanciare 20/30 canzoni nuove, grazie alla peculiarità pressoché unica forse al mondo di un regolamento che impone che in gara arrivino solo canzoni inedite. Mentre quasi tutte le altre gare musicali (e non solo musicali) premiano opere già edite, come se ne certificassero il successo già decretato dal pubblico, a Sanremo le giurie devono scegliere al primo ascolto. E questo fatto pone dei rischi, non sempre dà un esito poi coincidente con il gusto dei consumatori di musica. Tutti abbiamo in mente canzoni che non hanno vinto ma hanno poi avuto successo o fatto persino storia, così come tutti possono citare nomi di brani vincitori presto scomparsi dalla scena. Da qui l’idea di analizzare nel libro l’andamento sul mercato delle canzoni lanciate da Sanremo, confrontandole anche con i successi non emersi dal Festival ma con cui si trovavano nello stesso periodo a sfidarsi nelle classifiche. Perchè la vita delle canzoni comincia quando si spengono le luci dell’Ariston o del Casinò.
Da dove viene la tua passione per la storia discografica e in particolare per il Festival di Sanremo?
E’ un po’ la mia vita: ho cominciato fin da bambino ad acquistare dischi e poi a collezionarli, e poi ancora ad accumulare e catalogare file immateriali quando i dischi si sono usciti di produzione. Mi piace contestualizzare la musica con il momento della sua pubblicazione, è il modo migliore per cogliere la portata di successi e innovazioni. E Sanremo mi piace proprio per quelle farfalle nello stomaco che provo la prima sera di quella settimana all’idea di ascoltarmi un blocco di canzoni completamente nuove, sperando che tante mi accompagnino nei mesi e negli anni successivi. Succede solo in quella occasione, di scoprirne tante nuove tutte insieme.
Quanto tempo ha richiesto la stesura di un’opera così ampia e articolata? E come hai raccolto e verificato i dati storici delle classifiche?
A costruire la stesura principale ho impiegato poche settimane, ovviamente non dedicandomici esclusivamente ma nel tempo che ritagliavo tra il mio lavoro giornalistico e quello radiofonico. Per dare forma completa però c’è voluto più tempo, un paio d’anni circa, per arrivare a una stesura più efficace: in questo modo, il libro può essere letto come una storia unica, dal 1951 ad oggi, oppure a pezzi, cercando l’anno o la canzone o l’artista preferito, grazie alla suddivisione in paragrafi, i cui titoli spesso sono crasi di titoli o citazioni modificate dei testi delle canzoni. Non è quindi una storia del Festival, ne abbiamo tutti scaffali pieni, ma una storia dei dischi di Sanremo con un capitolo per ogni anno, all’interno del quale ci sono sempre uno o più paragrafi dedicati alle canzoni che contemporaneamente al Festival si trovavano in classifica e alle evoluzioni del mercato e della produzione discografica”.
Stefano Brocks, nel libro parli di “successo discografico” come vera cartina di tornasole del valore di una canzone: pensi che oggi, con lo streaming e i social, questo parametro sia ancora valido?
Per forza di cose è un parametro imperfetto, dipende da troppe variabili di metodologia delle rilevazioni e di condizioni socioeconomiche del mercato e dei consumatori. Ma è pur sempre l’unico strumento che abbiamo per misurare quanto il pubblico gradisce un brano: se un disco piace al punto che il pubblico paghi per averlo, certamente è anche un indice di gradimento. Con lo streaming la musica è diventata in sostanza gratuita e la classifica diventa più un indice di fruizione che di gradimento, ma di sicuro una canzone che non piace non viene ascoltata tante volte, per cui alla fine i numeri tornano sempre.
Hai privilegiato un approccio sincronico piuttosto che diacronico: perché hai scelto di non confrontare epoche diverse, ma di analizzare ogni annata nel proprio contesto?
Perchè il mercato è troppo diverso nel tempo, le epoche non sono confrontabili tra loro: prima citavi lo streaming come differente modalità di fruizione e di acquisto rispetto al disco e questo esempio già dice tutto. Ma analoghi salti si sono verificati negli anni ’50, quando il disco da bene raro e di lusso è diventato oggetto di massa, o nei ’90 quando il 45 è scomparso dal mercato e gli album sono diventati il supporto di riferimento. Impossibile quindi dire se un numero uno in hit parade negli anni Sessanta valga più o meno di uno nel nuovo millennio. E poi c’è una ragione strettamente connaturata al mercato discografico, da sempre: checchè se ne dica, il disco (concetto diverso da quello di canzone, non solo indicando il supporto materiale, ma proprio l’opera finita che va sul mercato, anche in forma di file) non nasce con l’obiettivo di durare nel tempo e se ciò accade, è un piacevole incidente. Sarò depoetizzante, ma l’obiettivo di un disco è avere un pubblico, per fornire ricavi a interpreti, autori, discografici. Nessuno fa un disco o incide una canzone pensando di fare un giorno la storia, lo fa per fare sentire a qualcuno una sua idea. E infatti una canzone registrata è come la fotografia di un momento. Va contestualizzata al momento in cui viene pubblicata.
Usi una metafora interessante: “una canzone si valuta come un’automobile, non solo per la forma ma per la funzione”. Puoi spiegarla meglio?
E’ la stessa ragione per cui non possiamo considerare il disco, meglio, la musica registrata, come un’opera d’arte tout court. E’ un’opera di creatività, una forma di comunicazione. Non ricerca pura, non espressione libera. Proprio perchè implica un impatto sul mercato, un pubblico. Quando guardiamo un quadro, che l’artista genera per esprimere una sua visione, possiamo dire “bello”, ma un solo acquirente può comprarlo, è un pezzo unico. Il disco, come il film, il libro, il design, la moda, sono beni industriali, riprodubicili, di mercato, di consumo culturale. Così come non compreremmo un’automobile o una moto solo per il suo valore estetico, se poi avesse un motore che non va neanche a spingerlo, allo stesso modo una canzone magari tecnicamente perfetta nella scrittura e incisione che però non riesce a raggiungere un pubblico, non ha raggiunto l’obiettivo, né commerciale né di comunicazione”.
Per Stefano Brocks qual l’edizione del Festival che ha avuto il maggiore impatto sul mercato discografico italiano?
Lo dicono le classifiche: da qui si percepisce l’impatto, che poi è sempre causa-effetto, perchè quando ci sono poche canzoni di successo è perché il Festival non ha il necessario apporto da case discografiche, organizzatori e Rai. Per questo gli anni più prolifici sono stati i 60, gli 80 e più che mai il periodo attuale, gli ultimi 8 anni.
Ci sono stati casi clamorosi in cui una canzone vincitrice è stata un flop in classifica? E viceversa: grandi hit ignorate dalla giuria?
Certamente sì, entrambi: per i vincitori che hanno fatto flop, è un po’ relativo perchè un minimo di effetto trascinamento arriva, dalla vittoria in gara, e spesso il disco fa almeno una comparsata in classifica. Per cui è più facile parlare di artisti che non hanno poi sostenuto il primo effimero successo, da Tiziana Rivale ad Annalisa Minetti, dai Jalisse agli Avion Travel. Invece la storia è piena di grandi successi che non hanno vinto a Sanremo, anzi, spesso sono arrivati nei bassifondi della graduatoria e poi esplosi, facile pensare a Zucchero, a Vasco Rossi, a Lucio Battisti a Drupi, a Carmen Consoli, ai Negramaro, fino a Tananai. Ma anche canzoni enormi di artisti già affermati sono state bocciate dalle giurie e poi diventate classici, come “Il ragazzo della Via Gluck” o “Piazza Grande”, altre hanno avuto esiti mediocri in gara ma una sfilza di settimane di permanenza al numero uno in hit parade, come “Cuore matto” o “Musica leggerissima”.
Quanto ha pesato, nel corso della storia di Sanremo, il rapporto tra la giuria “ufficiale” e il gusto popolare?
Parecchio, e nel libro più che sullo spettacolo mi soffermo sui mutamenti regolamentari, quando parlo del Festival in sè. Nei decenni sono molto cambiate formule e giurie: prima i fantomatici abbonati estratti a sorte nelle sedi Rai di cui nessuno conosceva l’identità, poi le giurie di esperti con cui è stato messo in mano a poche persone il destino del Festival. Poi le schedine Totip negli anni Ottanta che avrebbero dovuto avere parvenza democratica ma più che al pubblico davano il potere alle case discografiche di fare vincere i propri artisti, oppure la ponderazione con il voto della sala stampa che spesso si coalizza contro gli artisti che stanno meno simpatici alla categoria. Fino all’odierno Televoto che pur con tanti difetti raccoglie anche l’opinione dei consumatori di musica e non a caso negli ultimi anni i premiati sanremesi e le hit in classifica coincidono. Forse è giusto così.
Quali artisti hanno saputo meglio “sopravvivere” al Festival nel tempo? Chi è invece scomparso subito dopo?
Tanti nomi possono essere fatti: io credo che sostanzialmente gli artisti che partecipano al Festival si possano suddividere in due categorie, quelli che prendono e quelli che danno. I primi usano la rassegna come rampa di lancio della propria carriera e una volta giunti al successo non si mettono mai più in gioco se non quando sono in declino. I secondi sono quelli che ci tornano, nobilitando il Festival con la loro presenza da affermati, senza curarsi del piazzamento in gara, consapevoli che il vero campionato è quello delle vendite discografiche.
11. Hai dedicato spazio anche all’’esportazione della musica italiana. Quali brani sanremesi hanno avuto il miglior riscontro internazionale?
Tanti successi sono partiti per il mondo da Sanremo: Modugno e i Maneskin sono gli esempi più lampanti, prendendo gli estremi delle epoche. Ma già nei ’50 “Papaveri e papere” fece milioni di copie ovunque, poi nei ’60 l’apoteosi con “24 mila baci”, “Quando quando quando”, “Non ho l’età”, “Io che non vivo”, finita nel repertorio anche di Elvis, “Al di là”, le hit di Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, Pupo, Collage, Al Bano & Romina Power, Loretta Goggi, Alice, magari sottovalutate in Italia perchè non esportate sull’impenetrabile mercato anglosassone, ma amate ovunque. E poi tante star di fama mondiale lanciate da Sanremo: Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Andrea Bocelli, Marco Masini, i Matia Bazar, Zucchero, Nek, Mango.
Sanremo è ancora oggi uno strumento efficace per lanciare musica italiana all’estero, oppure è diventato un fenomeno più “interno”?
E’ molto cambiata la discografia ed anche se le playlist delle piatteforme mettono Sanremo tra le più scontate al mondo, oggi imporre un successo è paradossalmente più complicato. Comunque in tempi più recenti le partecipazioni all’Eurovision hanno acceso interessi oltre confine per Mengoni, Mahmood, Gualazzi, Il Volo appunto i Maneskin, ma anche per qualcuno che non ha partecipato alla rassegna eurovisiva, come Annalisa in prima persona o Colapesce Dimartino con le cover tradotte si è mosso qualcosa di significativo all’estero.
Come vedi l’evoluzione recente del Festival con l’arrivo dei giovani e delle nuove tendenze urban e indie?
La vedo benissimo, tutto ciò che porta contemporaneità va sempre accolto con favore, soprattuto quando pone il Festival in linea con la musica che si ascolta abitualmente. Peraltro citi due generi che hanno sempre faticato ad essere adeguatamente rappresentati a Sanremo, così come il rock nei decenni passati. Quasi mai c’è stato un artista rap che abbia portato all’Ariston il genere nella forma più pura, ad oggi solo uno ha vinto, Rocco Hunt nelle Nuove Proposte 2014, più Mahmood che appunto non è rap ma urban. E i cantautori indie sono stati coinvolti solo dopo l’exploit de Lo Stato Sociale, quando forse il momento più innovativo di quel filone era quasi esaurito senza passare dal Festival.
Oggi le classifiche FIMI e lo streaming dominano il discorso musicale: quanto riesce Sanremo a restare connesso con questo mondo?
Direi in pieno: forse si è trovato quell’equilibrio, con il Televoto da una parte e lo streaming dall’altra, che avvicina le due graduatorie, svincolandole da un lato dalla volubilità delle giurie da un lato e dalla disponibilità economica del pubblico per l’acquisto di dischi dall’altro, rendendo così il risultato festivaliero e le classifiche discografiche uno specchio più veritiero del gradimento della principale fetta del pubblico, soprattutto di quello giovane che da sempre è il motore dell’innovazione e delle mode ad esso connessa, senza le quali il mondo musicale non andrebbe avanti, piaccia o meno.
Cosa pensa Stefano Brocks del ritorno in auge di artisti “vintage” a Sanremo? È un segno di nostalgia o di mancanza di ricambio?
E’ un segno che a Sanremo ci debba essere di tutto, come ad ogni fiera che si rispetti, di qualunque merceologia. A patto che siano però artisti che abbiano un pubblico, per troppi anni abbiamo visto apparire a Sanremo personaggi che venivano scongelati solo per quella settimana, senza che poi le loro canzoni lasciassero minima traccia durante l’anno. E non è accaduto poche volte.
Qual è la tua edizione del Festival del cuore e perché?
Dovrei rispondere… la prossima, perchè il mio disco più bello sarà sempre quello che non ho e che scoprirò domani, la curiosità verso le novità musicali per me è vitale. Seguendo questa logica, rispondo dicendo che per me le edizioni più belle sono state quelle che hanno fornito più canzoni da amare e ascoltare spesso, da passare in radio e da trovare in classifica, quindi anni 60, 80 e 20. Per quelle che ho vissuto allora potrei dire 1981,1986, 2021, 2024. Non esprimo un gusto personale, lo so, ma senza fingere mi sento più uno storico che un critico musicale, mi piace la musica che va, che ha un pubblico. Poi ho i miei gusti personali, certo, ma all’analisi non sono determinanti. E poi amo le circa 25 edizioni cui ho partecipato come giornalista, tra sala stampa e interviste negli alberghi con gli artisti.
Hai scoperto, durante la scrittura del libro, qualche aneddoto o dato sorprendente che ti ha colpito particolarmente?
Molto mi era già noto, per memoria personale o per letture e approfondimenti, soprattutto per quanto riguarda l’aneddotica, perchè è un libro più narrativo che statistico. Direi che il gusto è stato mettere in relazione le informazioni in una chiave che non fosse una mera elencazione da almanacco o wikipedia”.
Hai già in mente un seguito o un nuovo progetto editoriale legato alla storia della musica italiana?
Ecco, non considero solo la musica italiana, nemmeno in questo libro, dove cito tutti gli ospiti stranieri passati al Festival e le canzoni che erano in hit parade nei primi quattro mesi di ogni anno, quindi con ogni genere di provenienza. Ho nel cassetto altri progetti, sperando che i risultati di questo volume incontrino curiosità. Ad esempio, qui parlo dei primi quattro mesi di ogni anno, per cui sempre con questo taglio personale mi piacerebbe andare avanti nel calendario delle stagioni…
L'articolo Intervista a Stefano Brocks, autore del libro “Sanremo vs Hit Parade” proviene da imusicfun.