Skialp, ultima uscita di stagione. La più intensa

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È l’ultima. Lo so già salendo, con gli sci nello zaino, con il vento ormai tiepido che accarezza le creste. È l’ultima discesa della stagione e come ogni ultima cosa, ha un sapore più intenso, più pieno.
Un saluto, non so se per la neve o per me, ma oggi si chiude qualcosa.

Scivoliamo con calma, osserviamo, lontani da tutto, non stiamo solo scendendo da una montagna, stiamo attraversando un paesaggio. Impariamo a riconoscerlo, ad ascoltarlo.

Conoscere la montagna non è solo una questione di misure e dati, di dislivelli e distanze, è un atto sensibile, che passa dagli occhi, dal respiro, dalla pelle. Non basta guardarle da lontano, occorre farsi attraversare, accoglierne le forme e il silenzio.

Ogni sciata è una lettura del terreno, una scelta, un’interpretazione. Ogni piega è, in fondo, una traduzione del paesaggio, dove la conoscenza nasce dal gesto, dalla presenza piena, dallo stare dentro la natura, senza regole, senza mediazioni, dove tutto è qui, adesso.

Sciare in alta montagna oggi, a fine stagione, è anche un atto di consapevolezza, di quello che si trasforma, che svanisce, come la neve in rapida fusione in quest’avvio rovente di primavera, preludio di stagioni che si sfaldano e ghiacciai che si ritirano.

Lungo la discesa, provo a pensare a tutto questo, ma i pensieri fanno fatica a tenere insieme la bellezza e la perdita. Eppure ci provo, cerco un linguaggio che sappia restituire il piacere immediato della visione e, insieme, l’armonia segreta delle forze naturali.

Anche oggi ritrovo una geografia affettiva, che tiene insieme ciò che vedo con ciò che sento, una conoscenza in equilibrio tra il pensiero e la percezione della neve, del ghiaccio e della roccia.
Finisce la discesa. Ma qualcosa resta e forse è proprio questo il senso: comprendere il mondo mentre lo si attraversa, lasciandolo entrare, lasciandosi toccare.

Torno a valle con gli sci ricoperti d’aghi di larice, e molta montagna dentro.

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