L’ecosistema marino profondo sotto assedio

Nelle profondità oscure e silenziose dell’Oceano Pacifico, la vita si muove a ritmi lenti. Tra creature bioluminescenti, rocce metalliche che rilasciano ossigeno e una biodiversità ancora poco compresa, si estendono gli abissi oceanici: uno degli ambienti più remoti e inesplorati del pianeta. È qui che l’Amministrazione Trump ha deciso di rivolgere lo sguardo, firmando un […] L’ecosistema marino profondo sotto assedio

Apr 29, 2025 - 12:06
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L’ecosistema marino profondo sotto assedio
Nelle profondità oscure e silenziose dell’Oceano Pacifico, la vita si muove a ritmi lenti. Tra creature bioluminescenti, rocce metalliche che rilasciano ossigeno e una biodiversità ancora poco compresa, si estendono gli abissi oceanici: uno degli ambienti più remoti e inesplorati del pianeta. È qui che l’Amministrazione Trump ha deciso di rivolgere lo sguardo, firmando un ordine esecutivo per accelerare l’avvio delle attività minerarie sottomarine negli Stati Uniti. Bethany Orcutt, geomicrobiologa del Bigelow Laboratory for Ocean Sciences, ha descritto questo ecosistema come un mondo popolato da forme di vita “strane”, spesso invisibili agli occhi umani e ancora in larga parte sconosciute alla scienza. L’accesso, peraltro, è reso difficile da costi elevati e condizioni estreme. Cosa si nasconde sul fondo marino L’interesse industriale si concentra soprattutto sui noduli polimetallici, concrezioni minerali ricche di nichel, manganese, cobalto e rame. Questi elementi sono cruciali per la produzione di batterie per veicoli elettrici, dispositivi elettronici, armamenti avanzati e tecnologie energetiche rinnovabili. I noduli, grandi quanto un pompelmo, impiegano milioni di anni per formarsi e si sviluppano attorno a un nucleo — spesso un dente di squalo o un frammento osseo — su cui si depositano progressivamente strati metallici. Ma questi non sono solo forzieri geologici: spugne, coralli, microrganismi e invertebrati li colonizzano, rendendoli habitat vitali per le forme di vita della piana abissale. Secondo Lisa Levin della Scripps Institution of Oceanography, circa la metà della biodiversità conosciuta di questi fondali vive sui noduli. Tuttavia, rimane un’incognita quanto queste specie siano diffuse e capaci di ripopolare aree compromesse dalla distruzione mineraria. Tecniche di estrazione e impatti sull’ambiente Le aziende stanno sviluppando due metodi principali per raccogliere i noduli: droni sottomarini dotati di “artigli” meccanici e aspiratori industriali, simili a giganteschi aspirapolveri subacquei. Entrambe le tecnologie sollevano sedimenti, generano rumore e modificano radicalmente l’ambiente marino, con potenziali danni irreversibili. Il rilascio dei detriti nell’acqua — a profondità che raggiungono anche i 1.000 metri, considerate tra le più limpide dell’oceano — solleva plume sedimentari che possono estendersi per chilometri, soffocando filtratori come spugne e gamberi, e disturbando la vita di pesci sensibili alla luce come lanterne e pesci abissali. Come avverte Jeffrey Drazen dell’Università delle Hawaii, c’è il rischio che metalli pesanti dispersi contaminino la catena alimentare fino a raggiungere la tavola degli esseri umani. E la scienza, per ora, non è in grado di stimare il rischio concreto. Le promesse (e i limiti) delle aziende minerarie Le aziende coinvolte, come The Metals Company e Impossible Metals, sostengono di voler operare in modo “sostenibile”, collaborando con ricercatori per minimizzare l’impatto ambientale. Alcuni prototipi impiegano robot intelligenti per selezionare noduli evitando contatti con esseri viventi, mentre altre società conducono test per valutare la dispersione dei sedimenti. Nel 2022, The Metals Company ha recuperato 3.000 tonnellate di noduli, raccogliendo dati per misurare gli effetti ecologici. Nel Marzo 2025 ha annunciato l’intenzione di richiedere un permesso di estrazione tramite NOAA, aggirando così l’autorità internazionale dell’International Seabed Authority. Nonostante ciò, la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly ha rassicurato sull’obbligo di rispettare le normative statunitensi che richiedono valutazioni ambientali dettagliate prima di ogni operazione commerciale, anche in acque internazionali. Rischi a lungo termine e interrogativi irrisolti Gli scienziati restano scettici. Gli ecosistemi abissali si sviluppano su scale temporali millenarie. I coralli possono vivere per migliaia di anni, i pesci per secoli. Nessuno studio attuale può garantire che l’ecosistema marino profondo sia in grado di rigenerarsi una volta distrutto. Secondo Amy Gartman del U.S. Geological Survey, non esiste ancora un vero confronto tra estrazione terrestre e sottomarina, perché quest’ultima non è mai avvenuta su scala commerciale. Siamo ancora in una fase sperimentale. Alcuni studiosi mettono in dubbio perfino la necessità di rivolgersi al mare, sostenendo che le risorse terrestri potrebbero essere sufficienti a soddisfare la crescente domanda. Una corsa al metallo tra incertezze e retroscena geopolitici La firma dell’ordine esecutivo da parte di Donald Trump apre dunque una nuova fase nella geopolitica delle risorse naturali, sollevando interrogativi etici, ecologici e scientifici. E mentre le promesse di un “mining pulito” affascinano mercati e investitori, il fondo dell’oceano resta un mistero profondo — e potenzialmente irripetibile.

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