Folla di alpinisti, carichi affidati ai droni. Cosa sta succedendo ai piedi dell’Everest

La stagione alpinistica è pienamente avviata sul versante nepalese del “Big E” e sta per iniziare su quello tibetano. Il crollo di un seracco e la caduta di un drone da carico non hanno creato problemi. Si prevedono numeri da record L'articolo Folla di alpinisti, carichi affidati ai droni. Cosa sta succedendo ai piedi dell’Everest proviene da Montagna.TV.

Apr 29, 2025 - 08:34
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Folla di alpinisti, carichi affidati ai droni. Cosa sta succedendo ai piedi dell’Everest

Qualche giorno fa, tutto il Nepal ha ricordato una tragedia di dieci anni prima. Nel pomeriggio del 25 aprile 2015, un terremoto di magnitudo 7.8 (ma alcune fonti parlano di 8.1) ha devastato Kathmandu e l’intera zona centrale del paese. L’epicentro era a Barpak, un villaggio di montagna non lontano da Gorkha, l’antica capitale del Paese. Sotto le macerie sono morte circa 9.000 persone, mentre circa un milione sono rimaste senza casa. 

Al campo-base dell’Everest, 220 chilometri in linea d’aria dall’epicentro, una valanga che si è staccata dal Pumori è piombata sulle tende, che ospitavano più di 700 tra alpinisti e Sherpa. Le vittime sono state 21, i feriti 61. Tra loro sono alcuni clienti che avevano già dovuto rinunciare nel 2014, quando un’altra valanga, staccata dai pendii che reggono la cresta Ovest dell’Everest, aveva investito l’Icefall, la seraccata del Khumbu, e aveva travolto 23 Sherpa al lavoro, uccidendone 16. 

Nei giorni scorsi, due incidenti hanno interessato la via normale nepalese dell’Everest, dove il team degli Icefall Doctors ha da tempo attrezzato con corde e scalette il percorso fino ai 6400 metri del campo 2. Da lì in avanti, sono al lavoro gli Sherpa dell’agenzia 8K Expeditions, che a breve dovrebbero raggiungere gli 8000 metri del Colle Sud. 

Mercoledì 23 aprile, il crollo di un enorme seracco ha demolito parte del lavoro degli Icefall Doctors, travolgendo la scala che superava uno dei crepacci più grandi. Nelle ore successive, a valle del crepaccio, si è formata una lunga coda di Sherpa e clienti in attesa che la via ridiventasse agibile. Non ci sono state vittime né feriti, e questa è la notizia più importante. 

Nelle ultime due settimane, centinaia di alpinisti di tutto il mondo sono arrivati al campo-base nepalese dell’Everest, e molti di loro si sono acclimatati in precedenza su dei “seimila” come il Mera Peak, l’Island Peak e il Lobuche Peak. Da qualche giorno, dopo aver insegnato ai loro clienti a superare le scalette con i ramponi ai piedi (un esercizio tutt’altro che semplice!) gli Sherpa hanno iniziato a condurli nell’Icefall.

Qualche anno fa, le spedizioni commerciali, prima di puntare alla vetta, compivano due o tre rotazioni di acclimatazione. Oggi, grazie ai “seimila” già saliti, la maggioranza delle agenzie prevede una sola rotazione prima del tentativo alla cima. Passare meno tempo tra i seracchi dell’Icefall e ai piedi dei minacciosi pendii dell’Everest, riduce notevolmente il rischio per gli alpinisti-clienti e per gli Sherpa. 

Dal 20 aprile è stato installato anche il campo-base della valle di Rongbuk, in Tibet, ai piedi del versante settentrionale dell’Everest. I primi team stanno arrivando in questi giorni, a breve inizieranno le rotazioni verso il campo-base avanzato e il Colle Nord. L’itinerario che risale il Ghiacciaio di Rongbuk non è pericoloso, ma i 5.000 metri di quota del campo-base, dove si arriva in auto, impongono di sostare qui per più giorni, o di arrivare già acclimatati. 

Droni per trasportare in quota il materiale degli sherpa

Sul versante nepalese, un’altra novità consente di ridurre i rischi per gli Sherpa che lavorano come portatori d’alta quota. Parliamo dell’uso dei droni sviluppati in Cina dalla DJI FlyCart e operati dalla società nepalese Airlift Technology. Si tratta di aggeggi che costano 70.000 euro ciascuno, e che sono in grado di portare fin oltre i 6000 metri di quota un carico di circa 15 chili. 

Questa tecnologia è stata messa a punto negli ultimi anni per ridurre l’esposizione degli Sherpa a crolli e valanghe, e perché le autorità nepalesi hanno vietato l’uso degli elicotteri oltre il campo-base se non per effettuare soccorsi. Qualche giorno fa, a causa del vento, uno dei droni cinesi è caduto nell’Icefall. 

“Grazie al paracadute i danni al drone sono stati contenuti. Stiamo cercando di recuperarlo, riprenderemo i voli dopo averlo esaminato” ha dichiarato al sito ExplorersWeb Raj Bikram Maharjan della Airlift Technology. L’ingegnere arrivato da Kathmandu ha anche spiegato che la rotta utilizzata dai droni non segue il percorso nell’Icefall, e che quindi gli alpinisti e gli Sherpa, se uno dei velivoli cade, non rischiano di essere colpiti. 

I numeri (parzialissimi) dell’assedio al Tetto del Mondo

Ma quanti sono gli alpinisti impegnati quest’anno sull’Everest? Il Ministero del Turismo del Nepal, come tutti gli anni, è lento ad aggiornare i numeri dei permessi già concessi. Gli ultimi dati ufficiali, che risalgono al 21 aprile, parlano di 374 alpinisti diretti all’Everest e di 94 che puntano al Lhotse. 

Il blogger statunitense Alan Arnette, che ha ottime fonti a Kathmandu, scrive anche di 66 per l’Annapurna, 66 per il Makalu, 41 per il Kangchenjunga e 15 per il Dhaulagiri. Nessuna spedizione è ancora partita per il Manaslu, mentre il Cho Oyu è ufficialmente chiuso. Sono 80, finora, i permessi di ascensione rilasciati per l’Ama Dablam, il più celebre tra i “seimila” del Nepal. Secondo Arnette 115 tra gli alpinisti diretti all’Everest vengono dagli USA, 72 dalla Cina, 60 dall’India e 39 dalla Russia. Finora, per i permessi, il governo di Kathmandu ha incamerato 4,65 milioni di dollari. Gli incassi delle agenzie, ovviamente, sono molto più elevati.   

Accanto a centinaia di clienti che saliranno verso le cime con respiratori e bombole, una piccola minoranza si prepara a utilizzare solo i propri polmoni. Karl Egloff, un alpinista dell’Ecuador, per prepararsi ha salito per quattro volte il Mera Peak, stabilendo dei record di velocità. Vogliono salire con lo stesso stile lo skyrunner americano Tyler Andrews e il celebre alpinista russo Valery Babanov, già vincitore del Piolet d’Or. 

Punta a fare lo stesso l’australiana Caroline Leon, che quindici anni fa ha rischiato di morire a causa di un volo in arrampicata. Prima di tornare in montagna ha subito 14 operazioni chirurgiche, e ha passato due anni su una sedia a rotelle, e altri due camminando con le stampelle. Ora punta a salire le Seven Summits, le cime più alte di tutti i continenti.


Quest’anno, rispettivamente il 15 e il 25 maggio, gli alpinisti di tutto il mondo festeggeranno i 70 anni trascorsi dalle prime ascensioni del Makalu e del Kangchenjunga, la quinta e la terza montagna della Terra. A “conquistare” la prima furono i francesi Lionel Terray,  seguiti il giorno dopo da Jean Franco, Guido Magnone e Gyaltsen Norbu Sherpa. 

Sul Kangch sono arrivati per primi George Band e Joe Brown, seguiti il giorno dopo da Norman Hardie e Tony Streather. Per rispettare la fede buddhista degli abitanti delle valli vicine, i quattro britannici lasciarono inviolata la neve della vetta, considerata sacra, ma si fermarono qualche metro più in basso. Da decenni, però, questa usanza rispettosa è stata abbandonata, e gli alpinisti calpestano la cima vera e propria del Kangchenjunga. 

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