Quando l’arrampicata è un inno alla vita
Il film Resistance Climbing, girato in Cisgiordania prima dell’ottobre 2023, pone in primo piano entusiasmo e semplicità. Alla faccia dei tecnicismi estremi e delle rigide programmazioni dei top climber del momento L'articolo Quando l’arrampicata è un inno alla vita proviene da Montagna.TV.

Notizie sparse dal mondo dell’arrampicata. Alex Honnold sale e scende Plumber’s Crack a Red Rock in 25,08 secondi, migliorando di quasi un secondo la prestazione record di Alex Waterhouse. Adam Ondra continua il suo viaggio iniziatico a Fontainbleau, si aggiudica il 9a di Soudain Seul e compie un tour flash di vari boulder, tra cui il primo 8b+ flash della foresta. Anni di stasi sul 9c dopo che Alexander Megos ha liberato Bibliographie a Céüse e Stefano Ghisolfi ha ripetutamente annunciato progressi su Silence a Flatanger: il 9c è diventato il limite-feticcio, come le due ore della maratona e il 9,58 sui cento metri piani. Anche Sed Bouin ripete Bibliographie, e prestazioni simili vengono da Jorge Diaz Rullo, Jonathan Siegrist, Anak Verhoeven, per non parlare dei ripetuti 9a della nostra Laura Rogora.
Rispetto e ammirazione per tutti questi atleti (e moltissimi altri sarebbero da citare). Ma poca emozione. Il climbing si è adeguato ai nostri tempi di predominio della tecnica (professionismo, qualità della tecnica, materiali…), comunicazione social, bulimia. Niente che ormai ci prenda veramente per le viscere e ci faccia dire che sì, questa è vita, questo è valore assoluto. Il paradosso è che nel raggiungimento dei limiti cresce il germe dell’appiattimento, e quando ci si stupisce troppo si smette di stupirsi. È un po’ triste.
Se anche voi siete della mia opinione, se anche voi avete bisogno di un nuovo entusiasmo, avrei un suggerimento. Andate a rivedere un bellissimo film presentato (e premiato) a vari festival un paio di anni fa e che oggi, drammaticamente, è tornato di attualità. Si intitola Resistance Climbing e lo trovate ancora in rete.
Uno dei protagonisti si chiama Urwah Askar ed è a oggi il miglior climber palestinese della Cisgiordania. Il suo grado è il 7c, un po’ poco quindi per togliervi il fiato. Ma vale tutti i 9c del mondo e forse qualcosa in più. Per molti motivi: primo, perché per arrivare alla falesia di Yabrud, che da dove si lascia l’auto disterebbe dieci minuti di cammino, se sei un palestinese ci metti un’ora, dovendo costeggiare il lunghissimo recinto di un insediamento israeliano vietato a chi ha il passaporto sbagliato. Secondo, perché Urwah ha iniziato da pochissimi anni a scalare e scarpette e imbrago sono i suoi oggetti più preziosi. Quando il regista-narratore (il climber palestino-americano Zachary Barr) entra nel caravan dove vive, senz’acqua né elettricità e un pagliericcio al posto del letto, rimane interdetto: “Wow… how can you live here?” fa per domandargli, mentre la domanda muore davanti al sorriso di Urwah. Il quale, per non farsi mancare nulla, non è nemmeno un arabo palestinese, ma un nomade, l’ultimo tra gli ultimi. Terzo motivo di emozione: i colpi di fucile che da Yabrud si sentono di tanto in tanto, che potrebbero venire da un cacciatore, da un matrimonio, da uno scontro a fuoco tra coloni e palestinesi. È il momento del film in cui emerge con più forza il contrasto tra la gioia pura dell’arrampicata e il dramma dell’occupazione. Da un lato l’Idf che taglia le reti idriche e scaccia contadini e allevatori, dall’altro un pugno di giovani che trova un nuovo significato per le proprie vite sulle falesie. L’arrampicata non è più solo sport, non è solo prestazione, ma un modo nuovo di fare comunità, riconnettersi al mondo, trovare una via non di fuga ma di salvezza in una patria negata.
Quando Resistance Climbing è stato girato, non erano ancora avvenuti gli attacchi di Hamas. Dall’ottobre 2023 tutto è cambiato di nuovo, non solo a Gaza ma anche nei Territori, ed è probabile che molte delle falesie citate nel video siano oggi presidiate armi alla mano da coloni o soldati. Ma siamo sicuri che la passione di Urwah e dei suoi confratelli di arrampicata covi sempre, sotto la cenere di questi tristi giorni, e che alla prima buona giornata di sole torneranno tutti sulle pareti, magari per tentare un 8a. O per cantare, liberamente, un inno alla vita.
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