Intervista a Peppino: “‘Fatto così’ è un’etichetta che mi metto da solo…”

FATTO COSÌ è l'EP del cantautore calabrese PEPPINO, artista che ha fatto della sperimentazione musicale il suo tratto distintivo L'articolo Intervista a Peppino: “‘Fatto così’ è un’etichetta che mi metto da solo…” proviene da imusicfun.

Apr 27, 2025 - 21:34
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Intervista a Peppino: “‘Fatto così’ è un’etichetta che mi metto da solo…”

Disponibile in digitale FATTO COSÌ, il nuovo EP del cantautore calabrese PEPPINO, un artista “indie-pendente” formatosi al C.E.T. di Mogol che ha fatto della sperimentazione musicale il suo tratto distintivo: un mix sempre in evoluzione di pop, elettronica e rock che confluisce in un sound indie-pop unico.

FATTO COSÌ è un EP che esplora l’universo interiore dell’artista attraverso sonorità che mescolano influenze degli anni ’70 e ’80 con un tocco moderno che rimanda a diverse sfumature del pop. Ogni brano rappresenta una storia intima, affrontando temi come la crescita, la nostalgia e le occasioni mancate. Il progetto utilizza un linguaggio musicale semplice e profondo, in cui la musica diventa sia una valvola di sfogo che uno strumento per riflettere. I testi hanno un linguaggio che lascia spazio all’interpretazione, ma il tema centrale resta comunque quello della sincerità.

Questa la tracklist di FATTO COSÌ“Musica in testa”, “Io e cali”, “Fatto così” e “Le parole fra le mani”.

Intervista a Peppino

1. “Fatto Così” è il titolo dell’EP, ma anche una dichiarazione  d’intenti. Cosa significa per te essere “fatto così” oggi, come artista  e come persona?

Essere “fatto così” per me significa accettare tutto quello che sono: il caos, le contraddizioni, i cambi di rotta, le manie di controllo e poi gli slanci improvvisi. Significa smettere di inseguire un ideale di perfezione o un personaggio che non mi rappresenta.

Come artista, vuol dire accettare che non sarò mai completamente “pop”, né totalmente “alternativo”. Che scrivo con la testa piena di filosofia, ma canto con il cuore in mano.

Come persona, invece, vuol dire riconoscere i miei limiti, i miei momenti no, le paranoie, ma anche la mia voglia infinita di raccontare, di emozionarmi, di capire il mondo con una canzone.

“Fatto così” è un’etichetta che mi metto da solo… ma senza incollarmela addosso: se domani cambio idea, va bene lo stesso. In fondo, essere fatti così vuol dire anche concedersi il lusso di non essere sempre uguali

2. Ogni brano dell’EP ha un’anima molto personale. C’è un filo conduttore tra le tracce o ognuna racconta un mondo a sé?

Le tracce non seguono un filo conduttore preciso! Volevo che questo EP fosse una sorta di lettera di presentazione al mondo, un menù degustazione con un assaggio di tutto ciò che può offrire il mio “ristorante musicale”.
 “Musica in testa” è un antipasto fresco, “Io e Cali” un primo piatto nostalgico, “Fatto così” un secondo deciso da accompagnare a un bel bicchiere di rosso, mentre “Le parole fra le mani” è un dolce esotico.
 Quello che unisce questo menù sono gli ingredienti della scrittura: nostalgia, sincerità e delusione.
 Benvenuti al Ristorante “Fatto così” da Peppino! (Ma non deprimetevi troppo: la musica, alla fine, è sempre allegra!)

3. Hai dichiarato che la semplicità può superare i tecnicismi. Quanto è stato difficile, per te, trovare un linguaggio diretto ma profondo?

È difficile. Lo è ancora. Ma se non lo fosse… dove sarebbe il bello? Amo la musica in tutte le sue forme, ma la canzone continua a essere quella che mi stimola di più. Avendo sempre frequentato sia l’ambiente accademico-strumentale che quello pop, ho vissuto un piccolo conflitto interiore: da una parte il musicista con influenze straniere, dall’altra il cantautore legato alla tradizione italiana. Ogni volta che scrivevo, una delle due anime prendeva il sopravvento. Alla fine, la canzone diventa il punto di equilibrio tra queste due spinte: è lì che inizia la mia continua ricerca delle “parole giuste”, che non solo significano qualcosa, ma suonano bene. La parola prende forma prima nel suono, poi nel significato, attraverso immagini. Trovare parole semplici e profonde non è l’ostacolo più grande: il vero lavoro è farle suonare in modo coerente con la musica. Forse Carmelo Bene e Deleuze da piccolo mi hanno rovinato…

Comunque, mi piacerebbe approfondire questo tema in un blog filosofico, perché è un argomento a cui tengo tanto — rischio sempre di perdermi nei dettagli!

4. “Musica in testa” apre l’EP con un mood coinvolgente. È una sorta di manifesto? Come nasce questo brano?

“Musica in testa” è nato in modo spontaneo, senza pretese. Inizialmente aveva una base reggae, voleva essere un omaggio a un genere che adoro, ma — proprio come succede con i figli o con la vita — i brani spesso prendono direzioni inaspettate. Come canto in “Tu sì che vali”: “Siamo ciò che non vogliamo, ciò che non ci si aspetta mai.” Così, da reggae, è diventato un pezzo contaminato da soul e funk. Ogni canzone per me è un percorso, e io amo le deviazioni sulla strada: rendono tutto più interessante.

Il testo nasce dalla consapevolezza di quanto la musica sia costantemente presente nella mia vita (e credo in quella di chi fa questo mestiere). È insistente, onnipresente, governa le priorità dall’alto.

Il pezzo è sicuramente coinvolgente, ma ha quel tocco finale di amarezza. Forse è proprio questo il contrasto che attraversa tutto l’EP.

5. C’è un brano dell’EP che senti particolarmente vicino in questo  momento della tua vita? Perché?

Sicuramente “Le parole fra le mani”. Mi ricorda Roma, la mia stanza, dodici anni di vita intensa. È il brano più personale e malinconico del disco, ma come dico sempre: “Questo è solo il mio parere! Le canzoni non mi appartengono, sono vostre. Fatene ciò che volete.”

6. Hai scelto di chiamarti semplicemente “Peppino”, senza filtri. Quanto è stato importante per te toglierti di dosso qualsiasi tipo di  maschera artistica?

Questa scelta nasce da un’esigenza, ma anche da un’idea precisa: la vita privata di un artista non dà sempre valore alla sua opera. Oggi spesso si giudica prima la persona, poi la musica.

Il mio ragionamento è semplice: se Peppino non è un personaggio, ma solo Peppino, allora la gente sarà costretta ad ascoltare prima la mia musica. Poi magari andrà a cercare quanti nei ho sulla schiena. Esiste il personaggio, esiste l’artista. Io, invece, sono semplicemente Peppino.

7. Il tuo percorso musicale passa dal sassofono classico al pop elettronico passando per il C.E.T. e studi in filosofia. Come convivono queste anime diverse nella tua musica?

Queste due anime litigano spesso… ma in fondo si vogliono bene. Sono una coppia stabile ma aperta, diciamo. All’inizio non era così semplice: per non farle entrare in conflitto, ho trasformato l’ecletticità da “maledizione” in dono. Per anni ho pensato che dovessi scegliere una strada precisa, soprattutto quando studiavo jazz al Santa Cecilia. Poi ho capito che la musica (e l’arte in generale) vive di contaminazioni. Come diceva qualcuno in un non troppo lontano Costanzo Show: “Non si fa musica con la musica, o cinema col cinema.”

8. Nel tuo progetto c’è molta contaminazione sonora: pop, elettronica,  rock, sfumature vintage. Quali sono stati gli ascolti fondamentali nella  tua formazione?

Amo tutta la musica. Ascolto hip hop, jazz, classica, prog… e negli anni ho imparato a non avere pregiudizi verso nessun genere. È facile vedere il bello dove c’è già: a volte anche in un brano “bruttissimo” puoi trovare qualcosa di interessante. Ho iniziato presto: ascoltavo Sting, Elton John, Jeff Buckley, Stevie Wonder, i Queen. Poi, verso i 12 anni, sono arrivati i primi dischi di De Gregori e Dalla. Per molto tempo la musica contemporanea non mi ha attirato, poi a Roma è cambiato tutto.

9. Quanto ha inciso il contesto della Calabria, con i suoi contrasti e la sua bellezza, sulla tua scrittura?

Ho amato e odiato la Calabria per tanto tempo. Vengo da un paesino di 3.000 abitanti dove le occasioni di confronto non sono molte. La musica non è fatta solo di note, ma anche di persone, idee, scambi. Quando ero piccolo internet non aveva ancora invaso tutto, quindi dovevo inventarmi giochi… e la musica era uno di questi, insieme a ‘ra squigghia e le corse dietro alle lucertole. Dopo 12 anni a Roma, però, ora apprezzo molto di più la Calabria. È il mio rifugio creativo. Anche se a volte non torno per anni, quando devo scrivere o finire un arrangiamento… torno sempre lì. In campagna, in mezzo alla natura, trovo le risposte. È il mio “locus amœnus”, il posto dove torno quando ho le tasche piene del caos cittadino. Il mio paese è senza tempo: certe sere basta alzare lo sguardo al cielo per sentirsi sulla luna.

10. Hai dichiarato che la banalità della vita può renderla  straordinaria. Qual è la cosa “banale” che più ti ha ispirato musicalmente?

Quanti oggetti ci passano davanti ogni giorno? Quante cose inanimate? Tantissime. Un giorno, in Calabria, ero seduto su un sasso lungo un fiume. Una scena normalissima per chi vive lì. Ero giù di morale, avevo sete e non c’era acqua, avevo mal di testa, volevo solo un letto. Ed è lì che è nata “Fatto così”. Il pensiero, banalissimo, era: “Vorrei essere uno scoglio, una pietra, un filo di vento.” Perché quelle cose non dipendono da nulla. Non hanno dolori, non hanno tasse, non hanno dischi da finire o amori finiti. Ecco cosa intendo per banalità che diventa ispirazione: se la vita non fosse così normale, chi scrive non avrebbe il bisogno — e il desiderio — di elevarla ad arte.

11. Hai portato la tua musica in giro per la Calabria, ma il tuo sound sembra pensato per palchi anche più ampi. Che tipo di rapporto hai con il live?

Il live è sicuramente la forma che preferisco. Amo il contatto con il pubblico, l’energia che si crea quando suoni con altri musicisti. Fare musica dal vivo, in modo il più possibile analogico, oggi è quasi un atto di coraggio. Non voglio dire che chi usa playback o autotune non sia coraggioso… ma lì, secondo me, si entra più nello spettacolo che nella musica vera. Io scelgo la musica. Lo spettacolo, il personaggio… mi interessano poco. Peppino è anche un modo semplice per dire: “Vorrei che la musica fosse ascoltata con le orecchie, non guardata con gli occhi.” Ma forse la mia è solo nostalgia… oggi, purtroppo, non funziona più così.

12. Dopo *Fatto Così*, dove pensi andrà la tua musica? Stai già lavorando a nuovi brani?

Certo! Spero di finire il prossimo EP entro dicembre. Saranno cinque brani legati da un concept: il multiverso. Ogni traccia racconterà una realtà alternativa o parallela alla nostra. A livello sonoro ci saranno pochissime chitarre, tanto Rhodes, batterie acustiche ed elettroniche mescolate… un sound un po’ spaziale, diciamo. Non vedo l’ora di farvelo ascoltare!

13. Se potessi scegliere un’artista, anche molto lontano da te per genere, con cui collaborare, chi sarebbe?

Ammesso che potessi viaggiare nel tempo… comunque non potrei sistemare le cose! Il tempo non funziona come in Ritorno al Futuro! Battute da quasi nerd a parte, mi piacerebbe tantissimo collaborare con Morgan. A prescindere dal personaggio, è un artista eclettico. Canzoni dell’appartamento è uno dei miei album preferiti. La sua conoscenza della musica classica e dell’elettronica potrebbe dare una spinta nuova al mio progetto, renderlo più singolare e riconoscibile.

14. Qual è il messaggio che speri arrivi a chi ascolta questo EP per la prima volta?

Più che un messaggio, spero che chi lo ascolta si emozioni. La musica non deve sempre avere una morale o un messaggio. È potente proprio perché riesce a connettere le persone e a evocare ricordi, emozioni, immagini. Per me, ascoltare Fatto Così significa rievocare sensazioni della mia vita passata…
 Ma il fatto di non avere un personaggio costruito intorno a me, rende questi brani ancora più intimi e colloquiali. Credo che le emozioni che ci attraversano siano, alla fine, comuni a tutti. Siamo tutti, in un modo o nell’altro… fatti così.

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