The Residence – Netflix si tinge di giallo: la recensione della nuova serie firmata Shonda Rhimes

E’ questo il regalo più grande delle Serie Tv: la loro trasversalità. Il loro modo, sempre diverso, di raccontare se non la stessa storia, almeno qualcosa di molto, molto simile. Soltanto qualche giorno fa stavamo affrontando la morte di un atipico Presidente degli Stati Uniti in una Casa Bianca situata in un paradiso in terra… Leggi di più »The Residence – Netflix si tinge di giallo: la recensione della nuova serie firmata Shonda Rhimes The post The Residence – Netflix si tinge di giallo: la recensione della nuova serie firmata Shonda Rhimes appeared first on Hall of Series.

Mar 23, 2025 - 19:18
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The Residence – Netflix si tinge di giallo: la recensione della nuova serie firmata Shonda Rhimes

E’ questo il regalo più grande delle Serie Tv: la loro trasversalità. Il loro modo, sempre diverso, di raccontare se non la stessa storia, almeno qualcosa di molto, molto simile. Soltanto qualche giorno fa stavamo affrontando la morte di un atipico Presidente degli Stati Uniti in una Casa Bianca situata in un paradiso in terra costruito dalla Serie Tv disponibile su Disney+ Paradise (qui, a proposito, la nostra recensione). Adesso, invece, torniamo di nuovo alla Casa Bianca durante una serata di gala che finirà nel più triste dei modi: un corpo senza vita interpretato da Giancarlo Esposito, 157 sospettati, 132 stanze e la sola certezza che si è tutti innocenti e colpevoli fino a prova contraria. E’ questa la sinossi della nuova Serie Tv Netflix prodotta da Shonda Rhimes dal titolo The Residence.

La regina delle Serie Tv ritorna di nuovo sulla piattaforma in un modo completamente diverso rispetto al solito. Creata da Paul William Davies, The Residence ci trasporta alla Casa Bianca, un ambiente ben noto alla casa di produzione Shondaland (di cui qui troverete la classifica di tutte le Serie Tv) per via di Scandal, il thriller ad alta tensione che esplora i complotti, i segreti e gli inganni della politica americana. Questa volta, però, il ritorno nella casa più importante e famosa del mondo si tradurrà in qualcosa di molto diverso dal solito. Un giallo satirico che si prenderà il compito di raccontare una storia già vista migliaia di volte in una chiave che unisce la tradizione e l’innovazione. The Residence conosce bene le regole del genere, e per questo decide di accoglierle tutte ma a un solo patto: deriderle.

The Residence è una miniserie che funziona e che dimostra grande abilità nel districarsi in mezzo a un puzzle complicatissimo. Ma questo non la priva di alcuni difetti che – a conti fatti – rendono l’esperienza riuscita solo a metà

 Cordelia Cupp, la detective di The Residence
Credits: Shondaland

157 sospettati, 132 stanze e una serata di gala che si conclude con un omicidio di cui tutti, in un modo o nell’altro, erano a conoscenza. Durante la serata organizzata dalla Casa Bianca per la cena di stato australiana, il corpo dell’usciere Wynter viene ritrovato senza vita e con chiaro tentativo: far sembrare che quest’ultimo si sia tolto la vita. Per cercare di venire a capo della questione, viene chiamata quella che scopriamo subito essere la miglior detective del mondo. Si tratta di Cordelia Cupp, una donna cinica e disillusa a cui non piacciono troppo gli esseri umani e che utilizza la sua passione per il birdwatching per analizzare tutto quel che accade intorno, dentro e fuori la scena del crimine. Cordelia, in questa storia, rappresenta essa stessa un gufo. Colei che scruta tutto quel che accade intorno a lei con una vista che non permette menzogne, inganni e bugie.

Il suo comportamento cinico e distaccato di certo favorisce l’immagine standardizzata di diversi detective già noti sul piccolo e grande schermo, ma è qui che Paul William Davies dimostra la sua maestria riuscendo a conferire a Cordelia dei particolari che restituiscono immediatamente un’identità precisa lontana da ogni paragone. Nonostante la copertina così nota, il creatore riesce infatti a rendere The Residence un prodotto fedele a se stesso che ricorda ma non simula. Un ibrido tra passato e presente che riesce a unire il nuovo e vecchio mondo prendendo spunto da prodotti come il recente franchising Cena con Delitto e la letteratura dei grandi classici di Agatha Christie. Come ogni cult del genere che si rispetti, anche qui il tempo si ferma obbligando tutti gli ospiti a non muoversi dalla scena del delitto.

In quelle 132 stanze albergano alcuni delle più importanti figure al mondo, uomini e donne in carica per il potere e per scrivere una nuova pagina di storia. Ci sono davvero tutti, ma a The Residence tutto questo non importa. Al contrario, non li considera poi neanche così tanto necessari trattandoli come delle aggiunte irrilevanti. Perché l’attenzione della miniserie si concentra soprattutto sulla servitù della Casa Bianca, gli occhi e le orecchie a cui si chiede sempre di non guardare o ascoltare. Ma queste orecchie e questi occhi qui sono il punto centrale della storia. L’usciere è la vittima, un uomo a cui tutti durante la serata si sono rivolti per qualsiasi esigenza, necessità, accesa discussione. Ognuno di loro ha un movente per essere il colpevole, ma ognuno di loro sembra anche completamente incapace di svolgere un compito del genere.

Cordelia Cupp sulla scena del delitto di The Residence
Credits: Shondaland

In ogni episodio i personaggi vengono infatti delineati – per quanto possibile – attraverso un interrogatorio che ci farà tornare indietro di qualche ora, raccontandoci la natura delle discussioni avute con la vittima. Con questo espediente, The Residence concede a un corposo numero di personaggi di ottenere una voce e un’identità ben precisa. Mediante i loro racconti vedremo svilupparsi non soltanto la narrazione legata al mistero, ma anche la prospettiva politica di una fetta di popolazione che non è mai riuscita a essere ascoltata fino a questo momento, e che qui ha finalmente l’opportunità di condividere il suo punto di vista dando vita a riflessioni che non dovrebbero passare inosservate come spesso succede.

Un cast così corposo è di certo complesso da gestire, ma Paul William Davies riesce a trovare la chiave facendo emergere – chi più e chi meno – personaggi pittoreschi, spesso rocamboleschi e fuori luogo. Possono essere i colpevoli perfetti così come gli ovvi innocenti fino alla fine della miniserie. Non è semplice delinearli, e non per mancato sviluppo ma grazie – appunto – a un lavoro corposo che ha saputo come giocare con le sue pedine, rendendole inafferrabili. Proprio per questo, The Residence è riuscita a mettere in atto una caccia tra il gatto e il topo che ha saputo come inserirsi tra il vecchio e il nuovo, tra il già visto e la scoperta di una stessa storia ma in una salsa decisamente diversa.

Perché quel che sorprende di The Residence è il suo modo di andare incontro ai cliché per poi girare l’angolo un attimo prima. Come metterli in scena per deriderli attraverso una satira che va oltre il genere mistery e che abbraccia anche critiche sociali attualissime che qui non vengono tirate fuori dal solito Presidente degli Stati Uniti o da chi per lui, ma dai membri della Casa Bianca, persone normali mai ascoltate che fanno parte della popolazione per cui tutti i membri in giacca e cravatta lì dentro dovrebbero lavorare, ma a cui neanche pongono le più basilari domande dettate dalla più basilare educazione.

Un'immagine tratta da The Residence che ritrae alcuni protagonisti
Credits: Shondaland

Nonostante il complessivo ottimo lavoro, anche The Residence però non è esente da difetti. Il più ingombrante ha sicuramente a che fare con la quantità di episodi e l’eccessiva durata dell’intera miniserie. E’ chiaro che, con un cast così vasto, era necessario concedere a tutti la possibilità di essere esplorati, ma non possiamo esimerci dal constatare un’esagerazione in tal senso. Dopo la quarta puntata, infatti, la miniserie diventa eccessivamente caotica e confusionaria.

Tutti i tasselli vengono accorpati l’uno all’altro in un puzzle che non si prende mai una tregua, non concedendo così al telespettatore la possibilità di esaminare quanto stia avvenendo. Non è possibile, in questo lavoro così sontuoso, delineare delle piste o far delle teorie perché le informazioni che ci vengono fornite smettono di essere chiare e logiche, diventando spesso irrilevanti e forzate. E’ un modo come un altro per rendere il colpo di scena ancor più incisivo, ma l’effetto finale non è quello sperato.

La conclusione del puzzle viene infatti messa in secondo piano a causa di un ritmo che a un certo punto s’inceppa e che rende la narrazione ridondante e spesso troppo macchinosa. Ogni puntata conta infatti 50 minuti, mentre l’episodio finale ben 90. Alla fine, ci ritroviamo con 11 ore e mezza di narrazione di troppo e una storia che – per coprirle – si è ripetuta inutilmente. Con un po’ di tagli e meno caos, probabilmente The Residence avrebbe vinto la sua sfida al massimo delle sua capacità. Ma questa voglia di strafare l’ha portata, alla fine, a trionfare soltanto a metà. Bel lavoro, ottimo carattere e personalità, ma di tutto quel che abbiamo visto ricorderemo forse davvero tre o quattro ore.

Con The Residence Netflix si è tinta di un giallo che ha saputo come richiamare i classici del passato in un’era dello streaming che ha dimostrato di voler apprendere dalla tradizione con una chiave tutta propria. Lo abbiamo visto con produzioni come Only Murders in the Building, oramai una garanzia per gli appassionati del genere, e lo abbiamo rivisto anche con The Residence. Ma a conti fatti, questa volta il giallo di cui Netflix si è tinta è stato meno acceso del previsto. Un po’ opaco, con qualche ombra di cui avrebbe decisamente potuto fare a meno. Resta il colore, resta un ottimo prodotto, ma resta anche la vecchia solita regola di sempre che vale in cucina come nelle Serie Tv: a volte è meglio togliere, anziché aggiungere.

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