Intervista a Luigi Friotto: “Siamo muri di cartone, Apparentemente solidi, ma in realtà fragili”

Intervista a Luigi Friotto: con il singolo "Babele" e l'album "Dedalo" esplora l’incomunicabilità del nostro tempo L'articolo Intervista a Luigi Friotto: “Siamo muri di cartone, Apparentemente solidi, ma in realtà fragili” proviene da imusicfun.

Apr 6, 2025 - 21:22
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Intervista a Luigi Friotto: “Siamo muri di cartone, Apparentemente solidi, ma in realtà fragili”

Con un progetto dal titolo emblematico, Babele, Luigi Friotto compie un gesto artistico radicale: affidare a una lingua sconosciuta, apparentemente priva di senso, un messaggio universale, capace di parlare al cuore di tutti. Come un moderno Esperanto, questa lingua inventata diventa lo strumento per denunciare l’incomunicabilità del nostro tempo, in cui l’illusione della connessione ha finito per isolarci ancora di più.

Babele, primo estratto dell’album Dedalo, si ispira alla celebre metafora della Torre, simbolo dell’arroganza umana e della perdita di comprensione reciproca, per raccontare una società chiusa in sé stessa, dove le barriere – mentali, sociali, emotive – impediscono l’incontro reale tra le persone. Eppure, Friotto intravede una via d’uscita: la curiosità per l’altro, lo sguardo autentico, la possibilità di ricominciare a “vederci”, davvero.

Artigiano della musica, sperimentatore raffinato e fuori dagli schemi, Luigi Friotto porta avanti da anni un percorso unico, fatto di Concerti sull’acqua, performance immerse nella natura o in luoghi insoliti, dove la musica suonata dal vivo, con cura e dedizione, torna al centro della scena. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare l’anima di Babele e il suo sguardo lucido, poetico e profondamente umano sul mondo.

Intervista a Luigi Friotto

Luigi Friotto, Babele è il primo tassello di un nuovo progetto che segna un’importante tappa del tuo percorso. Ma prima di parlarne, vorrei fare un passo indietro: nella tua carriera hai sempre giocato da libero, senza schemi predefiniti. Quanto conta per te la libertà nella musica e nell’arte?

È tutto. Soprattutto in tempi come questi, che tendono a essere molto uniformati e piatti, la libertà è un valore fondamentale nell’arte. È qualcosa da riscoprire, da conservare e da proteggere con grande cura.

Ti definisci un “artigiano della musica”. Quanto è importante il tempo nella creazione delle tue canzoni? E come si bilancia con la velocità imposta oggi dal mercato?

Il tempo è un amico-nemico. Da un lato, per un lavoro di artigianato come il mio, è fondamentale prendersi tutto il tempo necessario. Dall’altro, ci sono logiche di mercato che ci costringono a correre. Io cerco di bilanciare: mi prendo degli spazi molto lunghi per la fase di composizione, anche se a volte questo mi ha penalizzato. Credo però che la musica abbia bisogno di decantare.

Cosa intendi esattamente con “decantare”?

Dopo aver scritto una canzone, bisogna lasciarla sedimentare, come le foglie nell’alcol. Solo dopo un po’ di tempo riesco a riascoltarla con distacco e a capire se è davvero pronta. Una canzone è matura quando, riascoltandola, mi emoziona come se non l’avessi scritta io.

Parliamo ora di Babele, un brano in cui utilizzi una lingua inventata per raccontare l’incapacità di comunicare. Da cosa nasce questa scelta?

È una riflessione, quasi sociologica. Siamo milioni di persone, vicini fisicamente, ma sempre più distanti. Vediamo, ma non guardiamo. Sentiamo, ma non ascoltiamo. Ho voluto celebrare questa incomunicabilità in modo goliardico, creando una lingua che rappresentasse la nostra incapacità di capirci.

Quindi, nella tua visione, siamo tutti un po’ dei “muri” nella società?

Esatto. Io dico sempre che siamo “muri di cartone”. Apparentemente solidi, ma in realtà fragili, facilmente abbattibili. Tuttavia, ci ostiniamo a rimanere chiusi nei nostri perimetri, nella nostra comfort zone. Eppure, abbiamo anche una smania incessante di guardare all’esterno, come se spiassimo attraverso uno spioncino. Non sarebbe meglio abbattere le barriere e vivere davvero il mondo?

Nel videoclip di Babele, questo tema è molto evidente. I personaggi sembrano chiusi nei loro tic e nelle loro ossessioni, senza guardarsi mai davvero.

Sì, è un dramma che viviamo ogni giorno. Il videoclip amplifica questo concetto, mostrando persone che condividono lo stesso spazio, ma restano estranei gli uni agli altri.

È un riferimento anche al voyeurismo sociale dei nostri tempi?

Siamo tutti degli spioni, e i social ce lo dimostrano ogni giorno. Vogliamo rimanere isolati, ma allo stesso tempo siamo ossessionati da ciò che fanno gli altri. Anziché chiedere direttamente, spiamo. È paradossale.

La tecnologia ci ha portato enormi progressi, ma ha anche cambiato il nostro modo di relazionarci. Come vedi il futuro da questo punto di vista?

È un tema che mi fa riflettere molto. L’intelligenza artificiale, per esempio, sta avanzando a passi da gigante, ma rischiamo di perdere di vista l’essenza dell’umanità. Io credo che per andare avanti dovremmo, paradossalmente, fare un passo indietro. Lo dicevo già nel mio singolo Mirecha: a volte serve rallentare per riscoprire chi siamo.

Il tuo nuovo album, Dedalo, è stato definito “un viaggio tra le stanze dell’anima, un labirinto da esplorare senza la necessità di uscirne”. Qual è il filo conduttore di questo progetto?

Dedalo è un’indagine sull’essere umano e sulle sue complessità. A differenza del mio primo lavoro, Lucernario, che esplorava i grandi elementi della natura, qui mi concentro sui minimi sistemi: l’uomo, con tutte le sue contraddizioni, fragilità e meraviglie.

Non è quindi un labirinto da cui fuggire, ma da esplorare?

Esatto. Non dobbiamo per forza cercare un’uscita, ma piuttosto esplorare ogni stanza, ogni sfaccettatura dell’animo umano. Dentro di noi troviamo inquietudine e dolore, ma anche bellezza e stupore. Dobbiamo imparare a guardarci dentro, anche se può far paura.

Alcune delle canzoni di Dedalo sono nate anni fa. Come è cambiata la tua percezione di questi brani nel tempo?

Moltissimo. Alcuni brani li ho riscoperti dopo anni, quasi senza riconoscerli. È stato un modo per rivivere il mio passato, confrontarlo con il presente e proiettarmi verso il futuro. Alcuni pezzi hanno avuto un nuovo vestito, altri sono rimasti più vicini alla versione originale.

Dopo l’uscita di Dedalo?

Partiremo con la presentazione dal vivo, in luoghi particolari. Mi piace suonare in posti suggestivi: musei, auditorium, grotte, chiese consacrate, campi di grano. Voglio riportare la musica in spazi dove si possa riscoprire la bellezza delle cose dimenticate.

E so che hai anche un format molto particolare…

Sì, da anni porto avanti concerti su una zattera galleggiante! È un’esperienza unica, sia per me che per il pubblico. Spero di suonare molto quest’estate e di portare Dedalo in giro nel modo più autentico possibile.

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