Antonio Cornacchione: “L’importante è camminare”
Dagli esordi, giovanissimo, come sceneggiatore di fumetti, al cabaret puro; dalla satira televisiva al teatro brillante, Antonio Cornacchione ha esplorato i diversi linguaggi della comicità, mantenendo sempre uno sguardo acuto sulla società e le sue contraddizioni. Approdato nel 1991 sul palco del leggendario Zelig di Milano, fucina dei talenti della risata, ha raggiunto il successo negli anni L'articolo Antonio Cornacchione: “L’importante è camminare” sembra essere il primo su Dove Viaggi.

Dagli esordi, giovanissimo, come sceneggiatore di fumetti, al cabaret puro; dalla satira televisiva al teatro brillante, Antonio Cornacchione ha esplorato i diversi linguaggi della comicità, mantenendo sempre uno sguardo acuto sulla società e le sue contraddizioni. Approdato nel 1991 sul palco del leggendario Zelig di Milano, fucina dei talenti della risata, ha raggiunto il successo negli anni Duemila con la partecipazione a trasmissioni TV cult come Zelig Off, Crozza Italia, Rockpolitik e Che tempo che fa. Dedicatosi, poi, totalmente al teatro, durante il periodo di isolamento imposto dalla pandemia, si è cimentato in una nuova sfida: la scrittura di una commedia.
Così è nato Basta poco, spettacolo teatrale con la regia di Marco Rampoldi: «Un traguardo raggiunto dopo i 60 anni di età, è una grande soddisfazione», aggiunge l’attore, al suo debutto come drammaturgo. In scena, ancora una volta, risate e spunti di riflessione che si intrecciano, con l’aiuto di due ospiti (in video) inaspettati, come Pier Luigi Bersani e Giovanni Storti.
La sua satira nasce spesso dall’osservazione della realtà. Da dove arriva l’ispirazione per Basta poco?
«Di solito si scrive di ciò che si conosce. Vivo nel quartiere popolare Stadera, a Milano, tra case di edilizia pubblica, e proprio da qui è nata l’idea della storia di Palmiro, un tipografo in crisi che, pur di non pagare il TFR alla sua unica dipendente – una donna ungherese di cui è segretamente innamorato – decide di ospitarla nella casa popolare in cui vive. Ma quando riceve lo sfratto, si ritrova coinvolto in un vortice di incontri inaspettati, un crescendo di eventi che mette alla prova le sue convinzioni».
Scoprire nuovi luoghi, non necessariamente lontani, stimola la sua creatività?
«Diciamo che non sono proprio un viaggiatore nato: i miei spostamenti sono sempre stati brevi. Mi piace girare l’Italia, mentre andare all’estero mi crea qualche difficoltà perché ho una certa apprensione nel prendere l’aereo. Insomma, mi sento un po’ stanziale per natura. Detto questo, sono anche il primo a smentirmi».
In che senso?
«Nell’estate del 2018 ho partecipato al Mongol Rally, una folle corsa benefica non competitiva che si affronta in auto di piccola cilindrata. Siamo partiti con una Panda 4×4 nei dintorni di Praga e arrivati fino in Mongolia. O meglio, il resto dell’equipaggio è arrivato in Mongolia. Io mi sono fermato da solo a Teheran e sono tornato in Italia».
Ci racconta com’è andata?
«Da Praga abbiamo attraversato Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia, fino a spingerci in Iran. Ricordo il bagagliaio pieno di pezzi di ricambio, perché – diciamolo – qualcosa si rompe sempre, e non trovi certo il meccanico dietro l’angolo mentre percorri lande desertiche. Proprio com’è successo a noi, quando sono scoppiate due gomme in Romania in mezzo al nulla».
Niente male per essere una persona stanziale…
«Sì, per me che al massimo ero arrivato in Svizzera, è stato un bel battesimo del fuoco. E non è tutto. Arrivato in hotel a Teheran ho dovuto aspettare due giorni per il volo di ritorno. Mi sono avventurato a piedi per la città, ho preso la metropolitana e ho raggiunto il mausoleo di Khomeini. Lì, mi ha molto sorpreso scoprire che è stato progettato non solo per accogliere i fedeli in preghiera: le persone si soffermano a parlare e i bambini a giocare».
In fondo, viaggiare non è poi così male.
«Certo è stata un’esperienza indimenticabile, soprattutto perché fatta all’alba dei miei 59 anni. Anche se mentre salivo sull’aereo per rientrare, ho avuto un’unica certezza: a casa, finalmente! Confesso che ho un rispetto enorme per quei viaggiatori che girano il mondo con zaino in spalla e spirito di scoperta».
La sua regione d’origine è il Molise. Che ricordi ha della sua terra?
«Sono nato a Montefalcone nel Sannio, ed ero piccolissimo quando siamo andati via. Ho ricordi d’infanzia legati soprattutto alle vacanze, ogni estate tornavo dai nonni. Montefalcone negli anni ’60 era un piccolo paese del sud con un’atmosfera autentica e diversa dalla città: l’aria tersa, pochissime auto, un mondo contadino fatto di tempi lenti e di un legame forte con la natura. Penso a mio nonno con il suo asino, sembrava vivessero in simbiosi. Adesso mi capita di tornarci meno, anche se là ci sono ancora i miei cugini e quando ci vediamo è sempre un bel viaggio nella nostra storia».
Milano è la sua città d’adozione. C’è un suo luogo del cuore?
«Senza dubbio lo Zelig. Il mio debutto risale agli inizi degli anni ‘90. All’epoca lavoravo all’Olivetti, in un periodo di forte crisi per l’azienda, le cose stavano cambiando e decisi di licenziarmi. Nel frattempo, frequentavo un corso serale di teatro: quasi subito, mi sono ritrovato sul palco del locale di viale Monza 140, e poco dopo nel cast di Su la testa, di e con Paolo Rossi, su Rai 3».
Che atmosfera si respirava in quegli anni su quel palco?
«Quella di un posto speciale, un piccolo spazio che fungeva da catalizzatore per chiunque volesse fare teatro. C’erano comici e cabarettisti, certo, ma anche attori di teatro che sperimentavano monologhi e racconti, non necessariamente umoristici. Una realtà viva, piena di energia e voglia di esprimersi. Il pubblico era curioso, sempre numeroso e sosteneva gli artisti con grande entusiasmo».
Zelig esiste ancora, ma oggi impera la stand-up comedy. Cosa è cambiato?
«In fondo, è solo un modo di chiamare in inglese quello che già facevamo noi: il classico monologo. Cambiano i contenuti, ma il meccanismo resta lo stesso. C’è però una cosa importante, rispetto al passato: sono aumentate le donne che vanno in scena. È bello vedere che oggi ci sia più spazio per le loro voci, è un nuovo viaggio nella comicità».
E quando invece ha bisogno di uno spazio di libertà per sé, dove le piace andare?
«Sono un amante delle camminate. Mi basta andare lungo il Ticino, che è a soli 20 minuti da Milano, per trovarmi immerso nella natura e rigenerarmi. Adoro anche il lago e la montagna, l’importante è camminare».
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