Biancaneve – La Recensione: quando il classico diventa cringe
E già, Biancaneve è arrivata nei cinema, dopo mesi di critiche e ipotesi. Il live-action sulla principessa Disney approda finalmente sul grande schermo, tra canzoni armoniose, dialoghi sconclusionati e personaggi in CGI inquietanti. Nonostante la grande attesa, il film non riesce in nessun modo a riscrivere la sua preannunciata reputazione e conferma solo le paure… Leggi di più »Biancaneve – La Recensione: quando il classico diventa cringe The post Biancaneve – La Recensione: quando il classico diventa cringe appeared first on Hall of Series.

E già, Biancaneve è arrivata nei cinema, dopo mesi di critiche e ipotesi. Il live-action sulla principessa Disney approda finalmente sul grande schermo, tra canzoni armoniose, dialoghi sconclusionati e personaggi in CGI inquietanti. Nonostante la grande attesa, il film non riesce in nessun modo a riscrivere la sua preannunciata reputazione e conferma solo le paure degli spettatori che speravano di uscire dalla sala piacevolmente stupiti.
Le modifiche alla trama e ai personaggi, pensate per modernizzare la storia, si rivelano inefficaci, mentre il tono generale del film oscilla tra il pretenzioso e il dimenticabile. L’assenza di una vera anima fiabesca e la sceneggiatura priva di mordente contribuiscono a rendere l’esperienza poco coinvolgente, allontanando sia i nostalgici del classico del 1937 sia il nuovo pubblico. Ma addentriamoci nella storia e capiamo cosa non ha funzionato.
La trama di Biancaneve e cosa ci manca della versione originale

Il nuovo Biancaneve prende il classico Disney del 1937, lo scuote per bene, gli cambia vestito e lo manda in giro a predicare modernità. Addio principessa ingenua in attesa di un bacio salvifico: la Biancaneve di Rachel Zegler ha sogni più grandi dell’amore (tipo… boh, ancora non si è capito quali). Il Principe? Eliminato senza tanti complimenti, come se fosse stato un errore di sceneggiatura nel ‘37. Al suo posto c’è Jonathan, un ladro con un ruolo poco chiaro che sembra più un compagno di avventure che un potenziale interesse amoroso (solo a me ha ricordato tremendamente Flynn di Rapunzel?). Insomma, non c’è molto da stupirsi se c’è poi chi dice che «la rivisitazione è un danno per la nostra comunità».
Passiamo poi al tasto dolente, i sette nani? Dimenticate Brontolo, Cucciolo e compagnia: adesso abbiamo un gruppo di creature magiche in CGI, perché l’idea di minatori canterini era troppo datata? Persino la mela avvelenata ha meno peso nella storia: nel cartone era il culmine della tensione, qui è solo un altro ostacolo che Biancaneve supera senza troppi drammi. E il finale? Dimenticate la scena romantica in cui Biancaneve si risveglia e parte felice con il principe verso il castello: qui il destino della protagonista è ben diverso. Niente cavallo bianco, niente amore eterno, solo Biancaneve che prende in mano la sua vita con un messaggio di autodeterminazione. Insomma, più che una favola sembra un TED Talk.
Tra teen drama e la piega perfetta

Non entrerò nei particolari dei tanti piccoli errori che ho notato (come ad esempio il fatto che l’attrice bambina ha un neo in meno rispetto all’attrice adulta, oppure che nel bel mezzo della corsa disperata per salvare Jonathan ferito gravemente, Biancaneve ha avuto il tempo di rifarsi la piega ai capelli). Parliamo piuttosto di cosa non va in generale. Partiamo dai balletti: troppo perfetti, troppo modernizzati, troppo musical Netflix. La regina, in particolare, sembra uscita da un videoclip di Descendants, più che da una fiaba gotica. E se già questo non bastasse, i dialoghi ci mettono il carico da novanta. Il top dell’imbarazzo? Quando Jonathan si presenta con un impacciato “Mi chiamo Jonathan, Principessa… cioè, solo Jonathan, senza principessa”. Non so voi, ma io ho avuto un brivido lungo la schiena – e non per l’emozione.
Poi c’è la scena della festicciola con i nani, dove tutti ballano come se fossero in una pubblicità di del nuovo gelato Sammontana. E vogliamo parlare del “romanticismo”? Perché la storia tra i due protagonisti non ha nulla di magico o fiabesco, ma sembra una cotta adolescenziale alla Sex Education, con tanto di sguardi imbarazzati e battute fuori posto. Il vero culmine del cringe, però, lo raggiungiamo quando Biancaneve balla in slow motion mentre Jonathan la osserva con occhi sognanti mentre canta. Per un attimo ho pensato di essere finita in un videoclip di Shawn Mendes. Ma il vero colpo di scena? La voce di Cucciolo. Terrificante (qui trovi il cartone originale).
Ma in Biancaneve c’è qualcosa di positivo?

La risposta è sì. L’occhio critico vuole la sua parte, ma è bene ricordare che probabilmente i veri fruitori sono piccoli e che la metà delle cose di cui abbiamo parlato qui sopra neanche verranno notate. Nonostante le numerose critiche, possiamo dire che il nuovo Biancaneve offre alcuni aspetti positivi degni di nota. Le scenografie e i costumi brillano per vivacità e attenzione ai dettagli, creando un’atmosfera incantevole che richiama la magia dei classici Disney. Piccolo appunto sulle felpe di Jonathan: lo avranno vestito così per farlo sembrare più giovane? (spoiler: l’attore ha 34 anni, e se li porta egregiamente).
Inoltre, la performance di Gal Gadot nel ruolo della Regina Cattiva è davvero eccellente e come sempre si dimostra un’attrice dotata di una grandissima versatilità, incarnando perfettamente la malvagità e la vanità ossessiva del personaggio. La colonna sonora, con brani iconici come “Ehi-Ho!” e “Impara a fischiettar”, mantiene la sua orecchiabilità, offrendo momenti musicali che risvegliano la nostalgia e aggiungono un tocco di familiarità al film, impossibile non canticchiare durante la visione. Possiamo dire che questi elementi contribuiscono a rendere il film un’esperienza visivamente piacevole, nonostante le sue imperfezioni.
I sette nani e quel ritorno all’uncanny valley

Ci risiamo, dopo La Sirenetta, l’uncanny valley ribussa alle porte Disney, e forse in questo caso è anche peggio. Se non avete mai sentito pronunciare questi termini, Biancaneve è l’esempio perfetto per capirli. Si tratta di quel fenomeno psicologico per cui più un volto digitale si avvicina all’aspetto umano senza esserlo del tutto, più il risultato è disturbante. In pratica, il cervello percepisce qualcosa di sbagliato, e invece di risultare realistico, il personaggio diventa inquietante. Era già successo con La Sirenetta, dove gli animali in CGI come Sebastian e Flounder erano troppo dettagliati per essere cartooneschi, ma troppo rigidi per sembrare veri. Qui il problema si amplifica con i sette nani (qui trovi la recensione de La Sirenetta).
Dimenticate i buffi minatori del 1937: ora sono creature digitali con proporzioni strane, texture iperrealistiche e movimenti che sembrano presi da un videogioco del 2010. Il problema è che recitano accanto ad attori veri, e l’effetto è straniante. Un momento sei dentro un film live-action, quello dopo ti sembra di guardare una cutscene di un film d’animazione mal riuscito. E poi c’è Cucciolo. Se vi faceva tenerezza nel cartone, preparatevi a provare puro disagio. Non solo il suo design CGI è spaventoso, ma gli hanno pure dato una voce. E che voce. Un suono così innaturale e fuori contesto da far rabbrividire. L’intenzione era modernizzare i personaggi con la tecnologia, ma il risultato è un viaggio inquietante che ci ricorda una cosa fondamentale: a volte, la semplicità dell’animazione classica è imbattibile.
Ma avevamo davvero bisogno di questo remake?

Insomma, alla fine della fiera, Biancaneve ci lascia con una certezza: non tutti i classici Disney hanno bisogno di un remake. Anzi, forse sarebbe meglio lasciarne alcuni in pace, ben sigillati nel loro scrigno di animazione tradizionale, dove i nani non sembrano usciti da un esperimento di CGI finito male e dove nessuno ha il tempo di rifarsi la piega prima di una scena drammatica. Il film cerca disperatamente di modernizzarsi, ma nel farlo perde il cuore della storia. Il principe? Sparito. I nani? Trasformati in creature digitali dalla dubbia efficacia. Il romanticismo? Rimpiazzato da una dinamica da teen drama che sembra uscita da un musical di Netflix.
E poi c’è appunto quel tocco di uncanny valley che rende l’intera esperienza visiva più un test di resistenza psicologica che un viaggio nella magia Disney. Certo, il film non è privo di meriti: le scenografie sono belle, Gal Gadot si diverte un mondo a fare la Regina Cattiva e qualche scena ha un suo perché. Ma nel complesso, Biancaneve non riesce a convincere né i nostalgici del 1937, né le nuove generazioni in cerca di una storia coinvolgente ed emozionante. Forse, alla fine, la vera morale di questa favola è che non sempre bisogna reinventare la ruota. Perché se la ruota è già perfetta, il rischio è solo quello di trasformarla in un oggetto strano, ibrido e inutilmente complicato. Proprio come questo film.
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