Scissione 2×10 – I mulini a vento della tua mente
The Windmills of your Mind, I Mulini a vento della tua Mente, è la canzone che chiude questa stagione di Scissione e le cui parole riecheggiano lungo tutta l’analisi della 2×10 dal titolo Cold Harbor. In tondo, come un cerchio in una spirale, come una ruota in una ruota, senza fine e senza inizio, su… Leggi di più »Scissione 2×10 – I mulini a vento della tua mente The post Scissione 2×10 – I mulini a vento della tua mente appeared first on Hall of Series.

The Windmills of your Mind, I Mulini a vento della tua Mente, è la canzone che chiude questa stagione di Scissione e le cui parole riecheggiano lungo tutta l’analisi della 2×10 dal titolo Cold Harbor.
In tondo, come un cerchio in una spirale, come una ruota in una ruota, senza fine e senza inizio, su un mulinello che gira sempre, come una palla di neve giù da una montagna, come i cerchi che trovi nei mulini a vento della tua mente. Corrono Mark ed Helly, corrono come nel finale di un film degli anni belli. Corrono senza meta, fuggendo senza essere inseguiti, inseguendo un uscita senza andare verso l’unica uscita. Come cerchi in una spirale corrono in questo finale di stagione di Scissione mentre risuona trasognata The Windmills of your Mind nella versione di Mel Tormé.
È una corsa in tondo, una ruota dentro una ruota, un rullo che non smette mai di girare, come immagini che si riavvolgono nei mulini a vento della mente. Per loro non c’è futuro, non c’è mondo esterno e l’equatore può essere tanto un palazzo quanto un continente, un ideale punto di ritrovo che non esiste se non nei mulini a vento della loro mente.
Come nel meraviglioso Lebenszeichen (Segni di vita) di Herzog, come nel leggendario Don Chisciotte di Cervantes i mulini a vento trasmutano in sogni, in illusioni, in fantasmi di qualcosa che non è reale. Qualcosa che è solo della mente. E allora Mark ed Helly corrono ma corrono in cerchio e il finale da film romantico è solo l’immagine illusoria di qualcosa che non può esserci.
Mark S. ha fatto la sua scelta in una progressione instancabile di individualità e presa di coscienza a cui abbiamo assistito in tutta la stagione di Scissione.
La sua crescente personalità, la definizione infine, meritata, che possiamo dargli di essere umano emerge con forza nel confronto con il suo esterno. I mulini a vento di una mente girano inutilmente mentre l’Io si confronta con un altro Io, mentre le ragioni dell’uno si scontrano con le ragioni, la diffidenza e l’orgoglioso rigurgito di individualità dell’altro.
Mark S. si impone. Da ingenuo, fetale, remissivo inetto è diventato in queste due stagioni di Scissione, una persona. Un uomo che ama, odia, si ribella. Che, come Helly, ha il fuoco negli occhi. Quel “fuoco di Kier” di cui parla Jame Eagan. Il fuoco che gli esterni hanno perso e che invece Mark S., Helly, Irving e Dylan alimentano con una vitalità senza pari.
Nati schiavi, riescono a guardare oltre le ombre di illusori mulini a vento che la Lumon fa apparire loro. Escono dalla caverna platonica, hanno la forza di rimanere accecati dalla luce del sole. Si ribellano e fanno ribellare gli altri, come vediamo in questa 2×10 col dipartimento di Coreografia e Meraviglia e con Lorne (Gwendoline Christie). Mark S. sceglie di fare la cosa giusta, di liberare Gemma, l’amore del suo esterno.
Ma nello stesso tempo rifiuta di rinunciare a se stesso e al suo di amore, alla sua Helly.
Corre come un orologio le cui lancette scorrono dietro i numeri del suo quadrante ma sempre dall’alto c’è un occhio che osserva. Un occhio nel cielo, come titola la celeberrima canzone di The Alan Parson’s Project la cui intro, Sirius, sentiamo al completamento della cartella Cold Harbor. Una canzone ispirata al Big Brother orwelliano, all’occhio che tutto vede.
Su ogni interno, sulla loro libertà, pesa l’occhio del padrone. L’occhio della Lumon che li tratta come cavie, agnelli sacrificali per i suoi scopi. Tale era Gemma costretta a una vita in loop, come un cerchio in una spirale, scissa in ventiquattro diversi interni a cui si è ora aggiunto Cold Harbor. Il suo scopo, come avevamo anticipato, era testare la resistenza della barriera della scissione contro le emozioni della vita.
I numeri da inserire altro non erano che stringhe della mente di Gemma, i cinque caratteri di Kier nella mente della donna. Solo Mark nella sua spirituale, emotiva connessione con lei avrebbe potuto completare l’inserimento, mappare totalmente la sua mente realizzando così le venticinque stanze per testare la resistenza del chip di scissione.
Non è un caso che gli interni si trovino costantemente a dover vivere in un ambiente asettico e si eviti accuratamente di far provar loro emozioni troppo forti.
Il processo di scissione è incerto, instabile, incapace di reggere all’urto dei caratteri di Kier, delle più recondite e intense emozioni umane. Per questo la prova finale, Cold Harbor, non può che essere l’emozione più forte, tragica e straziante che Gemma possa provare.
Gemma indossa i suoi abiti e davanti a lei c’è una culla. Il simbolo di un dolore inestirpabile: quello di non poter avere il figlio tanto desiderato. L’oggetto rievoca anche l’azione del marito (che lei ora è chiamata a replicare) in uno dei ricordi peggiori, quello in cui Mark smonta la culla causando implicitamente sensi di colpa nella donna.
La barriera del nuovo chip resiste. Gemma non prova nulla. Quello che la Lumon però non capisce è che non è questa l’emozione più forte, la prova finale per testare il processo di scissione. No, ce n’è un’altra. Che batte ogni dolore, che vince il tempo, la memoria, l’errore. Gemma tende la mano, si fida di quello sconosciuto che vede davanti a sé nonostante “l’occhio nel cielo” gli urli di non fidarsi di lui.
Gemma e Mark tornano mano nella mano, si ricongiungono sconfiggendo le barriere della scissione.
Si rivedono, si amano, si baciano di nuovo. Ma c’è un Io che si oppone. Un Io che ha più potere, troppa identità personale per chinarsi alle ragioni di Mark Scout e di Gemma. Mark S. sceglie i mulini a vento della sua mente, sceglie l’illusione del suo di amore. L’illusione di una sua vita e di una sua felicità con Helly R. Fosse anche di pochi momenti.
Si condanna a quel mondo sterile, niveo, vuoto che è il piano di scissione. Corre in tondo come una ruota in una ruota, senza fine e senza inizio. Corre come nella registicamente magistrale scena del primo episodio della seconda stagione di Scissione. Il cerchio si chiude, pronto a riavvolgersi nuovamente come un mulinello che gira sempre, nella prossima, già confermata season 3 di Severance.
Ma quale futuro è lecito attendersi? Come può esserci lieto fine per Mark S. ed Helly? E come è possibile conciliare le due anime di un unico individuo? Due anime, due uomini, due amori. Per Dylan la soluzione è stata tagliare i rapporti con l’interno pur sperando di diventare come lui per riconquistare la moglie. Per Irving la morte del suo innie non ha richiesto scelte ma è stato un obbligo imposto. Mark S. invece si trova a poter scegliere. E sceglie se stesso, abbandonando Gemma e paradossalmente mostrando che nel suo caso le barriere della scissione hanno retto.
Sceglie il suo amore, sceglie di vivere.
Vivere l’illusione di un amore impossibile destinato a sfumare come i mulini a vento della sua mente. Come per lo Stroszek di Herzog, come per il don Chisciotte di Cervantes l’illusione resta l’unica possibilità per sfuggire alla realtà, alla morte, all’estinzione. Mark S. quella illusione la abbraccia, la stringe a sé con tutta l’incoerenza che un sogno si porta dietro. E per un momento anche noi, nell’immagine sospesa come il lieto fine di un film d’altri tempi, dei bei tempi, anche noi c’illudiamo che tutto andrà bene per lui e per Mark Scout, per Helly e per Gemma.
Anche noi ci illudiamo che un lieto fine ci sarà. Là nell’equatore, nella terra di mezzo dove due anime si incontrano. Dove l’Io si ricongiunge con se stesso e l’amore gioisce. In una ruota senza fine e senza inizio, là dove i mulini a vento della nostra mente possono tornare liberi di trasformarsi in giganti dalle braccia rotanti, in nemici di guerra, in incattiviti membri della Lumon pronti a essere eroicamente sconfitti dall’eroe e dall’amore.
Emanuele Di Eugenio
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