Gino Buscaini alpinista, autore di guide e disegnatore raffinato
Il libro “Scalate di penna e grafite”, pubblicato dall’editore Ronzani con testi di Silvia Metzeltin, Alessandra Beltrame e Giovanna Durì, rende omaggio a un grande personaggio dell’alpinismo e della cultura di montagna L'articolo Gino Buscaini alpinista, autore di guide e disegnatore raffinato proviene da Montagna.TV.

Come si orientano oggi gli alpinisti? E come scelgono le loro mete, prima di partire per i monti? Per le vette più famose, dal Cervino al Campanile Basso di Brenta, si parte “perché sì”, verso creste o pareti di cui si è letto mille volte, o di cui ci hanno parlato i compagni di ascensione e gli amici.
Per scegliere tra vie e vette meno note, in luoghi come la Valpelline, le Alpi Giulie o la catena settentrionale del Brenta, le cose sono un po’ più complicate. I siti forniscono meno informazioni, e lo stesso vale per le riviste cartacee. Le tracce GPX sono utili per trovare i sentieri, o per seguire una cresta di neve o traversare un pianoro glaciale nella nebbia. Dove andare, però, lo si deve decidere prima.
Gino Buscaini, nato nel 1931 a Varese, ha aiutato a scegliere la destinazione giusta, e poi a seguire bene la via, a migliaia di italiani appassionati dei monti. Come molti suoi concittadini scopre l’alta montagna sul Monte Rosa, compiendo varie ascensioni importanti con Mario Bisaccia, e poi salendo in solitaria la gigantesca parete Est.
A farlo notare tra gli alpinisti di punta, nel 1959, è la prima solitaria, con due bivacchi, della via Bonatti-Ghigo al Grand Capucin. Grazie a questa impresa, e alla comune passione per la Patagonia, Gino diventa negli anni uno dei migliori amici di Walter.
Gran parte delle sue 1300 ascensioni sulle Alpi, però, sono compiute insieme a sua moglie Silvia Metzeltin, ticinese, un’appassionata divoratrice di montagne come lui. I due si conoscono sulla cresta Nord del Piz Badile, e da allora non si lasciano più fino alla morte di Gino nel 2002.
Nel 1968, insieme a tre alpinisti triestini, Silvia e Gino compiono un capolavoro, la prima salita della Aguja Saint Exupéry, uno dei satelliti del FitzRoy, mille metri di scalata con difficoltà fino al VI grado e all’A3.
Silvia è geologa, Gino per anni è pilota dell’Aeronautica. Quando abbandona la carriera militare e lo stipendio fisso per vivere di montagna a tempo pieno, pensa alla Guida dei Monti d’Italia, la collana pubblicata da CAI e TCI e dedicata alle Alpi e all’Appennino.
Ma il primo incontro non funziona. “Mi sono presentato a un pezzo grosso del Touring. Quello mi ha squadrato e mi ha detto una cosa soltanto: ma lei si presenta senza cravatta?” racconterà Gino a me e a Roberto Mantovani, quasi vent’anni dopo, in un’intervista per la Rivista della Montagna.
Poi però, grazie a Renato Chabod, alpinista valdostano e presidente dal 1965 al 1971 del CAI, la collaborazione con la Guida dei Monti d’Italia inizia. Gino cura insieme a Chabod, Laurent Grivel e Silvio Saglio la seconda edizione del volume Gran Paradiso, che esce nel 1968. Poi lavora ai due complicati volumi sulle Alpi Pennine. Con lui, sempre o quasi, c’è Silvia, che non figura come autrice in copertina ma firma le introduzioni dedicate alla geologia e alla storia dell’alpinismo.
I due passano mesi insieme in montagna, dormono nei rifugi e negli alpeggi, aprono decine di vie su vette pressoché sconosciute, ripetono e descrivono con precisione le normali e le altre vie classiche del Cervino, della Dent d’Hérens e del Grand Combin, dove relazioni imprecise possono far rischiare guai seri.
Lo stesso metodo torna nei volumi dedicati al Monte Rosa, alle Dolomiti di Brenta, all’Ortles-Cevedale, al Monte Bianco (solo il volume I, purtroppo) e alle Alpi Giulie. Insieme alle parole, aiutano gli alpinisti le foto, e i dettagliatissimi schizzi in bianco e nero, realizzati a matita o a china da Gino.
Negli zaini e negli scaffali di centinaia di alpinisti, incluso chi scrive, si accumulano queste guide con le pagine di carta sottile, con le inconfondibili copertine di tela, segnate dall’uso con pioggia e vento, dai segni a pennarello o a matita accanto agli itinerari percorsi, dalle macchie di tè o di caffè (se non dalla cera di una candela) impresse nei rifugi o nei bivacchi.
Incontro un paio di volte di sfuggita Gino e Silvia al Festival di Trento, li ritrovo in una bella giornata d’inverno del 1986 a casa di Rossana Podestà e Walter Bonatti all’Argentario, in cui i quattro parlano delle esperienze passate e future in Patagonia. Due mesi dopo, con Roberto Mantovani, mi presento a casa loro, nei pressi Lugano, per un’intervista a tutto campo.
Parliamo di scelte di vita, della difficoltà di vivere di montagna se non si è celebri come Reinhold Messner, dei compromessi di coppia che costringono Silvia a rinunciare a un po’ di “alpinismo mediterraneo in posti pieni di luce e di sole” e Gino a “qualche grande salita con i piedi al freddo” sulle Alpi occidentali.
Parliamo naturalmente delle guide, da quella sulle Dolomiti di Brenta “dove devi ripetere le vie per scrivere relazioni esatte al centimetro, altrimenti qualcuno si infuria” fino alle Giulie, “montagne con un fascino strano”, che “colpiscono molto tutti e due”.
Parliamo della Patagonia, che Metzeltin e Buscaini scoprono quando Cile e Argentina si scontrano ancora sul confine, quando la mancanza dei ponti costringe a guadi pericolosi, quando i turisti sono pochi, gli escursionisti non ci sono, e i pochi alpinisti in circolazione si chiamano Dougal Haston, Casimiro Ferrari o Bernard Amy.
Il volume Patagonia. Terra magica per alpinisti e viaggiatori, pubblicato nel 1987 dalla casa editrice Dall’Oglio, progenitrice della odierna Corbaccio, è il capolavoro dei due, e insieme a quella di Gino, finalmente, reca anche la firma di Silvia.
Racconti di ascensioni private (i due tornano “alla fine del mondo” per una ventina di volte) si affiancano a relazioni e a schizzi dettagliati delle vie, e a magnifiche foto di spigoli e pareti di granito, di ghiacciai spazzati dal vento, di laghi e di condor in volo. Per la prima volta, in questo libro, Gino Buscaini pubblica le sue splendide tavole in bianco e nero.
Scalate di penna e grafite (124 pagine, 24 euro), un libro pubblicato dalla casa editrice Ronzani (www.ronzanieditore.it) con il patrocinio della Fondazione Giovanni Angelini e della Società Alpina Friulana, consente agli appassionati di montagna di oggi di conoscere Buscaini come disegnatore e pittore.
I brevi testi di Silvia Metzeltin, di Alessandra Beltrame e di Giovanna Durì, insieme alla postfazione di Alessandro Giorgetta, permettono di riscoprire la figura di Gino come alpinista, autore di guide e illustratore.
Nei capitoli, via via dedicati alle Alpi Pennine, alle Alpi Giulie, alle Dolomiti di Brenta, alla Torre Trieste, al Grand Capucin, al Monte Bianco e al Monte Rosa, seguiamo l’evoluzione dell’arte di Buscaini. Con il libro sulla Patagonia, spiegano gli autori, l’alpinista di Varese raggiunge il culmine della sua arte, spaziando dalle vette alle nuvole.
Per chi disegna, o semplicemente ama l’arte, è di grande interesse lo scritto che Giovanna Durì, grafica e scrittrice, dedica ai disegni di Gino, “belli, con i volumi giusti, chiaroscuri eleganti e rocce espressive che fanno sentire tutta la forza della montagna”.
Box e foto mostrano le matite e i pennini utilizzati da Buscaini, e i lucidi che servivano a tracciare gli itinerari. Il risultato? Un monumento a un uomo che ha amato e percorso le montagne, e ha saputo raccontarle con precisione e passione.
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