Mauro Corona: “La montagna mi dice chi sono”
Una dichiarazione di amore eterno quella di Mauro Corona per Erto, il paesino nel Vajont dove è cresciuto e vive da sempre, e per le sue montagne che non ha mai smesso di scalare e di raccontare. Spirito libero e anticonformista, trova rifugio e conforto tra le vette attraverso un contatto viscerale con la natura, toccando pietre che nessuno prima L'articolo Mauro Corona: “La montagna mi dice chi sono” sembra essere il primo su Dove Viaggi.

Una dichiarazione di amore eterno quella di Mauro Corona per Erto, il paesino nel Vajont dove è cresciuto e vive da sempre, e per le sue montagne che non ha mai smesso di scalare e di raccontare. Spirito libero e anticonformista, trova rifugio e conforto tra le vette attraverso un contatto viscerale con la natura, toccando pietre che nessuno prima di lui ha mai sfiorato.
Scrittore di boschi e di altezze, scultore ligneo, arrampicatore esperto, classe 1950, Mauro Corona è tante cose e ha avuto tante vite almeno quante i nuovi itinerari che ha aperto nelle Dolomiti d’Oltrepiave, oltre duecento, pare. Cantore dell’essenziale, dell’importanza di recuperare il rapporto con la terra, con la manualità come antidoto alla frenesia di un progresso tecnologico che porta comodità ma che è anche fonte di malessere mentale e spirituale.
Dopo i tragici eventi del 1963 che hanno distrutto il suo territorio, la salvaguardia della memoria collettiva di quelle zone è diventata la sua priorità. Lo fa con uno stile elegante e sensibile dal 1997, anno in cui ha esordito come scrittore. Da allora ha pubblicato una trentina di libri tra romanzi, fiabe e racconti. L’ultimo è Lunario sentimentale, la storia della sua infanzia in un mondo antico dove erano le stagioni a dettare il ritmo della vita e dei sentimenti. Un mondo irrimediabilmente perduto.
Quanto ha viaggiato nella sua vita e cosa significa per lei viaggiare?
«Ho viaggiato molto poco perché la mia natura mi portava a essere un animale stanziale, come il camoscio. Avevo bisogno di una garza di protezione che trovavo solo nel luogo in cui sono nato, cresciuto, ho fatto legna e ho arrampicato. Sono stato in giro solo per scalare: in Groenlandia, in California su El Capitan, ma mi sentivo fuori luogo. Anche per una forma di paura ho sempre avuto bisogno di stare su queste montagne dove sapevo che non mi sarebbe mai potuto succedere niente, mentre quando ero fuori mi sentivo in pericolo. Ora che sono vecchio scopro di aver perso un’occasione, ora avrei voglia di vedere luoghi sconosciuti, non tanto per i paesaggi ma per la gente. Ma ormai credo che non mi muoverò più».
Un posto che conosce solo lei e dove va a rifugiarsi?
«Oggi bisogna essere individui fortunatissimi per avere un posto simile. La gente è dappertutto. Però c’è la valle del Vajont, un luogo che evoca tragedie e morti, ma dove sembra di essere nello Yukon, ti vien voglia di cercare l’oro tanto è incantevole e selvaggia. Non ci va nessuno, forse un paio di camminatori l’anno si avventurano in questa lunga valle che arriva sulle cime di Pino, vicino alle sorgenti del Vajont, sotto il Col Nudo, un luogo impervio e isolato, poi scende giù nella Val Mesazzo dove ci fu la lotta partigiana. Ci vado spesso, è un posto incontaminato».
Cos’è la montagna per lei: un appiglio, un muro o uno specchio?
«Tutte e tre le cose di sicuro. Ma soprattutto è uno specchio che ti mette a nudo. Lo specchio non tradisce. La montagna è uno specchio anche animico, che riflette le tue paure, le scopre, te le tira fuori, ti dice chi sei e ti aiuta a vincerle. Per aggrapparti all’appiglio e superarlo, una volta scoperto chi sei tramite questo specchio animico della montagna, devi vincere, rettificare finché arrivi in cima. La montagna ti migliora, ti educa ad agire, là dove ti fermeresti la montagna ti dice di provare, di insistere. Ti insegna ad avere forza e rapidità di decisione».
La più bella arrampicata che ricorda?
«È difficile dire quale sia stata la più bella ma io m’impongo di considerarne una in particolare, che considero la mia parete dell’anima. Era il mio sogno di bambino la parete nord del Col Nudo qui di fronte a casa. La mattina mi svegliavo e dalla finestra della mia camera la vedevo, una roccia verticale di 800 metri, la guardavo senza immaginare che un giorno sarei salito dritto in cima. Poi negli anni quando ho cominciato a scalare e a fare cose sempre più impegnative, è diventata accessibile ai miei occhi. Era l’82 e con Franco Miotto e Benito Saviane siamo partiti di venerdì e arrivati in cima lunedì con bivacchi appesi alla parete. Ero felicissimo una volta raggiunta la vetta, perché era il mio sogno di bambino, ma è stata anche una profonda delusione, ho sentito che avevo profanato un sogno, è stato come un’effrazione di qualcosa».
La solitudine l’ha spesso accompagnata, sia nelle sue scalate che nella sua scrittura. Il silenzio e l’isolamento sono ancora dei valori?
«Personalmente sì, io vivo molto da solo benché senta anche il bisogno di socialità, della chiacchiera, dell’osteria, dell’essere circondato da persone, ma ultimamente sto molto da solo nella mia tana, scrivo. Essendo un timido e un uomo pericoloso per se stesso, la gente mi provoca anche inquietudine quindi la solitudine diventa una forma di fuga. C’è qualcosa di animico negli altri che a volte mi infastidisce. È una preziosità la solitudine, ti permette di stare con i tuoi pensieri senza interferenze. Finché non sconfina nella depressione la solitudine è certamente un valore».
C’è una leggenda o una storia del suo paese, Erto, che la affascina particolarmente?
«C’è una storia che ha percosso con terrore la mia infanzia. La schola dal bonzuac, erano un’ottantina di morti cannibali, che di notte andavano in giro a cercare i vivi e se trovavano qualche viandante lo divoravano. Erano feroci e io non capivo come persone che erano state buone in vita potessero diventare cattive da morte. Ero terrorizzato anche perché mio padre, che era un bastardo, alle due di notte mi chiamava e mi diceva ‘Vai al cimitero a prendere una candela spenta’. Oggi non ho più paura ovviamente ma resta per me un inquietante ricordo».
Nel suo ultimo libro Lunario sentimentale (Mondadori) parla di un mondo arcaico semplice e pulito. Oggi cosa è rimasto di quel mondo?
«Di quel mondo è rimasto zero, niente. Anche chi oggi ha ancora qualche mucca e il fieno, non tocca più niente con le mani. Di quel mondo vorrei far tornare, e tornerà, la manualità, il contatto con la terra, con gli elementi naturali. Non dico che si debbano ancora lavare i panni sul Vajont, ma dedicarsi a lavorare i campi, vivere la natura con meno marchingegni. I marchingegni sono nati per evitare la fatica e fare più soldi, che va benissimo, ma i soldi devono avere un limite, devono avere un picco e una vecchiaia. I soldi devono invecchiare e tornare a essere essenziali solo per ciò che serve».
Pensa che l’uomo abbia ancora una possibilità di riconciliarsi con la natura o è troppo tardi?
«Nel libro La fine del mondo storto, che ho scritto anni fa, ho immaginato che fossero finiti il petrolio e la corrente e la gente non fosse capace di sopravvivere, fino al punto di dover bruciare tutto quello che prima considerava indispensabile e prezioso per non morire di freddo. Finché non cadrà nel baratro l’uomo non si tirerà su le maniche, ma capiterà prima o poi. La possibilità di riconciliarsi con la natura ce l’avrebbe anche domani, è che prima dovrebbe ricucire gli strappi, rattoppare quello che ha combinato».
___________________________________________
DALLE DOLOMITI ALL’ALPE ADRIA TRAIL: 4 IDEE PER PARTIRE
● In viaggio sulle Dolomiti
Guglie altissime e natura incontaminata, creano un paesaggio unico al mondo che riesce a incantare chiunque si trovi immerso in questi scorci
LEGGI DI PIÙ
● Friuli Venezia Giulia: le vette del gusto
Itinerario nelle vallate montane fra il Pordenonese e la Carnia, in cerca dei migliori formaggi da degustare e acquistare sul posto
LEGGI DI PIÙ
● Alpe Adria Trail
Nel cuore verde d’Europa, per un trekking tra Austria, Italia e Slovenia. Un’avventura attraverso boschi incontaminati, santuari e borghi
LEGGI DI PIÙ
● Vado a vivere in montagna
Iduevagamondi, Simone e Romina, hanno lasciato tutto e sono andati a vivere in Valle Pesio, in Piemonte. Ecco, che cosa hanno imparato (a puntate)
LEGGI DI PIÙ
DOVE People è a cura di Manuela Florio
Dove Viaggi ©RIPRODUZIONE RISERVATA
L'articolo Mauro Corona: “La montagna mi dice chi sono” sembra essere il primo su Dove Viaggi.