Marco Balestri: “Ho tante idee, ma oggi la tv non rischia più. L’accoppiata con Amanda Lear? Un’intuizione di Gori”

Marco Balestri: "La televisione generalista avrebbe bisogno di persone della mia generazione, ma mi chiamano a fare l’opinionista, oppure mi offrono i reality". Su Scherzi a Parte: "Il più faticoso quello a Mickey Rourke. Leo Gullotta finì al pronto soccorso"

Mar 2, 2025 - 09:49
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Marco Balestri: “Ho tante idee, ma oggi la tv non rischia più. L’accoppiata con Amanda Lear? Un’intuizione di Gori”

Alla guida di decine di programmi, ma anche e soprattutto autore di trasmissioni condotte da altri. L’elenco dei titoli firmati da Marco Balestri è lunghissimo e copre quarant’anni di storia del piccolo schermo.

Una passione, o meglio un’attitudine per uno che in origine aveva indirizzato la propria vita da un’altra parte. “Mi laureai in filosofia e terminati gli studi iniziai ad insegnare filosofia e storia al liceo Beccaria di Milano come supplente”, confessa Balestri a TvBlog. La svolta si concretizzò quando si recò in una trasmissione Rai per conto del Dipartimento Scuola ed Educazione: “In quell’occasione scoprii che era stato indetto un concorso per voci nuove. Partecipai ed entrai a Radio 2. Pagavano sulle 300 mila lire e come insegnante precario prendevo uno stipendio molto basso”.

A dire il vero, un primissimo approccio con quel mondo era avvenuto molto tempo addietro: “A 12 anni io e un mio compagno delle medie improvvisavamo delle interviste con un registratorino che gli avevano regalato. Andammo a porre alcune domande ad un benzinaio e proprio in quegli istanti un giornalista del Giorno si fermò al distributore. Ci dedicò un pezzo e, in seguito a quell’articolo, ci chiamarono a Tv7. Per il quartiere di periferia in cui vivevo diventai ‘quello della tv’. Fu un piccolissimo approccio alla notorietà”.

Dopo qualche anno in Rai, ecco l’approdo a Rete 4, quando era ancora di proprietà di Mondadori: “Berlusconi comprò il canale che ero già autore di ‘M’ama non m’ama’, quindi venni assorbito. Nel 1985, invece, siccome parlavo bene il francese, fui trasferito a Parigi per lanciare il progetto di La Cinq”.

Lavorò al fianco di Carlo Freccero.

Sì. Portai in Francia i format che già curavo in Italia e ‘W le donne’ divenne ‘Cherchez la femme’. Riguardo a Carlo, avevamo un ottimo rapporto. Lo ritrovai anche quando debuttai a ‘Scherzi a Parte’. Purtroppo ci siamo persi di vista.

La prima volta da conduttore a quando risale?

Al 1989, quando apparvi su Italia 1 con ‘Per la strada’. Il programma era mio, ma lo avrebbe dovuto condurre Gerry Scotti, che però non andava bene a Berlusconi. ‘O lo presenta lei, o non se ne fa niente’, mi disse. Era un quiz a premi e si trattava della prima avventura itinerante targata Fininvest. Il ‘Karaoke’ sarebbe arrivato anni dopo.

Qualcosa di simile sarebbe stato proposto anche in Rai con Bubusette.

‘Bubusette’ seguiva quella scia, hai ragione. Si ispirava a ‘Per la strada’ e nel 2004 informai la Rai che avrei voluto girare l’Italia. Quando arrivavo nelle città il camper si trasformava in televisione e andavo a cercare gli aspiranti concorrenti dando loro l’appuntamento in piazza. Mi divertii molto.

Quarant’anni fa assistette all’esordio alla conduzione di Iva Zanicchi.

La mia generazione aveva visto i cantanti protagonisti dei ‘musicarelli’ e c’erano già in giro Bobby Solo, Little Tony e Rosanna Fratello che presentavano delle cose in televisione. Iva era per me un mostro sacro, possedeva verve ed era affabile. Era evidentemente un personaggio genuino in una tv ancora ingessata. ‘Facciamo un affare’ rappresentò un primo momento di rottura e lei ebbe un battesimo positivo. Nella mente di Berlusconi c’era la volontà di individuare un profilo come il suo.

Nel 1990 ecco il primissimo contatto con Mike.

Bongiorno mi volle come inviato speciale di ‘Telemike’. Avevo firmato successi come ‘Il gioco delle coppie’, ‘Una rotonda sul mare’, ‘Miss Italia’ e contemporaneamente a quell’impegno proseguii con il lavoro di autore. La televisione era molto creativa e diversissima da quella di oggi. Mi armavo di idee, studiavamo le trasmissioni da lanciare in una determinata fascia oraria e, parallelamente, adattavamo format che importavamo dall’estero.

Nel 1992 nacque Scherzi a Parte.

Sarebbe dovuta essere una parentesi e io stesso pensai ad un ‘one shot’. Una volta andato in onda non credevo si potesse replicare. Le vittime rimanevano attonite, smarrite, non capivano cosa fosse, dal momento che il programma sarebbe stato trasmesso un anno dopo. Mi identificarono presto, motivo per cui continuai come autore-regista. Mi inventai l’escamotage dei finti show condotti da me come ‘L’Italia che canta’. Chiamavo i cantanti in studio e facevo succedere di tutto.

Tra gli scherzi più esilaranti ricordo quello Ugo Pagliai e Paola Gassmann.

Mi appoggiai a ‘Lui, lei, l’altro’, programma davvero esistente di cui ero conduttore. Come ti dicevo prima, in questo modo per me era facile apparire e risultare credibile. Invitai la Gassmann e Pagliai in un periodo in cui i protagonisti del teatro avevano ancora la puzza sotto il naso nei confronti del mezzo televisivo e cominciai a cavalcare tutti i tic dei presentatori, mostrando arroganza e prosopopea. Non li facevo mai parlare. Me ne ricordo anche uno che feci a Francesco Alberoni. Ristampai il suo libro e lo riempii di refusi. ‘Lutero’ divenne ‘l’utero’, gli cambiai significato e lui rimase completamente smarrito. Ma il più faticoso da confezionare fu un altro.

Quale?

Quello a Mickey Rourke. Mi sostituii alla sua guarda del corpo e lo portai avanti per un’intera giornata. Alla fine mi venne la febbre, ero stremato.

Non posso non citare di nuovo Mike. Lo scherzo ai suoi danni non vide mai la luce.

Non ci firmò la liberatoria. Organizzai lo scherzo a Saint Moritz, dove aveva preso casa. Simulai la fuga degli orsi da un centro di acclimatazione. Gli calai un finto orso, che in realtà era un attore, sul tettuccio dell’auto. Pure io mi ero travestito e sarei dovuto arrivare da una discesa laterale per fermarlo e chiudere la gag. Purtroppo scivolai sul ghiaccio e mi si sfilò la zampa. La moglie se ne accorse e ripartì con la macchina. La prese malissimo, ci fu addirittura una lettera dell’avvocato con successiva denuncia. Mike era intoccabile, ebbi grosse difficoltà e mi allontanai da Mediaset.

Non ci fu modo di trattare?

Il rapporto si incrinò. Eravamo molto legati, quando ero il suo inviato ci sentivamo tutti i giorni. Se la legò al dito e me ne andai a lavorare temporaneamente a Tmc per Cecchi Gori. Rientrai a Mediaset qualche anno dopo.

Se nomino Leo Gullotta il primo pensiero va allo scherzo della tigre.

Andò al pronto soccorso per la paura.

Proprio questo tema volevo affrontare. Non temevate che il vip potesse sentirsi male per lo choc?

Era un problema. All’inizio eravamo dei pirati e ci muovevamo tra mille pericoli. Poi lo studio legale di Mediaset cominciò a chiederci prima le sceneggiature. Voleva visionarle per evitare controindicazioni. Sì, c’era un’assicurazione, ma l’attenzione era comunque altissima. Di quattro copioni che presentavo a Fatma Ruffini me ne veniva accettato uno. A volte forzavo la mano. Ad ogni modo, l’imprevisto è presente sempre e ovunque.

La liberatoria è una cosa da chiedere sul set, a caldo. Una persona in quel frangente è di buon umore e accetta senza remore. Se diventa un processo ragionato tutto si complica”. Me lo dichiarò anni fa Alessandro Ippolito, altro autore di Scherzi a Parte.

Sono d’accordo. Le prime volte te la firmavano senza fare storie. Poi iniziarono ad intervenire gli agenti, che volevano i soldi. Garantendo il cachet per l’ospitata in studio tutto era più facile. Per qualcuno era un’occasione promozionale. Sono tanti gli scherzi mai andati in onda. Se la beffa si concludeva in modo divertente non si avevano rogne. Infatti, io cercavo sempre di chiudere in maniera amichevole e simpatica. Fornivo quel conforto che faceva terminare tutto con una risata collettiva.

Quella degli scherzi finti è stata un’accusa lunga trent’anni. È possibile piuttosto che un vip, capendo la situazione in corso d’opera, abbia tacitamente consentito di portarlo a termine?

Certo. ‘Scherzi a Parte’ sarebbe dovuto durare una stagione, ma il successo fu impressionante. E’ probabile che qualcuno, pur accorgendosi dello scherzo, abbia deciso di proseguire. Magari sarà accaduto, ma senza che sia stato concordato nulla. Io ero spesso in regia e stavo molto attento alla spontaneità, perché se concordi una roba del genere non hai la reazione, non c’è lo stupore. L’archivio è pieno di scherzi cestinati perché non riusciti.

È stato anche ideatore di svariate candid camera. Tuttavia, la sensazione è che in tv la beffa a danno della gente comune goda di minor fascino.

Nello scherzo c’è sempre una vena di cattiveria. Nel personaggio comune ti riconosci, quindi ti commuovi e ti intristisci nel vederlo in difficoltà, mentre con i vip subentra il gusto punitivo. La gente famosa è ricca, ce l’ha fatta, si mostra in vacanza al mare e sulle barche. Godi nel vederli in crisi, se invece faccio lo scherzo ad un poveretto facendogli credere che gli è arrivata una bolletta della luce di 20 mila euro, lo spettatore solidarizza con lui. In tal senso, c’è un episodio che mi è rimasto impresso.

Racconti.

Ero autore de ‘Lo scherzo perfetto’, condotto da Mammucari. Fu l’ultima mia trasmissione a Mediaset. Misi in piedi una storia bellissima facendo credere a due signori che avevano giocato assieme una schedina del Superenalotto che avevano vinto una grossissima cifra. Il biglietto però ce l’aveva uno dei due e lo facemmo sparire. L’amico arrivò a prendere un coltello e a minacciarlo. Fu di una violenza impressionante.

Tornado al ruolo di inviato, affiancò a Stranamore Alberto Castagna, che morì improvvisamente il 1° marzo del 2005 con il programma in onda.

Ero in Sicilia, stavo preparando alcuni servizi. Mi chiamarono e mi dissero che era mancato. Bloccai tutto, fu un momento disperato. Mi allontanai, per me ‘Stranamore’ era una sua creatura e avevo troppi ricordi che mi legavano a lui. Frequentavo Alberto, spesso cenavamo assieme e le nostre figlie, Benedetta e Carolina, erano coetanee. Era una persona fantastica, molto amata soprattutto al sud. Quel clima è stato ereditato da ‘C’è posta per te’. In certi frangenti i due programmi sono molto simili.

Castagna era tornato in tv nell’aprile del 2001, ma l’operazione al cuore lo aveva indebolito.

Era cambiato. Lo vedevo più affaticato e anche più intristito e deluso. Non stava bene, mi raccontava che non stava vivendo un periodo facile.

Il brutto anatroccolo fu un altro clamoroso exploit. Lei e Amanda Lear formavate una coppia esplosiva.

Era una sorta di grossa festa paesana, dove le persone venivano a cambiare look e colore dei capelli per mettersi in ghingheri. Le andavamo a prendere a casa e le trasformavamo. Non c’era di mezzo la chirurgia. C’era un bel clima goliardico, ma ci trovavamo anche in una fase storica e culturale differente. Amanda se ne usciva con frasi del tipo ‘guarda come l’abbiamo fatta brutta’. Oggi non si potrebbe più rifare.

La vostra era una conduzione complementare.

Verissimo, ad avere l’intuizione fu Giorgio Gori. Amanda l’avevo già conosciuta ai tempi della trasferta francese. Io ricoprivo il ruolo del conduttore pulito che metteva le pezze dopo i suoi interventi. Era munita di una spiccata intelligenza, aveva senso dell’umorismo e una lingua tagliente. Il connubio fu ottimo.

Stavate registrando proprio Il brutto anatroccolo quando la casa della Lear prese fuoco uccidendo il marito.

Era notte fonda e mi chiamò Freccero: ‘Amanda è lì con te?’. Gli risposi di no e mi comunicò della tragedia. Amanda soffrì moltissimo e quella vicenda ci segnò. Nonostante ciò, sapeva sdrammatizzare. Una volta stetti male e rimasi ricoverato per alcuni giorni in ospedale. Mi telefonò per chiedermi come stessi. ‘Meglio, ce la dovrei fare ad essere presente in puntata’, replicai. E lei: ‘Peccato, avevo preparato un ottimo vestito nero’. Con lei c’era questo tipo di relazione, giocavamo su tutto.

Il brutto anatroccolo non si potrebbe più rifare”. Parole che sembrano una sentenza.

E’ così, non si può più fare niente. La stessa comicità ha subìto una botta terribile. Pensa ai cinepanettoni. C’è stato giustamente un assestamento, però siamo andati oltre, diventando bacchettoni e attentissimi ai dettagli. Tanti miei scherzi non sarebbero più proponibili, ma nemmeno quel tipo di tv, con quelle battute. O sei Angelo Duro, o quell’umorismo non te lo puoi più concedere. Sono cresciuto nella periferia milanese, altro che bullismo. C’era una cultura che si stava ricreando dopo la fine della guerra, si stava distendendo per arrivare a come è adesso. Ma si è esagerato. Non ci resta che tirar fuori certe freddure chiusi tra le quattro mura, in compagnia di amici fidati.

Come mai non la vediamo più in tv?

Mi chiamano a fare l’opinionista, oppure mi offrono i reality. Gori tantissimi anni fa mi propose ‘L’Isola’. Gli risposi che, avendoci messo una vita per potermi permettere di mangiare a pranzo e a cena, non avevo alcuna intenzione di andare a fare la fame (ride, ndr). Inoltre, se prendessi parte ad un reality, sarei costretto a confrontarmi con persone che appartengono ad altri mondi. Non lo farò mai.

E la radio?

Ne ho fatta tanta fino a qualche anno fa e non escludo di tornarci. E’ un mezzo dove tutti oggi vogliono metterci anche la faccia, dimenticando che il fascino e la forza della radio sta in una voce che ti fa vedere tutto.

Ha rimpianti?

Qualcuno sì. La televisione generalista avrebbe bisogno di persone della mia generazione. I giovani sono veloci, ma quelli con lunga esperienza ti consentono di girare il timone nella direzione giusta. Ho numerose idee nel cassetto che sarebbero avanti rispetto a quello che viene proposto attualmente.

Perché non le tira fuori da quel cassetto?

E a chi potrei sottoporle? Quale dirigente oggi si assume il rischio, magari rinunciando al solito talent o reality? Tutti tendono a ripetersi, c’è il terrore di perdere mezzo punto di share e, soprattutto, i dirigenti mettono bocca su qualsiasi cosa. Non esiste più l’autonomia e io mi sono sempre definito un cane sciolto.

Di cosa si occupa oggi Marco Balestri?

Scrivo. Ho spunti che annoto qua e là. Sono venuti a cercarmi per propormi progetti da destinare alle piattaforme, ma non conosco bene il mezzo. La mia esperienza si fonda sulla generalista. Penso di essere bravo per quel tipo di tv.