“Noi influencer abbiamo enormi responsabilità nei confronti della montagna”

Dopo il caso Roccaraso, interrogarsi su come la frequentazione delle terre alte stia cambiando passa anche dal chiedersi quanto i social la condizionino. Ne abbiamo parlato con Anselmo Prestini, influencer con 244.000 follower L'articolo “Noi influencer abbiamo enormi responsabilità nei confronti della montagna” proviene da Montagna.TV.

Feb 10, 2025 - 17:11
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“Noi influencer abbiamo enormi responsabilità nei confronti della montagna”

«Ho cominciato a utilizzare i social sei/sette anni fa, principalmente legandoli alla mia professione di allora, ovvero il maestro di snowboard». Esordisce così Anselmo Prestini, influencer classe 1995, nato e cresciuto a Tione di Trento, che intercettiamo al telefono fra un lavoro e l’altro. Se inizialmente non mi era ben chiaro di quale “lavoro” si trattasse, ci ha pensato la stessa intervista a mettere un po’ più a fuoco le cose. «All’inizio, con i miei post totalmente casuali e spontanei, mi occupavo molto di montagna, – racconta Anselmo – condividendola come una delle mie più grandi passioni e, nella fattispecie, dando anche dei consigli che riguardavano principalmente lo snowboard: come scegliere la tavola giusta, ad esempio, mentre raccontavo con dei video e delle foto la mia giornata tipo sulle piste da sci».

Quando è cambiato tutto?
«Sicuramente con il mio trasferimento per via dell’università, dapprima a Verona e poi a Milano. Proprio in quest’ultima città sono entrato in contatto con un’agenzia di influencer interessata ad un profilo come il mio, focalizzato sull’outdoor e il lifestyle, a cui abbiamo deciso di aggiungere un focus preciso sulla sostenibilità e l’ambiente, attivando ad esempio una collaborazione con il WWF».

Quella che racconti fin qui sembra la trama del tuo primo libro, Per un pugno di follower.
«Più o meno sì. Si tratta di una storia che ho scritto durante il periodo del Covid, assecondando un’altra mia passione, quella per la scrittura, che mi accompagna praticamente da sempre. Volevo prendere un po’ in giro il mondo degli influencer, ma in special modo proprio la mancanza di contatto con la realtà che talvolta pervade questo ambiente. E l’ho fatto raccontando con ironia tutti quei retroscena del mestiere che solitamente passano in secondo piano».

Per esempio?
«Per esempio mostrare una cosa nelle proprie foto ma viverne in realtà un’altra. Ecco, questo credo sia il lato più frustrante di tutti e, per certi versi, anche disonesto. Nei contenuti che posto cerco sempre di dipingere qualcosa di vero, invece: ci siamo io e la mia esperienza di sport e di avventura. Fingere eccessivamente, allargare troppo il divario fra quello che pubblico e quello che sono davvero, mal si concilia con i miei valori».

Da quello che mi stai raccontando, sembra tu sia riuscito a cavalcare un trend. Sette anni fa, quando hai cominciato, la montagna sui social non era forse ancora così di tendenza.
«Senza dubbio. Il fulcro di questo cambiamento è il fatto che le persone non investano più tanto negli abiti firmati quanto piuttosto nelle esperienze, che siano di viaggio, culinarie e, ovviamente, anche sportive e di montagna. Nei miei video più virali mi focalizzo su questo: mostrare un posto nuovo, un’attività che faccio in montagna – spesso anche accompagnato da mio padre, Guida alpina, e dunque comunicando anche tutte le accortezze del caso – e condividerla per promuoverne la frequentazione».

Qui arriviamo al punto. Quanto una promozione di questo tipo fa bene alla montagna e quanto invece no, secondo la tua esperienza?
«Sicuramente noi influencer abbiamo una grande responsabilità nei confronti della montagna. Da un lato, riusciamo a far scoprire e diventare virali dei posti che prima non lo erano, facendoli diventare accessibili a tutti con una velocità pazzesca. Dall’altro però, arrivati a questo punto, occorre porsi una domanda: questi posti ne avevano effettivamente bisogno? Lo volevano, erano pronti per questa visibilità? Abbiamo chiesto il permesso a chi quei territori li vive quotidianamente e li fa vivere?».

E quali risposte ti dai?
«Che ci prendiamo troppe libertà anche laddove non dovremmo, dando per scontato tante volte che tutti siano d’accordo con quello che stiamo facendo. Il caso di Roccaraso è emblematico: Rita De Crescenzo sicuramente non voleva causare tutto quel trambusto ma forse non ci si è resi conto di quanto fosse poco preparata la località. Probabilmente la situazione è sfuggita di mano e questo genere di cose dovrebbe far riflettere anzitutto noi, che ci lavoriamo ogni giorno».

A conti fatti però, per un posto che vive di turismo, avere più turisti dovrebbe rappresentare il non plus ultra.
«Sì, e forse il problema non sta tanto nei numeri e nelle proporzioni mastodontiche dell’“invasione” che c’è stata quanto piuttosto nella qualità di quei frequentatori. Temo che quello che noi influencer non riusciamo a controllare del tutto sia l’effettivo comportamento che può avere il pubblico a cui ci rivolgiamo. Certo, possiamo targettizzare, ovvero creare attorno a noi una bolla di follower che siano animati da intenzioni simili alle nostre: rispetto, educazione, preparazione. Però non possiamo controllare chi sta dall’altra parte e l’effetto che nel concreto le nostre azioni, i nostri post, hanno su di loro».

Si tratta forse, come dicevi prima, di venire a patti con i propri valori e cercare di veicolarli.
«Questo senz’altro. A me è capitato molto spesso di dire no a qualche lavoro per questione di coerenza: se si trattava di fare pubblicità ad un marchio di sigarette elettroniche, ad esempio, o anche, come mi è accaduto lo scorso anno, di documentare un viaggio per una compagnia di crociere, non proprio il genere di turismo slow, sostenibile ed improntato all’avventura che cerco di veicolare io».

Quale tipologia di avventura ti piacerebbe promuovere invece, in linea con questo tuo ideale?
«Più che promuoverla, sarebbe davvero bello organizzarla un’esperienza che sia totalmente in linea con i mieiideali. Mi piacerebbe ad esempio portare piccoli gruppi di persone a fare snowboard, lo sport dal quale tutto è cominciato, in maniera esclusiva. Magari in Norvegia, luogo che sto frequentando molto in questi anni, oppure al Polo Nord o in Finlandia, legando l’esperienza sportiva al concetto di viaggio sostenibile, scoperta di territori nuovi e basso impatto ambientale. Creare e vendere un format del genere sarebbe un po’ come realizzare un sogno».

Insieme a quello della scrittura, che comunque stai portando avanti.
«Sì. Qualche mese fa è uscito Neve sottile, un thriller la cui trama mi è balzata alla mente mentre mi trovavo su una seggiovia a Madonna di Campiglio, nel mio Trentino, bloccatasi di botto in mezzo alla nebbia. Ho pensato che sarebbe stato lo scenario ideale per l’omicidio perfetto e nelle settimane successive ho partorito una trama in cui sei influencer promuovono un brand, proprio a Madonna di Campiglio, e durante le giornate di lavoro uno di loro muore assassinato».

L’infausto destino che vi augurano spesso tutte quelle persone non ancora avvezze alla vostra figura professionale. Tu cosa rispondi alle critiche?
«Che il mondo cambia e si rinnova, come la natura, e che anche i mestieri seguono lo stesso corso. Primadell’invenzione degli aerei non esistevano i piloti, prima dell’avvento dei computer non esistevano i programmatori. Il lavoro degli influencer sta vivendo un tempo sempre più florido nonostante le critiche. È nostra responsabilità capire come rendere questo tempo anche utile e benefico, nei confronti degli altri e di noi stessi».

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