Millet: una storia ultracentenaria figlia della caparbietà di donna Hermance
Quando rimase vedova Hermance Millet non poteva per legge essere titolare di un’azienda. Ma con astuzia e determinazione pose le basi di un brand che ha affiancato i più grandi alpinisti del mondo. La nostra intervista al nipote Romain Millet, direttore generale dell’azienda francese L'articolo Millet: una storia ultracentenaria figlia della caparbietà di donna Hermance proviene da Montagna.TV.

Negli anni ‘30 del secolo scorso le donne in Francia non potevano votare. Non potevano possedere un conto in banca. Men che meno potevano essere titolari di un’azienda. Hermance Millet, però, se ne fregava di tutto questo e con grande astuzia e determinazione portò avanti un’azienda che ancora oggi veste gli alpinisti di tutto il mondo.
Nel primo decennio del XX secolo, Hermance è una montanara originaria di un paesotto vicino a La Rosière. Ai tempi la vita in montagna era tutt’altro che facile, e la saggia Hermance scende a Lione per lavorare in una industria tessile. Lì conosce Marc, il futuro marito, e insieme aprono una drogheria. Forte delle sue abilità sartoriali, Hermance inizia a confezionare delle borse in tela per fare la spesa da vendere ai loro clienti. È il 1921 e Millet è appena nata. Intanto Marc si ammala di problemi respiratori e la coppia decide di spostarsi ad Annecy, dove l’aria è più pura. Nel 1937 Marc muore, ma intanto l’azienda è ben avviata: sacche per il tennis, per andare in spiaggia, borse di tutti i tipi. Hermance si ritrova sola con una eredità imprenditoriale a cui non può accedere, solo perché donna.
Ma non si perde d’animo, cerca un tutore legale a cui intestare la società e intanto impone ai due giovani figli di studiare uno economia, Raymond, e l’altro sviluppo prodotto, René. Non appena i due sono maggiorenni, la famiglia si riprende la società e costruisce una grande casa proprio adiacente alla fabbrica. Intanto uno dei due figli si appassiona di alpinismo e inizia a spingere per la produzione di zaini per andare in montagna. «Erano gli anni 50/60 e a quei tempi la comunità di alpinisti era molto ristretta. Saranno state poche migliaia di persone in tutta l’Europa e ci si conosceva tutti. – racconta Romain Millet, attuale direttore generale dell’azienda e nipote di René – Mio nonno, ad esempio, andava in montagna con Bonatti e Desmaison.
Gli alpinisti arrivavano ad Annecy ed erano ospitati nella grande casa Millet dove si parlava soprattutto di montagna e quasi mai di business. Quando mio nonno è morto abbiamo trovato una libreria intera di suoi diari in cui annotava tutto ciò che faceva in montagna. “Oggi sono salito alla Tournette con Bonatti, non faceva bello e ci siamo fermati per una merenda” e via così».
Tra i vari alpinisti approdati alla maison francese c’è anche un giovanissimo Reinhold Messner, allora un diciasettenne squattrinato che si era spostato a Chamonix con la fame di chi vuole arrivare sempre più in alto. «Mio nonno aveva avvertito i rifugisti della zona di tenere d’occhio i giovani talentuosi che passavano di là. Un giorno riceve una telefonata da uno di questi “René, guarda che c’è un giovane mezzo italiano e mezzo crucco che fa su e giù come un ossesso sulle cime del Monte Bianco. Forse dovresti venire a conoscerlo”. Messner viveva in una tenda, aveva vestiti sgualciti e ben pochi soldi per vivere. Mio nonno lo aiutato, dandogli materiale tecnico, e da lì è nata una grandissima amicizia».
Il marchio, negli anni, ha accompagnato tanti grandi alpinisti in imprese eroiche. A partire dalla salita all’Annapurna nel 1950 da parte di Maurice Herzog e Louis Lachenal, che si era progettato lui stesso lo zaino. Un’ascensione che è una pietra miliare della storia dell’alpinismo dato che si trattò della prima salita conosciuta su una cima di ottomila metri. Nel 1963 il brand ha accompagnato Walter Bonatti e René Desmaison sulla parete nord delle Grandes Jorasses; nel 1978 Messner sull’Everest. Il primo uomo a salire lassù senza ossigeno. Negli anni 80 sono arrivati Patrick Edilinger, Christophe Profit. Poi Damilano, Lafaille fino ad arrivare a Dubouloz che ha sorpreso il mondo dell’alpinismo con la sua solitaria in invernale sulla nord delle Jorasses.
E le donne? Sono ancora poche ma iniziano ad arrivare nomi di grande spessore. Come quello di Aurélia Lanoë che ha firmato la prima discesa con gli sci dal Gasherbrum II, o Naïlé Meignan che a 9 anni già scalava l’8a.
«Ora ci sono tante donne che vanno in montagna e l’esperienza che vivono è sicuramente diversa da quella che vivono gli uomini. È un nuovo modo di fare alpinismo. E noi brand non possiamo continuare a far finta che questa comunità di donne in montagna non esista! Dobbiamo osservare, ascoltare e fare una seria riflessione».
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