Esiste ancora l’arrampicata a vista?

La questione è dibattuta da molti anni e per la maggior parte degli scalatori ha un’importanza vicina allo zero. Ma per i professionisti il discorso è diverso. L’enorme quantità di immagini a disposizione in rete, complica la faccenda L'articolo Esiste ancora l’arrampicata a vista? proviene da Montagna.TV.

Feb 22, 2025 - 12:54
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Esiste ancora l’arrampicata a vista?

Arrampicare a vista o on-sight significa effettuare una salita in libera (rotpunkt) al primo tentativo, senza conoscere in anticipo l’itinerario per averlo provato in precedenza, o per avere già visto qualcuno salirlo, o per avere avuto informazioni sull’impostazione dei movimenti chiave.

Si differenzia dalla salita flash, la salita in libera, al primo tentativo, senza aver mai provato l’itinerario, ma avendo già visto altri arrampicatori salirlo, od avendo avuto informazioni sull’impostazione dei movimenti chiave e dal tiro lavorato, ovvero dalla salita in libera, dopo uno o più tentativi per imparare i movimenti…

Sono le “regole del gioco” dell’arrampicata su roccia, in uso dagli anni ’70, a partire dall’abbandono degli ancoraggi come mezzo di progressione, ma solo come protezione in caso di caduta.

Con l’avvento dell’arrampicata sportiva, queste regole si sono progressivamente consolidate e oggi sono note a tutti gli arrampicatori, principianti e non.

In particolare la scalata in falesia secondo questi canoni, sancisce il valore della prestazione come per ogni altro sport. Questo elimina ogni dubbio o zona grigia, che dalle origini dell’alpinismo hanno spesso accompagnato tante ascensioni.
E pure rinforza il concetto che l’alpinismo non è sport, considerata l’estrema variabilità del “campo di gioco”, che per sua natura non consente, appunto, una rigida “misurabilità” e raffronto delle prestazioni e dello stile adottato, che si basa il più delle volte solo su quanto dichiarato dallo stesso alpinista.

I tantissimi video in circolazione rischiano di cancellare il concetto di on-sight
Ma le “regole” oggi vacillano, in particolare per quanto riguarda la scalata a vista. L’enorme disponibilità di informazioni circolanti, soprattutto video delle salite, di ogni stile e grado, rischia di azzoppare l’agognata esibizione del trofeo on-sight!
Se la questione può essere serenamente relegata a un nonnulla per la quasi totalità degli scalatori, pare che per i “pro” sia qualcosa di più complicato.
E’ a vista o non a vista? Insomma occorre dar fiducia e credere al salitore che afferma di non avere mai sbirciato, neppure di sottecchi, nessun “reel”, o “stories”, di qualche salitore precedente.

In fondo la questione mi diverte. E allora i segni di magnesite? E i rinvii ormai universalmente piazzati sui tiri, come per le gare indoor? Anche se salire la via montando “i rinvii” è certamente più impegnativo? Insomma non se ne esce, se non con l’unica certezza che ogni arrampicata in ambiente naturale si differenzia da quella condotta in un campo chiuso, tra lati e regole, soltanto legata all’aspetto sportivo del risultato.
Un invito a scalare su roccia fuori seguendo un tasso di autonomia individuale, meno costretto da regole e dogmi.

“La corda iniziò a scorrere lentamente, mentre la voce degli altoparlanti ripeteva: ogni detenuto ha quindici minuti a disposizione. Non è determinante il felice esito del tentativo. Non esiste differenza tra prova e fallimento. Ogni detenuto, gracchiava l’altoparlante, deve semplicemente scalare. Purificarsi. Espiare. Sublimare […] I mesi trascorsero in fretta e il 9 giugno F. J. Primo, detenuto numero 256, venne trasferito ai settori superiori. Entrò così a far parte del ristretto, ambitissimo gruppo di teste calde che scontavano la pena sulle magnifiche vie di 9c del braccio detto Muro Nero, un settore d’arrampicata che si trovava al margine ovest del bosco. La parete era alta una cinquantina di metri, nera, strapiombante. Ancora più in là, oltre il margine destro, Marius, un norvegese enorme, il capo dei secondini, stava allestendo un nuovo itinerario che si diceva arrivasse al 10a.”

Da un racconto del 1988 di Marco Preti, dal titolo “Fuga da Buoux”, pubblicato sulla Rivista della montagna tra gli indimenticabili numeri denominati “roc, speciale arrampicata”. L’’esilarante storia della detenzione di F.J. Primo, reo d’aver lasciato andare da capo cordata un cliente lungo una via schiodata, giusto per poter stare da solo con sua figlia. La pena inflitta: sette anni di scalate forzate nella falesia circondariale di Bioux!

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