Pericolo processionaria: come riconoscerla ed evitare dannose irritazioni
Salita fino alle Alpi per effetto dei cambiamenti climatici, la processionaria del pino rende vulnerabili le conifere ed è urticante per uomini e animali L'articolo Pericolo processionaria: come riconoscerla ed evitare dannose irritazioni proviene da Montagna.TV.

Fino a qualche decennio fa, la processionaria del pino – nota scientificamente come Thaumetopea pityocampa, dal greco thauma “che genera meraviglia” – viveva in Italia soltanto lungo le coste del Mediterraneo. Dagli anni ’70 in avanti, probabilmente in risposta ai cambiamenti climatici, si è espansa verso le regioni più temperate e le quote più elevate, raggiungendo i boschi delle Alpi dove oggi è facile avvistarne i tipici nidi bianchi che parassitano le conifere. Le alte temperature favoriscono infatti la diffusione di questo insetto, le cui larve durante l’inverno sopravvivono solo se l’interno del nido rimane moderatamente caldo (9° C di giorno e 0° C di notte).
Si tratta di una falena di colore grigio, grande 3 o 4 cm, la cui vita da adulto si esaurisce in pochi giorni, durante l’estate. In questo breve periodo, le femmine depongono un ammasso di centinaia di uova su un albero di conifera. Le larve, ben più conosciute dell’adulto, nascono alla fine dell’estate e si spostano sui rami dell’albero nutrendosi dei suoi aghi fino all’arrivo del freddo quando, per proteggersi dalle basse temperature, si costruiscono un nido in cui trascorrere l’inverno. A fine inverno l’attività riprende e le larve – grandi circa 4 cm e caratterizzate da dorso grigio e ventre marrone chiaro, con ciuffi di peli ben evidenti – scendono dall’albero in gruppo spostandosi in fila indiana, proprio come in una processione. Trovato il luogo adatto, caldo e soleggiato, si interrano e tessono il bozzolo in cui completeranno la metamorfosi, trasformandosi prima in crisalidi e poi in farfalle. E il ciclo avrà nuovamente inizio.
Il problema è che se uomini o altri animali (ed in particolare i nostri cani, che esplorano il mondo col naso all’ingiù) incrociano la “processione”, l’effetto può essere molto pericoloso. La peluria dei bruchi è infatti particolarmente urticante e può provocare eritemi, orticaria e prurito, che in genere si manifestano dopo un giorno dal contatto. Ancor più gravi sono le conseguenze del contatto dei peli con occhi, mucosa nasale, bocca e, in generale, vie respiratorie e digestive.
Come ridurre il rischio di irritazioni
La processionaria del pino attacca tutte le specie del genere Pinus e in qualche occasione anche cedri, abeti rossi e larici, ma le maggiori infestazioni avvengono a danno del pino nero e del pino silvestre che, privati di parte degli aghi, divengono vulnerabili ad altre patologie e possono perire.
Sono dunque questi i boschi in cui prestare attenzione: i nidi si riconoscono a distanza e, indicando la presenza delle larve, sono un segnale per gli escursionisti a non sostare in prossimità delle piante e mettere al sicuro bambini e cani.
Così come è sbagliato tentare di distruggere i nidi, perché si favorirebbe la diffusione dei peli urticanti nell’ambiente, è importante non disturbare le “processioni” ed evitare di toccare i bruchi: la peluria delle larve si stacca facilmente e può essere trasportata dal vento.
Se ci si accorge di essere entrati in contatto con larve di processionaria – il periodo più pericoloso è indicativamente tra la fine di febbraio e la fine di aprile – si raccomanda di lavarsi appena possibile il corpo (capelli inclusi) con acqua e sapone e cambiare gli abiti, sui quali potrebbero ancora essere presenti peli urticanti. I vestiti vanno lavati ad almeno 60° C. Lavaggi con acqua sono indicati anche in caso di contatto da parte di un cane.
Qualora i sintomi siano più gravi (per esempio nel caso di contatto con gli occhi), è opportuno consultare un medico (un veterinario per il cane).
Non da ultimo, è importante evitare di toccare o peggio manomettere le trappole collocate sui tronchi degli alberi: quelle per il controllo della processionaria hanno la forma di collari e serbatoi collocati come un anello sui tronchi delle conifere e servono per la cattura dei bruchi in spostamento. Una tecnica ad azione mirata che limita l’uso di pesticidi e cerca di contenere la diffusione di questo insetto che provoca danni ecologici e alla salute umana e animale.
Ha collaborato alle stesura dell’articolo Elisa Plebani
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