Il gelido fascino delle Alpi Marittime: sul Diedro Rosso in inverno
Bella salita di Alice Arata e Piero Godani sulla parete nord del Corno Stella, sulle orme di Ughetto, Berhault e Welfringer L'articolo Il gelido fascino delle Alpi Marittime: sul Diedro Rosso in inverno proviene da Montagna.TV.

Alla fine dello scorso mese di dicembre gli scalatori e Guide alpine liguri Pietro Godani e Alice Arata, compagni di cordata e nella vita, sono stati protagonisti di una rara ripetizione invernale della via del Diedro Rosso sulla parete nord del Corno Stella, nelle Alpi Marittime.
Non si tratta certo di una prima assoluta. La prima invernale della via, aperta nel 1962 dai francesi Franck Ruggieri e Didier Ughetto e gradata V/A3, era stata realizzata nel 1971 da Jean Gounand e Georges Grisolles, mentre il grande Patrick Berhault ne aveva portato a termine la prima solitaria nella stagione più fredda nel 2001, durante la sua famosa traversata delle Alpi, dopo averla percorsa per primo in arrampicata libera nel 1994 e poi in prima solitaria estiva nel 1996. Nel 2018 è poi arrivata la prima libera invernale ad opera di Symon Welfringer e Xavier Cailhol.
L’esperienza vissuta da Pietro e Alice è l’occasione per accendere un riflettore sulle Alpi del Sudovest, sempre un po’ in secondo piano rispetto alle altre grandi vette occidentali, e raccontare il fascino intramontabile di questo mitico itinerario.
Pietro, per te e Alice è diventata un po’ una consuetudine fare invernali nelle Marittime. Cos’è che vi attrae così tanto dell’ambiente di queste montagne?
“È una cosa che è venuta naturalmente, nel senso che siamo appassionati di queste montagne che per noi sono vicine. Io, in particolare sono sempre stato affascinato dal volto selvaggio che le Marittime assumono in inverno. Arrampicavo da soli due anni quando Andrea Parodi, uno dei più assidui frequentatori di queste zone, mi portò per la prima volta al Marguareis d’inverno. All’inizio lo trovai eterno! Non avevo esperienza su terreno misto, per me era roba mai vista prima! Però quella dimensione avventurosa a due passi da casa mi conquistò subito e negli anni successivi sono sempre tornato a cercare quell’ambiente e quelle sensazioni. Le Marittime non raggiungono quote particolarmente elevate e quindi, anche d’inverno, le loro vie sono teoricamente più semplici da approcciare rispetto a grandi itinerari come quelli del Monte Bianco. Però la mancanza di impianti di risalita, i lunghi avvicinamenti e la scarsa frequentazione fanno sì che lì si conservi ancora una dimensione di avventura che non è facile trovare altrove”.
Alice, tu come hai contratto il “virus” delle Marittime in inverno?
“La mia frequentazione invernale di queste montagne è più occasionale rispetto a quella di Pietro. Il Diedro Rosso lo avevo già fatto una decina d’anni fa in estate e mi era piaciuto tantissimo, sia per l’ambiente che per le caratteristiche della via. Dopo qualche altra esperienza di ripetizioni e aperture nella stagione più fredda ho cominciato ad accarezzare l’idea di salire il Diedro Rosso in inverno. Un sogno che è cresciuto leggendo le storie legate a questa via: la rocambolesca apertura di Ughetto e Ruggieri, le varie ripetizioni di Berhault e quella recente di Welfringer e Cailhol. Sulla nord del Corno con Pietro abbiamo fatto anche un’altra invernale, ma le condizioni erano molto miti, quasi autunnali. Questa è invece è stata un’invernale in piena regola: con poca neve, in verità, ma con un freddo becco che non ci ha mollato per tutto il giorno! Mi sembrava che anche la gomma delle scarpette fosse congelata: scivolavano su tutti gli appoggi. Per non parlare poi della sensibilità delle mani sugli appigli!”.
Pietro, tu ti eri già confrontato con questa via in inverno. Giusto?
“Sì, era lo stesso anno in cui avevo fatto il tentativo sulla Diretta dello Scarason. Lì ero salito molto in alto, fino a due tiri dall’uscita, ma poi avevo fatto un brutto volo e me l’ero fatta addosso! La “scimmia” di fare qualcosa in solitaria e in inverno sulle mie montagne, però, mi era rimasta, quindi un mese dopo avevo affrontato il Diedro Rosso da solo. Però mi ero reso presto conto che non avevo la carica e il feeling giusto ed ero tornato indietro. Alla fine sono felice di quella rinuncia, perché questo mi ha consentito di assaporare al meglio l’avventura condivisa con Alice”.
Alice, cosa rende così speciale questo itinerario?
“Per prima cosa l’ambiente in cui è collocato. Arrivare fin sotto al versante nord del Corno Stella richiede un avvicinamento abbastanza lungo e non c’è un rifugio come punto d’appoggio, ma solo il bivacco Varrone, che d’inverno è una vera e propria ghiacciaia! Per arrivare all’attacco della via occorre percorrere un tratto del Canale di Lurusa, che non è particolarmente ripido, ma servono comunque ramponi e piccozza, attrezzature che poi ti devi portare in parete, visto che la discesa avviene dal versante opposto. Tutto questo ne fa una salita molto completa. Poi c’è la sua linea incredibile: un grande ed evidentissimo diedro, interamente solcato da una fessura fuori misura e chiuso alla fine da un enorme tetto. È qualcosa di unico nelle Marittime, che regala un’esperienza che merita di essere vissuta”.
Pietro, nel ’62, quando Ughetto e Ruggieri, superarono per primi il Diedro Rosso, ci fu chi li criticò per l’approccio poco ortodosso utilizzato, ovvero i famosi “tamponi”, barre filettate d’acciaio espandibili con dei blocchetti di legno alle estremità, che i due si costruirono per proteggersi lungo la fessura, troppo larga per qualsiasi chiodo o cuneo allora a disposizione. Cosa ne pensi di questo “espediente”?
“Penso che, prima di tutto, ci sia voluta un’immaginazione straordinaria per inventarsi strumenti di questo tipo: a quei tempi i friend e i Big Bro non erano stati neppure concepiti… Poi c’è voluta una determinazione quasi folle per caricarsi tutto quel peso portandoselo dietro in parete, e un coraggio ancora più grande per appendersi a quelle barre dall’aspetto tutt’altro che rassicurante! Oggi la salita si fa integrando il materiale in loco con i nuovi mega friend, ma in diversi passaggi è ancora necessario assicurarsi o staffare sui tamponi originali dei primi salitori. Chiunque sia passato da lì vi potrà confermare che è una sensazione tutt’altro che rassicurante, ma è anche qualcosa che riempie di ammirazione e deferenza nei confronti di quei primi avventurosi pionieri. Provare per credere!”.
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