Gran Sasso, febbraio 1980, il capolavoro di Giampiero Di Federico sul Paretone
La solitaria invernale, in tre giorni, sul Terzo Pilastro cambia la storia dell’alpinismo sul massiccio. Per la guida alpina abruzzese, è uno dei momenti più importanti di una carriera che continua anche oggi L'articolo Gran Sasso, febbraio 1980, il capolavoro di Giampiero Di Federico sul Paretone proviene da Montagna.TV.


Paretone del Gran Sasso, 28 febbraio 1980. Un uomo, su una cengia innevata, attende che faccia chiaro per rimettersi in moto. Per limitare il peso dello zaino ha scelto di non portare una tenda. Ha passato la notte (e la precedente), con una giacca di piumino e un sacco a pelo, legato ai chiodi. Il freddo è intenso, le luci dei paesi hanno ammiccato beffarde per tutta la notte.
Per isolarsi dal freddo, tra neve e sacco a pelo, Giampiero Di Federico ha piazzato un materassino e pochi metri di corda. Il resto penzola sopra di lui, lungo gli ottanta metri di parete che ha attrezzato prima di fermarsi per la notte. Quando arriva la luce accende il fornello e si prepara una bevanda calda. Due settimane prima, la stessa operazione ha rischiato di costargli la vita.
Alla fine degli anni Settanta, l’alpinismo romano sul Gran Sasso ha la faccia da ragazzo di Pierluigi Bini, e la sua velocità nell’affrontare, con ai piedi un paio di Superga stracciate, le pareti delle Spalle e delle Dolomiti. L’Abruzzo risponde con Giampiero Di Federico, che vive ai piedi della Maiella. Sa sorridere, ma ha l’aria taciturna del montanaro. Quando affronta il Paretone d’inverno ha venticinque anni.
Scopre la montagna sulla Maiella, con le scarpinate estive e invernali verso il Monte Amaro e le altre cime. “Era un alpinismo faticoso ma paesano” racconterà. “L’impresa invernale era salire al bivacco Fusco, una camminata di tre ore. Mai partiva di notte, in un’atmosfera eroica”.
Poi Giustino Zuccarini diventa il compagno di cordata preferito di Giampiero. Sulla Maiella i due scalano sulle rocce di Pretoro e delle Murelle. Poi iniziano a esplorare in estate e d’inverno il Gran Sasso. Quando il lavoro porta Giustino all’estero, Giampiero arrampica con Mario Mascarucci, anche lui di Chieti.
Spesso parte da solo, come nel 1979 per la solitaria invernale della Via dei Pulpiti alla Vetta Centrale del Corno Grande, uno dei primi sesti gradi del massiccio. In estate apre una difficilissima via sulla Cima delle Murelle, sulla Maiella, con tratti di sesto e di settimo grado, e passi in artificiale con le staffe agganciate ai ciuffi d’erba.
Nell’estate del 1977 Giustino salva la vita a Giampiero sulla via del Trapezio del Corno Piccolo, fermandolo dopo un volo di 25 metri nel vuoto. Un favore ricambiato tre anni dopo, quando sul diedro Philipp-Flamm della Civetta Giustino sarà colpito da un sasso che gli romperà casco e cranio, e Giampiero resterà accanto a lui 30 ore in attesa dei soccorsi.
Nel 1978 Di Federico partecipa al corso nazionale per aspirante guida, ed è l’unico allievo “terrone” in un gruppo che include Renato Casarotto, Marco Preti, Alessandro Gogna e Manolo. Diventerà uno dei pochi professionisti della montagna dell’Abruzzo.
Il Paretone è la vera sfida invernale di quegli anni
Sul Gran Sasso, in quegli anni, la vera sfida invernale è il Paretone. Nel 1960 i romani Franco Cravino, Silvio Jovane, Mario Lopriore e “Betto” Pinelli hanno salito la via Jannetta, la normale della parete, superando canaloni, traversate e salti di ghiaccio e misto. Restano da salire i Pilastri che coronano la muraglia, percorsi dalle vie più difficili del massiccio.
Nel 1978, con l’aquilano Roberto Mancini, Giampiero tenta l’invernale del Terzo Pilastro, ma viene respinto dal maltempo. Torna da solo, il 15 febbraio 1980. Sale al rifugio Franchetti e all’Anticima dell’Orientale, scende per il canale Jannetta fino alla base del Pilastro, bivacca per attaccare l’indomani.
“Sono teso come un cane da punta” racconterà, e la tensione rischia di costargli cara. C’è vento, e il fornello si spegne. Allora lo sposta nella tenda, con la cerniera semiaperta. Quando l’acqua bolle, una vampata di vapore spegne il fuoco e rischia di soffocarlo.
Prima di svenire Giampiero riesce ad aprire la tenda, ad afferrare pentola e fornello e a gettarli nel vuoto ustionandosi la mano destra. Non si può preparare da bere, ha una mano fuori uso e rinuncia. Con la mano piena di vesciche, risale un passo dopo l’altro lo Jannetta. Dieci giorni dopo riprova con una strategia diversa. Invece di attaccare dopo un bivacco, parte al buio dai Prati di Tivo. Rinuncia alla tendina, portando solo una giacca di piumino e un sacco a pelo. Niente radio, niente razzi per chiamare aiuto. “Sarebbe come barare, se sono qui è perché ho scelto l’avventura” scriverà.
La salita vincente di Di Federico
Alle 8 del 26 febbraio Di Federico si affaccia sul Paretone inondato di sole. La giornata è splendida, e il canale Jannetta è in buone condizioni. Una discesa per ripidi pendii di neve e brevi salti di misto lo porta alla base del Pilastro.
Alle 9.30, senza togliere i ramponi, attacca la Diretta Alessandri, un itinerario di quinto superiore e 500 metri di sviluppo. “Ho scelto quella via anche per rendere omaggio a “Mimì” Alessandri” spiegherà. D’estate qui si arrampica tra il terzo e il quarto grado, ora la neve e il ghiaccio rendono il passaggio impegnativo.
Dopo una cinquantina di metri la parete diventa più ripida, e le difficoltà aumentano, ma la roccia pulita consente di salire senza ramponi, e con la piccozza infilata tra lo zaino e la schiena. Il freddo costringe a tenere i guanti, l’arrampicata è relativamente sicura ma lenta. Per autoassicurarsi, Giampiero deve salire, ridiscendere e risalire per recuperare gli ancoraggi.
Alle 15.30 si sistema su un terrazzino per il primo bivacco. Seduto nel sacco a pelo, appoggiato a una corda che gli fa da ringhiera, scalda una minestra sul fornello, e vede accendersi le luci di Isola del Gran Sasso. La notte è gelida, il tempo è bello. Prima che l’alba tinga il cielo di rosa c’è tempo per una o due ore di sonno.
L’indomani inizia con una brutta sorpresa. Anche se il Paretone guarda a est, la via Alessandri corre a destra del Pilastro, e d’inverno non viene mai raggiunta dal sole. Una bevanda calda e po’ di ginnastica isometrica nel sacco a pelo lo aiutano a scaldarsi, poi arriva il momento di riprendere l’arrampicata.
Un tiro di corda su roccia pulita porta al tetto giallo che anche in estate è tra i passaggi più difficili della via. Poi un sistema di fessure intasate di ghiaccio richiede quasi un giorno di sforzi. Mette e toglie i ramponi, sfila la piccozza dallo zaino e la rimette al suo posto. Trova un buon posto da bivacco, ma è presto.
Allora continua a larghe spaccate per 80 metri, poi si cala al terrazzo, lasciando la corda in parete per l’indomani. La seconda notte è più fredda della prima, il vento soffia con forza, la temperatura è intorno ai 20° sottozero, dormire è un desiderio impossibile. La stanchezza pesa ma le difficoltà sono alle spalle.
“Domani dovrei essere in vetta. Sono contento, respiro con gioia l’aria secca e gelida che risale il Paretone” riflette Giampiero. “Mi godo questo straordinario ambiente naturale, crudo ed essenziale. Un caos di roccia, neve e ghiaccio dove tutto è più semplice, più definito, meno astratto e nebuloso della vita di tutti i giorni”.
All’alba del 28 febbraio il vento diventa ancora più forte. La risalita lungo le corde permette a Giampiero di scaldarsi, poi un pendio di neve precede l’ultima parte del Pilastro. Il vento è richiede di sostituire i guanti con le dita con le moffole, con cui è difficile arrampicare.
Un passo dopo l’altro, con le corde che si impigliano nella roccia, risale il diedro-camino di 150 metri che lo porta alla fine delle difficoltà. Poi abbandona lo zaino e le corde, prosegue slegato fino alla base di una enorme cornice di neve, la buca ed esce in cresta, al sole. Ai 2903 metri della cima manca poco.
Qualche ora dopo, ai Prati di Tivo, un gruppo di sciatori osserva con sospetto i pantaloni sdruciti e la barba di quattro giorni del reduce del Paretone. Dopo aver scolato una bottiglia da un litro e mezzo di aranciata, Giampiero telefona agli amici di Chieti che lo devono venire a prendere. Lo trovano, abbronzato e felice, mentre russa sulla panchina davanti all’entrata di un bar.
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