Cervino, febbraio 1965, l’ultimo capolavoro di Walter Bonatti

Sessant’anni fa, il più amato alpinista italiano di tutti i tempi conclude la sua straordinaria carriera. Dopo un tentativo con due amici, completa da solo, in pieno inverno, una via nuova sulla vetta più famosa delle Alpi L'articolo Cervino, febbraio 1965, l’ultimo capolavoro di Walter Bonatti proviene da Montagna.TV.

Feb 12, 2025 - 13:31
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Cervino, febbraio 1965, l’ultimo capolavoro di Walter Bonatti

Nel gelido febbraio del 1965, l’alpinismo sul Cervino scrive una delle sue pagine più belle. Un secolo prima, nell’estate del 1865, la prima ascensione del “più nobile scoglio d’Europa” da parte di Edward Whymper e compagni si era conclusa con una catastrofe famosa, la caduta di tre alpinisti britannici e della guida francese Michel Croz verso la parete Nord e la morte. 

Stavolta, l’immagine che fa il giro del mondo non racconta una tragedia. A quel tempo gli elicotteri non sono diffusi come oggi, e la foto di un uomo in piedi accanto alla croce di vetta del Cervino viene scattata da uno dei piccoli aerei che, dal mattino del 22 febbraio, ronzano intorno ai 4478 metri della cima. 

Sono le tre del pomeriggio di una giornata freddissima e serena, e per Walter Bonatti questa è l’ultima grande avventura in montagna. Arriva in vetta dopo quattro giorni di lotta, allo stremo delle forze, dopo aver tracciato una via nuova sulla ripidissima e ghiacciata parete Nord. 

Dove il terreno diventa facile, “improvvisa e splendente”, gli appare la croce della cima. Percorre gli ultimi metri in silenzio, poi, “come ipnotizzato, stendo le braccia verso la croce, fino a stringere al mio petto il suo scheletro metallico: le ginocchia mi si piegano e piango” racconterà nel volume I giorni grandi, seconda puntata di un’autobiografia iniziata con il best-seller Le mie montagne.

Walter Bonatti, a partire dal 1950, apre una serie di straordinarie vie nuove sul massiccio del Bianco, dalla Est del Grand Capucin al Pilier d’Angle, e dal Pilastro Rosso del Brouillard al Pilastro Sud-ovest del Petit Dru . Poi compie le prime invernali di alcune delle vie più dure e più famose del massiccio, a iniziare dallo Sperone Walker delle Grandes Jorasses. 

Con lui, da secondo di cordata, si lega in alcune di queste ascensioni Cosimo Zappelli, un giovane di Viareggio che ha scelto di trasferirsi a Courmayeur. La competizione, fortissima, è con René Desmaison, uno dei più grandi alpinisti francesi di quegli anni.

L’alpinismo di alto livello, sulle Alpi occidentali e non solo, è sempre stato intrecciato alla sofferenza. Nella carriera dell’alpinista lombardo, però, i contatti con il dolore e la morte sono particolarmente numerosi. Nel 1954, insieme al portatore hunza Amir Mahdi, affronta un terribile bivacco oltre gli 8000 metri di quota sul K2, per portare le bombole di ossigeno a Lino Lacedelli e ad Achille Compagnoni. 

Nel 1961 Bonatti scampa alla morte, insieme al francese Pierre Mazeaud e al cliente Roberto Gallieni, nella bufera che uccide altri quattro alpinisti (tra loro Andrea Oggioni, amico fraterno di Walter) dopo un tentativo al Pilone Centrale del Monte Bianco.

Walter Bonatti è un impulsivo e un irrequieto. Sceglie di vivere a Courmayeur e di guadagnarsi la vita come guida, ma poi si annoia per la monotonia del lavoro e soffre perché i professionisti locali lo accolgono con diffidenza. Non a caso, ai piedi del Bianco, fa amicizia solo con altri forestieri come lui, da Gigi Panei a Toni Gobbi. 

All’inizio degli anni Sessanta, dopo la tragedia del Pilone Centrale e l’uscita del suo primo libro, Walter diventa un personaggio famoso. Anche per questo, dentro di lui, nasce la decisione di lasciare l’alpinismo di punta e di cambiar vita.


Un contratto con il settimanale Epoca, per il quale esplorerà i luoghi più selvaggi della Terra, gli offre una prospettiva perfetta. Prima, però, Bonatti cerca il canto del cigno in montagna, un’impresa che lo faccia entrare ancora di più nella storia. La linea che individua sulla Nord del Cervino, la parete più dura di una montagna perfetta, è una soluzione ideale. 

Il primo tentativo è in una cordata di tre. Walter attacca la Nord con due amici fidati, l’abruzzese Gigi Panei e il friulano Alberto Tassotti. In tre giorni gli alpinisti superano le Placche Nere e la espostissima Traversata degli Angeli, che è il tratto-chiave della via. Poi il tempo diventa pessimo, la bufera investe la montagna, bisogna scendere per riportare a casa la pelle. 

Il 18 febbraio, per sfuggire all’attenzione dei giornalisti che lo braccano nelle strade di Zermatt, Walter finge di partire per una gita sugli sci. Sale verso la base del Cervino insieme agli amici Guido Tonella e Daniel Pannatier, e al fotografo di Epoca Mario De Biasi. 

Nei pressi dello Schwarzsee, Walter saluta gli altri e si dirige verso la base della Nord. Mario lo accompagna ancora per un tratto, lo fotografa mentre si prepara con il Cervino sullo sfondo. Quando il terreno diventa difficile lo abbraccia, e poi lo lascia proseguire da solo. “Tutto andrà bene!” grida Bonatti prima di allontanarsi sul ghiacciaio. 

Il tempo è bellissimo, il silenzio è totale. Nel primo bivacco l’alpinista lombardo non dorme, ma osserva le luci di Zermatt in fondovalle. Il secondo giorno, dopo un momento di indecisione, Walter inizia a ripercorrere la via che ha tracciato con Panei e Tassotti. 

Al suo pesantissimo zaino è agganciato Zizì, un orsacchiotto di pezza. Quando inizia ad arrampicare viene assorbito completamente dall’azione, e i dubbi non esistono più. Per restare assicurato deve salire una prima volta, scendere sulla corda e risalire con lo zaino. 

Dal secondo bivacco, Walter risponde ai segnali luminosi che Mario De Biasi gli invia dal fondovalle. Il terzo giorno raggiunge e affronta l’aerea e impressionante “Traversata degli Angeli”. A turbare la sua concentrazione solo un’aquila che sfiora la parete e le evoluzioni di un aereo da turismo. 

La sera, l’alpinista fa partire un razzo bianco e verde, per segnalare che continua. Il rosso, quello della rinuncia, viene buttato nel vuoto. Il quarto giorno Walter sale su terreno sconosciuto, e abbandona gran parte dei viveri per ridurre il peso dello zaino.


In vetta

 

Soffre per il freddo, si sente all’esterno del proprio corpo, supera rocce lisce e verticali, si sorprende a parlare con l’orsacchiotto. Nel momento più duro sogna i corpi dei quattro compagni di avventura di Whymper che precipitano lungo la parete. 

Bonatti lascia il suo ultimo bivacco alle 6.30 del 22 febbraio, con una temperatura di 30 gradi sottozero. Il ghiaccio s’è incollato al viso e glielo brucia, il termometro segna -30 gradi. Con la pila frontale segnala che tutto va bene a Mario De Biasi e al resto del mondo, poi riparte verso la cima della “Gran Becca”. 

Nelle ultime ore, per alleggerirsi, Walter Bonatti abbandona chiodi, moschettoni e altro cibo. Sta per lanciare nel vuoto il suo casco, compagno di tante avventure, ma poi se lo rimette sul capo. Alla fine, barcollando, raggiunge la croce della cima e la abbraccia. La discesa, lunghissima e infida, non ha storia. 

Qualche anno dopo Reinhold Messner, un alpinista altrettanto straordinario e che diventerà ancora più famoso di Walter, tenterà di ripetere la “diretta Bonatti” ma dovrà fare dietrofront. “Non sono riuscito a passare. Ciò che quell’uomo ha saputo fare da solo su quella parete ha del fantastico e dell’incredibile” scriverà con parole sincere. Difficile immaginare un complimento più bello. 

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