Ritrovare il tempo e il silenzio dell’osservare è la sfida della guida di montagna

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La volpe non ha fatto il corso di scialpinismo. Eppure le sue impronte seguono le vecchie tracce di sciatori semi nascoste dall’ultima nevicata. Sa che qui si affonda meno e può muoversi più rapidamente verso l’alto. Le ultime pernici bianche che nidificano in quota non sono affatto felici. Scivoliamo su una neve morbida come velluto. E’ uno sfondo incredibilmente bianco e pulito, che contrasta con scure serpentiniti e le ombre lunghe del mattino.
Lo sguardo si perde tra l’osservazione a piccola scala delle sottili trame dei cristalli e lo sguardo rivolto ai grandi spazi, sempre più ariosi, con infinite montagne che si perdono all’orizzonte, contornate dal blu cobalto del cielo d’inverno.

Nei pressi del ghiacciaio, che ora riposa sotto la coltre bianca, il vento ha messo a nudo alcuni dorsi di marmo bianco perfettamente levigati, riemersi dal ghiaccio da chissà quanti millenni con il caldo feroce delle ultime estati.
Scisti e graniti colonizzati da licheni sorreggono la cresta nevosa terminale che precipita verso la Svizzera verde. Sotto di noi osserviamo i resti di una vecchia valanga a lastroni che si è aperta a ventaglio. Una grande cornice orlata indica la direzione dei venti dominanti.
Ritrovare il tempo e il silenzio dell’osservare è la sfida della guida di montagna. Con la pazienza dell’incontro inatteso, della sorpresa che troviamo dietro ogni valico e dopo ogni curva. Fare attenzione diventa un metodo, un modo per passare oltre l’ascesa tecnicamente ineccepibile e standardizzata.

Dobbiamo imparare tutto questo perché questi spazi preziosi sono una riserva inesauribile di conoscenza, perché, in fondo, non c’è chi arriva prima, ma solo chi si mette in gioco.

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