Il percorso audace e innovativo di FX, il nuovo Re delle Serie Tv d’autore
È arrivato il momento di dare a FX quel che è di FX. Il nome, composto da due sole lettere, potrebbe non dire granché a gran parte di voi. Passa persino inosservato, almeno in Italia. Compare spessissimo davanti ai vostri occhi, poi sparisce nel nulla. Si dimentica, sovrastato dal altri nomi ben più altisonanti, almeno… Leggi di più »Il percorso audace e innovativo di FX, il nuovo Re delle Serie Tv d’autore The post Il percorso audace e innovativo di FX, il nuovo Re delle Serie Tv d’autore appeared first on Hall of Series.

È arrivato il momento di dare a FX quel che è di FX.
Il nome, composto da due sole lettere, potrebbe non dire granché a gran parte di voi. Passa persino inosservato, almeno in Italia. Compare spessissimo davanti ai vostri occhi, poi sparisce nel nulla. Si dimentica, sovrastato dal altri nomi ben più altisonanti, almeno in Italia. Dici Netflix e tutti capiscono immediatamente di cosa si parla. Prime Video? Ah sì: Amazon. Sky? Un’istituzione. Apple Tv+? Sì, certo: Apple fa le serie di qualità che pochi guardano, ma chissà quanto sono belle. E ancora: Disney non ha bisogno di presentazioni, Paramount è Paramount ed HBO è quella che suggerisce l’idea del capolavoro fin da quando viene citata.
Una questione di percezioni, almeno in Italia: la connessione tra il brand e la piattaforma, meglio ancora se combinata a un marchio centrale in vari settori o con una storia molto riconoscibile alle spalle, suggerisce una solida associazione immediata anche ai più distratti. Ok, va bene. Ma è arrivato il momento di memorizzare due letterine che stanno scrivendo un capitolo fondamentale della serialità contemporanea: FX.
FX, non Fox. Anche se la confusione è legittima: la matrice è sempre quella.
Nato nel 1994, il network via cavo, affermatosi negli ultimi anni anche nel mondo dello streaming (in Italia, su Disney+), ha una di quelle storie che meritano di essere raccontate. Perché va controcorrente da più di due decenni, scommette sull’autorialità con una forza che pochissimi altri riescono a sostenere in questa epoca, ha detto no con convinzione alla “peak tv”, un capo che qualcuno è arrivato addirittura a definire “il sindaco della tv” e, soprattutto, è ormai diventato l’alfiere principe della qualità televisiva. Ancora più più della HBO, protagonista negli ultimi anni di un percorso di transizione che la sta riplasmando sotto una nuova forma. A differenza di Apple Tv+, che punta su serie di altissima qualità ma spesso di nicchia, FX ha trovato il giusto equilibrio tra qualità e popolarità.
Perché sì: se da una parte il nome FX continua a non suggerire granché al pubblico italiano, dall’altra è improbabile che chiunque di voi non abbia mai visto una sua serie tv negli ultimi anni.
Facciamo qualche esempio? Giusto per rendere l’idea, FX ha firmato le due serie tv che hanno dominato il 2024, Shōgun e The Bear. FX produce Fargo, ma anche le comedy What We Do in the Shadows, It’s Always Sunny in Philadelphia, Atlanta e Reservation Dogs, le apprezzatissime The Old Man e l’ormai storica American Horror Story o la più recente English Teacher. Continuiamo? Beh, dovremmo. Soprattutto se ci si spinge più indietro nel tempo e non ci si ferma alla cronaca contemporanea. E allora, The Shield, Nip/Tuck, Damages, Louie, Sons of Anarchy e The Americans, per dire. Qui si è fatta la storia.
L’elenco è molto più lungo di così, ma il filo conduttore è chiaro: parliamo di serie tv che hanno conquistato l’approvazione pressoché unanime della critica e un parallelo successo di pubblico che sta portando sempre più in alto FX, fino a farne uno dei riferimenti assoluti della televisione per tre generazioni. Ha caratterizzato la golden age, poi ha saputo inserirsi nello streaming senza snaturarsi in alcun modo, arrivando a toccare la vetta nel 2024 e scrivere le premesse di un futuro che appare radioso come non mai.
Già, il 2024. Che 2024.
I numeri dicono un po’ tutto, specie se si concentra l’attenzione sugli ultimi Emmy. Shōgun ha segnato un record storico: con diciotto riconoscimenti ottenuti in un’unica edizione, è la serie più premiata di sempre. Alle sue spalle, The Bear ha (quasi) monopolizzato le comedy con undici titoli. Nel complesso, FX ha portato a casa trentasei riconoscimenti: tanti, tantissimi. Molti più dei ventiquattro di Netflix, alle sue spalle. HBO si è fermata a quattordici, Apple Tv+ a 10. Tutto ciò senza considerare i premi altrettanto significativi conquistati da Hulu, network sempre più sinergico con FX. Altri due dati: il numero di candidature di FX ha sfiorato la tripla cifra ed è arrivata a 93 nonostante il numero relativamente ridotto di serie tv candidabili.
Si segnala, inoltre, la prima vittoria assoluta nella categoria regina degli Emmy: Shōgun, infatti, ha messo le mani sulla palma dedicata alla miglior serie drammatica. Insomma, un trionfo totale. E una buona notizia per tutti, visto come sono arrivati.
Se si parla di FX, d’altronde, è evidente la tendenza alla rottura delle convenzioni. Una coraggiosa vocazione all’autorialità con firme che sanno spingersi verso il confine più sottile del mainstream, trovando il compromesso ideale per attirare le attenzioni del grande pubblico senza rinunciare a un percorso espressivo che eleva il piccolo schermo a settima arte. Questo, in fondo, è il suo segreto, più di tutto il resto: la sua è una linea accessibile e non autoreferenziale, solletica i gusti dei target più raffinati ma è allo stesso trasversale. Un approccio audace e coraggioso, svincolato da ogni logica censoria, che segna la sua linea fin dai primi anni Duemila, grazie soprattutto alla guida autorevole di uno dei dirigenti più influenti della tv contemporanea: John Landgraf.
Il “Mayor of Television”, Chairman di FX Networks, è una di quelle menti visionari che stanno scrivere la storia.
Conduce il comparto della serialità televisiva di FX da oltre vent’anni, ed è a lui che si devono gran parte dei meriti per quello che FX è diventata oggi. Non è un caso, allora, che lo slogan adottato dal 2013 chiarisca al meglio il manifesto d’intenti di un produttore illuminato e di un network che sa sempre osare senza rinunciare a sbilanciarsi con chiavi espressive molto esplicite: “Fearless”. Senza paura. Landgraf scommette su autori coraggiosi che rivisitano i confini dei generi di riferimento con un approccio personale e intrigante, spingendo sempre lo sguardo oltre l’orizzonte. Autori raffinati del calibro di Donald Glover, Noah Hawley, Kurt Sutter o Christopher Storer, messi nelle condizioni di lavorare al meglio delle proprie potenzialità all’interno di un contesto che lascia la massima libertà al loro estro.
“La cosa di cui sono orgoglioso è che non schieriamo un team così grande”, ha detto qualche tempo fa nel corso di un’intervista rilasciata a Variety nel quale ha commentato il record di candidature agli ultimi Emmy: “Quel che ci manca in volume cerchiamo di compensarlo con amore e dedizione. Il livello di cura, attenzione e impegno personale che mettiamo dietro ogni singolo spettacolo e ogni singola creazione. È il loro lavoro. Non il nostro. Siamo qui per cercare di sostenerli. Il fatto che siano riusciti a raggiungere questo obiettivo con queste condizioni e grazie al nostro supporto è qualcosa che ci fa davvero sentire bene”.
Libertà espressiva, si diceva: “Mi sento spesso più come un giocatore d’azzardo professionista che come un dirigente televisivo”, disse nel corso di un’intervista ad Adweek.
Ogni produzione sfida le convenzioni, abbraccia l’intelligenza del suo pubblico e lo coinvolge all’interno di esperienze narrative dai confini mai banali. Risultato? FX, oggi, è diventato il riferimento più importante per la tv d’autore. Quella che funziona, non si specchia e sa farsi portatrice del sentimento più associabile alla golden age ormai conclusa un decennio fa. Landgraf scommette sulla qualità, a patto che sia una qualità sostenibile e con una visione di lungo periodo efficace e vincente.
Per questo, fu lui a coniare nel 2015 una definizione quantomai efficace: Peak Tv. Con essa, il dirigente aveva sintetizzato la sovraesposizione dello streaming, allora emergente, e la sua tendenza a imperversare nel mercato televisivo con un numero eccessivo di titoli.
“C’è semplicemente troppa televisione”, disse nel corso di un intervento a un evento della Television Critics Association. Una previsione corretta, visto che si è arrivati alla produzione di 600 nuove serie tv statunitensi nel solo 2022. Così come fu corretta la previsione sulla necessità di contrarre i titoli prima di portare a un implosione del sistema: “Il nostro cervello non è settato per gestire una tale quantità di contenuti: il settore dovrà necessariamente assestarsi”.
Detto fatto: a dieci anni di distanza da quelle dichiarazioni, i principali player dello streaming televisione stanno riducendo drasticamente la mole di serie tv prodotte per razionalizzare la gestione e massimizzare le entrate a fronte di investimenti più contenuti. FX, tuttavia, non aveva mai abbandonato la strada maestra, anche quando sembrava esser diventato l’unico percorso percorribile per confermarsi ai massimi livelli. L’imperativo è sempre rimasto lo stesso: fare poco, ma farlo meglio di chiunque altro. Nel già citato 2022, FX si è fermata a 20 nuove serie tv originali.
La strategia? Mantenere alta la qualità e l’attenzione critica, evitando di disperdere risorse in progetti minori. Questa filosofia ha reso FX un marchio di garanzia assoluta: quando esce una nuova serie tv c’è un’alta probabilità che sia valida e rilevante.
La visione non ha mai perso in coerenza, anche nella transizione dal cavo allo streaming. Si lega alle certezze del passato con contenuti che spesso sono avanti di parecchi anni: “Non sono mai stato un grande sostenitore del passaggio generale della televisione a un modello di binge watching“, disse ancora a Variety.
Il settimanale, adottato per gran parte delle serie tv FX, è ancora il riferimento principale. Shōgun, ad esempio, ha dimostrato quanto questa strategia aumenti il coinvolgimento del pubblico, generando discussioni e analisi episodio dopo episodio.
Ciò nonostante, Landgraf non demonizza affatto i rilasci in blocco. L’opzione è stata selezionata, ad esempio, per The Bear. Ogni serie tv necessita di un piano autonomo, e le mutate condizioni dello streaming propongono soluzioni appropriate per tutti. La transizione allo streaming, passaggio delicatissimo per chi è nato e cresciuto in un altro mondo, è stata così gestita con un approccio attraverso il quale FX non si è mai snaturato e ha finito per raccogliere i risultati straordinari degli ultimi anni, per molti versi inediti.
A questo si aggiunge un altro passaggio epocale nella storia del network: l’acquisizione da parte della Disney, concretizzatasi definitivamente nel 2019. Da quel momento in poi, FX ha potuto gettare le basi per raccogliere gli straordinari risultati degli ultimi anni: l’apporto della storica azienda dell’intrattenimento ha permesso una diffusione sempre più capillare dei prodotti migliori del catalogo, dando una cassa di risonanza fondamentale alle serie tv principali e consentendo, allo stesso tempo, gli investimenti da kolossal sui titoli di punta.
L’ultimo tassello del percorso che ha portato in vetta FX è così culminato nel dominio del 2024, mentre all’orizzonte si intravedono prospettive ancora più rosee sul piano internazionale.
Dopo anni caratterizzati da un entusiasmo della critica che non sempre si è tradotto in numeri globali all’altezza della qualità del lavoro portato avanti, FX è diventata la numero uno della tv d’autore. Non è più un’outsider di lusso: il trono è suo, meritatamente. E nei prossimi anni potremmo assistere a una crescita ulteriore. Memorizzare il suo nome, a quel punto, diventerà ancora più doveroso. In ogni caso, è un piacere celebrare il trionfo di un progetto tanto lungimirante che porta ancora in alto il nome della tv d’alto profilo. Quella che non si arrende alla mediocrità e non sottovaluta i gusti di un pubblico alla ricerca di esperienze speciali. Un successo altisonante, alla faccia di chi pensa che non sia più opportuno scommettere sulla qualità.
Antonio Casu
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